Massimo Ciancimino: “Un’unica regia per gli omicidi del giornalista e di Pietro Scaglione”

Input romano per uccidere De Mauro

Massimo Ciancimino

PALERMO – Gli omicidi dell’ex Procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione, e del giornalista Mauro De Mauro “avevano un’unica regia. Era arrivato un input da ambienti istituzionali romani”. Sarebbe quanto sostenuto dall’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, secondo quanto riferito oggi dal figlio Massimo, nel corso della sua deposizione al processo per l’omicidio De Mauro in corso nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo.
A volerlo come teste “assistito” è stato il pm Sergio de Montis dopo le dichiarazioni rese lo scorso ottobre davanti ai pm da Ciancimino secondo il quale “la mafia ebbe solo il ruolo di manovalanza nell’eseguire omicidi eccellenti in realtà commissionati da ambienti istituzionali romani”. Tra questi anche il delitto del giornalista de “L’Ora”.

Mauro De Mauro

Parlando, in particolare, dell’omicidio del magistrato, amico di famiglia dei Ciancimino, Massimo Ciancimino spiega: “Mio padre rimase molto sorpreso per l’omicidio Scaglione, perché negli ambienti mafiosi era noto lo spessore dei loro rapporti”. Secondo Ciancimino junior, il padre Vito, “si era sentito in un primo momento in colpa per l’omicidio perché era convinto che Scaglione sarebbe stato ucciso perché non aveva voluto riesaminare il processo a Luciano Liggio. Si sentiva responsabile”.
Poi, invece, sarebbe stato il boss Bernardo Provenzano, durante un colloquio con Vito Ciancimino, a spiegare all’ex sindaco “con un sorriso”, come dice Massimo Ciancimino: “Chiedi ai tuoi amici romani, noi abbiamo solo eseguito degli ordini”.
Alla domanda del pm se il padre Vito conoscese il giornalista Mauro De Mauro, il figlio risponde: “Mi raccontò che lo conosceva e che non ne aveva molta stima, ma come giornalista. Soprattutto perché lavorava per il giornale L’Ora, quindi mio padre mi diceva sempre che si teneva ben lontano dalla razza dei giornalisti’. Quindi parlando della conoscenza di Don Vito con l’ex ministro dell’Interno palermitano Attilio Ruffini ha detto: “Era un uomo mite ricordo che spesso si sfogava con mia madre per come lo trattava mio padre. L’ho visto più volte a casa mia”, come l’ex ministro Franco Restivo.
”Mio padre non aveva rapporti idilliaci con Totò Riina, diceva sempre che Riina aveva un carattere irruento e irascibile, uno che agiva di pancia, mentre con Bernardo Provenzano c’erano delle affinità”. “Riina – dice ancora Ciancimino – venne diverse volte a casa mia in via Sciuti a Palermo, almeno tre o quattro volte, ed era accompagnato dal geometra Lipari. Poi lo rividi anche al Castello di Trabia, nei pressi dello Zagarella e a Bagheria. Mio padre lo chiamava «il torto»”.
All’udienza è presente, in videoconferenza dal carcere di Opera a Milano, anche il boss Totò Riina, unico imputato dell’omicidio De Mauro, accusato di essere il mandante.
Intanto, due poliziotte della Scientifica di Roma studieranno a fondo i documenti consegnati nei mesi scorsi da Ciancimino ai magistrati per verificarne l’autenticità. L’incarico peritale è stato conferito oggi, durante l’udienza che si celebra al bunker del carcere Ucciardone di Palermo, alle due donne, Sara Falconi e Maria Vincenza Cartia.
In particolare, il Presidente della Corte d’Assise ha ordinato alle poliziotte “accertamenti di natura merceologica e tecnico-grafica di natura comparativa, le caratteristiche chimico-fisiche e grafiche dei reperti cartacei al fine di stabilirne la datazione dei reperti, dei post it apposti sui documenti e la riconducibilità mediante opportune comparazioni delle annotazioni a penna sui post-it e delle dattiloscritte riferite a Vito Ciancimino”.
Tra i documenti da esaminare ci sono anche degli articoli di stampa. In uno dei dattiloscritti, che Massimo Ciancimino attribuisce al padre Vito, si parla dell’omicidio di Mauro De Mauro e dell’omicidio del Procuratore Pietro Scaglione. “Ho detto personalmente al mio amico Scaglione – scrive Ciancimino senior – di stare fuori da quella inchiesta, dei pericoli a cui poteva andare incontro. Gli avevo anche parlato del vero spessore dell’avvocato Guarrasi. “Lascia perdere non ne vale la pena questa storia è più grande di te e me ma non mi ha voluto ascoltare. Mi ricordo di avere anche incontrato pochi giorni dopo Scaglione e mi era sembrato molto preccupato ma non volle dirmi nulla in proposito”.
Prima di Ciancimino a deporre è stato il giornalista palermitano Giancarlo Drago, ultima persona a vedere vivo il collega, che ha ricostruito con molti “non ricordo”, gli ultimi istanti di vita di Mauro De Mauro. “La sera del 16 settembre del 1970, tra le 19 e le 19.30, io e Mauro De Mauro andammo via insieme dal giornale L’Ora con la sua auto, una Bmw di colore blu – ha ricordato Drago – come accadeva spesso. Da quel momento in poi non lo vidi più”.
Prima di morire De Mauro era stato nominato caposervizio allo Sport, secondo Drago “una specie di punizione perché a lui lo sport non piaceva”. L’unico imputato per l’omicidio è il boss mafioso Totò Riina, collegato in videoconferenza dal carcere Opera di Milano con il carcere Ucciardone di Palermo dove si celebra l’udienza. Alla domanda del pm se notò se De Mauro quella sera fosse preoccupato, il giornalista replica. “No, assolutamente”.
Non avrebbe notato neppure se quella sera, uscendo dalla redazione de L’Ora, aveva una busta con sé. “Direi di no, ma non lo escludo perché sono passati quarant’anni. Non ricordo neppure se avesse qualche altro oggetto con sé, come giornali. Non riesco a fare mente locale, anche perché mi sono seduto davanti, quindi non ricordo cosa mise sul sedile di dietro”.
Sulla sera del 16 settembre, Drago dice ancora: “So che doveva andare direttamente a casa, non parlò di altri impegni”. “Il giorno dopo, il 17 settembre, al giornale si ebbe subito la gravità della percezione della cosa?”, chiede il pm Sergio de Montis. E il giornalista risponde: “No, l’allarme arrivò dopo la telefonata della moglie, era un segnale abbastanza strano. Disse che non era tornato a casa e un incidente non poteva essere stato perché lo avremmo saputo. Ci sembrò strano e ci chiedemmo come mai la moglie avesse aspettato tanto tempo prima di avvertire il giornale”.
E’ sempre il pm a chiedere se Drago ha saputo chi all’indomani della scomparsa di De Mauro ha aperto i cassetti della scrivania del giornalista. “No, anche perché dopo due giorni sono partito perché si sposava mio fratello a Roma. Noi abbiamo continuato a lavorare perché a mezzogiorno il giornale doveva chiudere. Scendevamo in tipografia e i tempi erano lunghi”.
Alla domanda del magistrato se ricorda se il giornalista De Mauro gli avrebbe parlato dell’incarico che gli aveva dato il regista Francesco Rosi per il film che stava realizzando sulla vita di Enrico Mattei, Drago replica: “Me ne parlò”, ma non ricorda altro. E non ricorda neppure se ha saputo che De Mauro “stava lavorando a qualcosa di grosso”.
“Il termine grosso non lo ricordo, ma non lo posso escludere. Mi disse che stava lavorando molto, al suo solito, perché stava seguendo delle cose interessanti”. Al termine della deposizione, il pm De Montis ha chiesto l’acquisizione al processo della trasmissione “Dietro il processo” andata in onda sulla Rai il 12 novembre 1979, nel corso della quale Drago rilasciò un’intervista.

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