Nell'editoriale di "Gente d'Italia" la "legge bavaglio" vista dalle Americhe

Cara Italia, la privacy è solo un alibi

L'edizione di "Gente d'Italia" di ieri con l'editoriale di Mimmo Porpiglia

Mimmo Porpiglia

Gente d’Italia aderisce allo sciopero indetto dalla Fnsi ma è egualmente nelle edicole. Con le pagine bianche, e listato a lutto, però. E’ stata una decisione sofferta. E’ la prima volta nei nostri dieci anni di storia che Gente d’Italia attua una protesta così eclatante. In questa prima pagina troverete soltanto un articolo di fondo che spiega i motivi dello sciopero, il comunicato della Fnsi e quello della File. E tutto il resto bianco.

Una premessa, d’obbligo: rappresento la File (Federazione Italiana Liberi Editori) per i quotidiani all’estero, la stessa File che, come scrive il presidente Ghionni, ha deciso di non aderire allo sciopero della Fnsi anche se all’unanimità gli editori rigettano il ddl sulle intercettazioni considerandolo una vergogna.

Io, invece, mi attengo alle decisioni della Federazione Nazionale della Stampa. Che ha proclamato lo sciopero. Sciopero come giornalista. Ma anche come Direttore ed Editore. E con me, al completo, scioperano tutti i giornalisti della redazione centrale di Gente d’Italia. Ed anche della redazione romana e di quella di Miami. Ho scioperato poche volte nella mia vita professionale. Facendo l’inviato speciale ero quasi sempre fuori dalla redazione, non conoscevo quindi a fondo le problematiche ed i “litigi” interni comuni a tutti i giornali del mondo (cambi di mansioni non concordate, promozioni “ad personam”, tagli su articoli scritti da redattori, trasferimenti imposti dal direttore o dall’editore…). Ma ho sempre scioperato quando lo ha deciso la Fnsi. Perché se fai parte di un sindacato ne devi condividere le scelte. Buone o cattive che siano. Quindi ho scioperato, ai miei tempi, per il rinnovo del contratto giornalistico, e per altre proteste legate alla nostra categoria. Scioperi sacrosanti, soprattutto per conquiste salariali e di costume.

Ma qui voglio ricordare uno sciopero, forse il più lungo e certamente il più difficile della vita giornalistica italiana. Correvano gli anni ’70…ed i nuovi dirigenti del Banco di Napoli decisero di non voler più gestire “Il Mattino”, il quotidiano napoletano dove lavoravo come inviato speciale.

Tre mesi di sciopero, tre mesi di “lotta” per impedire la chiusura di quella che è stata per decenni la più gloriosa testata del Mezzogiorno. Ricordo le notti insonni con il Comitato di redazione di allora, le discussioni interne e quelle con i politici locali e nazionali che cercavano di inserirsi nelle trattative…

Ed anche allora, come oggi, la Fnsi intervenne cercando di salvare posti di lavoro ma soprattutto una “voce” del panorama giornalistico nazionale.

Fu vera battaglia. Battaglia per la sopravvivenza di un giornale guida in Campania ed in tutta l’Italia Meridionale.

Non esisteva internet, gli articoli si dettavano al telefono, c’erano ancora le vecchie linotype… i giornali si chiudevano alle tre del mattino il più delle volte dopo estenuanti battaglie con i Consigli di fabbrica (anche al Mattino era così e molto spesso tipografi e giornalisti con simpatie di “sinistra” contestavano la linea politica del giornale di stretta osservanza Dc). Anche allora, come oggi, giornali e giornalisti italiani erano schierati o avevano simpatie politiche diverse.

Ma in quel periodo, durante lo sciopero per la sopravvivenza, al Mattino, non ci furono più tipografi e giornalisti di destra e di sinistra. Eravamo tutti uniti. Contro una chiusura ingiusta, contro personaggi che non accettavano il dialogo, che volevano un giornale più schierato politicamente e che pensavano di azzerare tutti per poi riassumere soltanto i “fedelissimi”…

Dopo tre mesi vinse il “muro”, il nostro “muro”: tutti uniti. Vinse il buon senso e la concertazione. Arrivò il Gruppo Rizzoli. E ci fu spazio per tutti, quelli schierati a destra, al centro ed a sinistra… Tutti uniti, tipografi, giornalisti…Tutti uniti, come dovremmo esserlo oggi. Giornalisti, direttori, editori…Uniti contro un disegno di legge, quello sulle intercettazioni. Un ddl che sarebbe meglio definire “anti-intercettazioni”, posto che l’obiettivo dichiarato è quello di circoscrivere quanto più possibile l’utilizzo di tale strumento investigativo e la pubblicazione dei contenuti acquisiti attraverso le intercettazioni.

Un Ddl che presenta comunque una serie di modifiche agli attuali codici penale e di procedura penale, cui vanno ad aggiungersi nuove previsioni che hanno lo scopo di sanzionare i comportamenti contrari al nuovo regime di utilizzabilità e di pubblicità delle intercettazioni medesime da parte dei capi degli uffici giudiziari, dei magistrati, dei giornalisti e degli editori.

Ora, a prescindere da qualsivoglia considerazione circa l’opportunità e necessità degli interventi normativi di recente approvati dal Senato, è importante sottolineare che l’analisi complessiva delle disposizioni contenute nel disegno di legge non consente di condividere l’idea secondo la quale lo scopo perseguito attraverso lo stesso sarebbe effettivamente rappresentato dall’esigenza di garantire maggiore privacy ai cittadini.

Stiamo parlando, non dimentichiamolo, di un Paese nel quale si deve lasciare la carta d’identità e la traccia di tutti i propri percorsi di navigazione online ogni volta che si accede ad internet attraverso una postazione wifi pubblica, un Paese nel quale, ormai, le città pullulano di dispositivi di videosorveglianza che le rendono realtà di orwelliana memoria, un Paese nel quale il Ministro dell’interno propone di fare una radiografia ad ogni cittadino onesto che salga su un treno nell’illusoria speranza di scongiurare così atti terroristici.

Perciò è a dir poco “curioso” leggere tra le righe del disegno di legge anti-intercettazioni – la visione della privacy che il Governo rappresenta: diritto assoluto e inviolabile se si tratta di limitare le intercettazioni di qualche migliaio di cittadini (i numeri generalmente utilizzati per sovradimensionare il fenomeno sono quelli delle utenze messe sotto controllo ma ogni soggetto intercettato dispone di numerose utenze da verificare) e diritto chiamato a cedere il passo ad altre esigenze di sicurezza e repressione dei reati, se si tratta della privacy di milioni di cittadini.

La verità, a mio avviso, è che si tratta di una vera e propria guerra fra la politica e il giornalismo, che si sta combattendo da molto tempo, forse da sempre. Non è poi così difficile provare ad indovinare chi la stia vincendo: il Senato ha votato nei giorni scorsi degli emendamenti che costituiscono una legge di cui in questi ultimi anni se ne è parlato molto, la cosiddetta Legge bavaglio. Essa in sostanza va a impedire ai giornalisti di diffondere inchieste fin quando non sono state concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare (dunque se va bene dopo almeno tre anni).

Chi scrive è stato per molti anni anche capo della cronaca giudiziaria, settore trainante dei quotidiani e dei periodici. E, insieme con gli altri colleghi, ha portato a conoscenza dei lettori e dell’opinione pubblica una miriade di scandali come la P2 di Gelli, Calvi, Ortolani, lo Ior e i 1200 milioni di dollari spariti e Mani Pulite ( tangenti a partiti e imprenditori…). Inchieste che, con il ddl di oggi non sarebbero mai approdate sulle pagine dei giornali… E ancora: se non fossero stati intercettati i telefonini dei mafiosi e dei loro “amici”, Riina e compagni quando li avrebbero presi? Mai… In poche parole, non si vuole soltanto distruggere la libertà di stampa. Ma “coprire” anche mafiosi e terroristi…in nome di una millantata privacy…

E non è vero che i giornali all’estero non sono coinvolti. Sono libertà democratiche che interessano le comunità italiane nel mondo. Vale per tutti l’esempio dei brogli elettorali, dei bollettini dei Comites finanziati dallo Stato e utilizzati dai candidati di turno per farsi pubblicità elettorale gratuita. Questa non è una legge che difende la privacy del cittadino, ma è una legge che difende soltanto la privacy del potere, degli affari e degli affaristi…

Mimmo Porpiglia

Direttore di “Gente d’Italia”

Quotidiano italiano d’informazione indipendente delle Americhe


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