Giovani e bisogno di ascolto.

di Chiara Cucinotta, Santo Sgrò e Ilenia Barillà

La nostra società è avvolta da una rete telematica che semplifica il passaggio di informazioni non solo tra i grandi enti ma, entrando nel quotidiano, anche tra i singoli individui. Ciò dovrebbe contribuire a facilitare il dialogo tra la gente, ma ad emergere è soprattutto la solitudine. Un sottile disagio che caratterizza, soprattutto, la relazione tra giovani ed adulti.

Tanti ragazzi, infatti, comunicano con facilità con i loro coetanei ma, allo stesso tempo, trovano grandi difficoltà nel rapportarsi con gli adulti.

Anche le precedenti generazioni hanno avvertito la stessa difficoltà nel momento in cui si sono trovate a confrontarsi con un mondo di adulti che, presto, sarebbe divenuto anche loro.

Fino ad alcuni anni addietro, però, questo bisogno era ostacolato dall’assenza quasi completa di disponibilità, da una chiusura ermetica che precludeva, spesso, ogni dialogo.

Al giorno d’oggi la situazione non è sensibilmente variata nei suoi caratteri generali: nella società attuale vi sono ancora giovani che vogliono far sentire la propria voce, godere della soddisfazione che offre vedere avanzare le proprie idee per costruire qualcosa di concreto che possa servire nella pianificazione del proprio futuro.

Rispetto al passato qualcosa è cambiato, è vero, ed il merito di ciò è forse attribuibile al fatto che le stesse istituzioni, il mondo degli adulti in genere, è stato protagonista, negli anni ’60 e ’70, di una trasformazione sociale e culturale che ha mutato per sempre anche il rapporto tra le generazioni.

Purtroppo, però, la maggiore disponibilità all’ascolto sembra non bastare: viviamo all’interno di una società che parla ad un volume troppo alto per dar spazio alle voci di chi non ha ancora una collocazione precisa all’interno di una qualche organizzazione.

Questo si verifica a causa di un senso di inadeguatezza dovuto all’incapacità di entrambe le parti di trovare dei punti di contatto.

Il problema va colto alla radice, nella famiglia.

Così come è emerso dalle inchieste svolte su un campione di quaranta studenti del liceo scientifico “Da Vinci”, nonostante risulti lampante il bisogno di dire la propria e di far conoscere i propri punti di vista, la maggior parte dei giovani si tira indietro al momento di dialogare con i propri genitori; paradossalmente ciò accade soprattutto con l’avvicinarsi alla maggiore età.

Sembra che i ragazzi tra i tredici e i quindici anni si trovino maggiormente a loro agio nel confronto con i propri genitori, riscontrando una disponibilità che risponde pienamente alle loro esigenze.

Quest’adeguatezza va scemando con l’avanzare dell’età e con il graduale maturare dei giovani. Acquisire un metodo di pensiero più autonomo contribuisce, di fatto, ad accentuare le differenti prospettive con il mondo degli adulti, i quali, volendo raggiungere un punto di incontro con i figli, si scoprono estranei.

Dall’inchiesta è emerso, inoltre, il fenomeno secondo cui molte volte gli adulti oscillano eccessivamente tra permissivismo e rigidità, invadenza e disinteresse producendo messaggi  contraddittori che disorientano i giovani.

Viene a formarsi, in questo modo, nei ragazzi, l’idea che, in realtà, quell’ascolto di cui necessitano viene loro negato, e scaturiscono da ciò alcuni atteggiamenti di indisponenza che devono essere letti come una reazione parzialmente involontaria, nel momento in cui le loro richieste vengono bocciate.

A tal proposito risponde Lucia Bruciafreddo, psicologa attiva nel campo dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza: “La tesi è di vecchio stampo: gli atteggiamenti di indisponenza dei ragazzi sono più che altro frutto di un loro adeguarsi ai tempi, così come lo sono i loro timori e le problematiche che necessitano di affrontare tramite il dialogo”.

La psicologa assume, poi, le difese del mondo dei genitori, aggiungendo: “Spesso i genitori non hanno sufficiente tempo da dedicare all’ascolto dei figli perché sono trattenuti fuori dalle loro case per la maggior parte della giornata e ciò li rende privi delle chiavi di lettura adeguate per comprenderli e, quindi, per interagire con loro. Anche questa è una realtà dovuta al cambiamento subito dalla società in quanto, a differenza di quanto accadeva anche solo una decina di anni fa, adesso entrambi i genitori sono impegnati professionalmente”. “Soprattutto – precisa Lucia Bruciafreddo – i ragazzi risentono maggiormente di questo clima che li rende privi di aspettative per il futuro. Un esempio si può ravvisare nelle difficoltà che incontrano nel momento in cui decidono di responsabilizzarsi accostandosi al mondo del lavoro”.

La psicologa conclude affermando che: “la colpa non è, quindi, da imputare né agli adulti né ai giovani, poiché sono stati entrambi travolti dal rimodellarsi del sistema”.

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