
Sergio Romano
TORINO – Il giornalismo ha svolto in Italia un ruolo determinante nel processo di unificazione nazionale, ma ha un peccato originale: essere troppo legato alla politica e ai suoi interessi.
L’editorialista e a lungo ambasciatore Sergio Romano nella sua lectio magistralis ai giornalisti che da tutta Italia si sono riuniti per tre giorni a Torino, ha voluto inviare un messaggio nella direzione dell’indipendenza.
“Il giornalismo italiano nasce con una forte connotazione politica e militante”, ha osservato Romano e un esempio è proprio Cavour, uno, se non il principale, padre della Patria. “Cavour era un giornalista e un giornalista militante – ha ricordato Romano – e il Risorgimento è il nonno di tutti i giornali politici italiani”.
Oggi in Italia – ha detto Romano – la maggioranza di chi possiede un giornale lo fa “nella speranza di ottenere qualcosa in più e di diverso, dal semplice vendere il proprio giornale”. La stampa, dunque, usata come strumento per veicolare messaggi e ottenere consenso.
“E’ interesse del giornalismo italiano – ha aggiunto Romano – uscire da questa situazione rivendicando la propria indipendenza”. L’aspetto più negativo di un giornalismo schierato, militante, partitico, è il rapporto che si crea tra giornale e lettore, “rapporto di reciproca gratificazione.
Il lettore non compera quel giornale perché spera di apprendere qualcosa in più di quello che sà, ma per trovare conferma alle proprie opinioni”. Nei loro saluti il presidente nazionale dell’Ordine, Enzo Iacopino, ha dato merito a queste celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia di aver sdoganato le parole “patria”, “nazione”, da un significato negativo che negli anni passati era stato motivo di contrapposizione.
Anche il presidente regionale Alberto Sinigaglia, nel dare la parola a Sergio Romano, ha voluto ricordare i molti giornalisti, da Gobetti a Frassati a Casalegno, che hanno contribuito alla formazione di uno spirito nazionale.