
Arcangelo Paglialunga
CITTA’ DEL VATICANO – Amico di Lorenzo Perosi, latinista appassionato, giornalista di rango, colto e umile come sono i maestri, uomo allegro e gentile, Arcangelo Paglialunga, che avrebbe compiuto 91 anni il prossimo 11 giugno, è morto ieri a Roma per un ictus che lo ha colpito per strada intorno alle 12.
Ricoverato al Santo Spirito è entrato in coma ed è morto intorno alle 17.30. I funerali si terranno domani, alle ore 10.30, nella parrocchia dei Santi Protomartiri Romani.
Ha cominciato il mestiere di giornalista nel ’56 con il “Momento sera”, ha scritto per la “Gazzetta del Popolo” di Torino, la “Gazzetta” di Bari, “Il Piccolo” di Trieste, “Il Mattino” di Firenze al tempo di Giorgio La Pira, “La Sicilia”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale di Brescia”.
È approdato al “Gazzettino di Venezia” subito prima dell’elezione di Giovanni XXIII, e il 16 aprile 2005, alla vigilia dell’elezione di Benedetto XVI, sul Gazzettino ha titolato “È Ratzinger il vero favorito alla successione”.
“Quando ci fu la fumata bianca – raccontò il vaticanista all’Osservatore romano – stavo già scrivendo la sua biografia.
I colleghi mi consigliarono di fermarmi perché di lì a poco si sarebbe conosciuto il nome del nuovo papa. Io continuai imperterrito: sentivo che sarebbe stato lui. Mi davano del matto, ma non lo ero affatto”.
Con Joseph Ratzinger Paglialunga aveva instaurato un rapporto speciale. Infatti negli anni trascorsi alla Congregazione per la dottrina della fede il cardinale bavarese che sbarcò a Roma come giovanissimo teologo conciliare, aveva accettato la discreta vicinanza di Paglialunga: passava ogni mattina molto presto per piazza San Pietro, diretto all’ex Sant’Uffizio, e nella passeggiata quotidiana incontrava il vaticanista, al quale non rifiutava mai il saluto e magari un rapido scambio di opinioni sulle questioni all’ordine del giorno.
Durante una di queste passeggiate, il 25 marzo del 1991, fu Paglialunga a dare in anteprima al cardinale la notizia della morte, avvenuta poche ore prima, del vescovo scismatico e scomunicato, Marcel Lefebvre. Giunto in Congregazione Ratzinger stupì i suoi collaboratori che pensavano di comunicargli la notizia dando mostra di saperla e di essere a conoscenza anche di alcuni dettagli.
Arcangelo era una miniera di ricordi e aneddoti, raccontati sempre con precisione e umanità, dal bivacco dei giornalisti a Castel Gandolfo durante l’agonia di Pio XII, alle uscite a sorpresa di Giovanni XXIII dal Vaticano, passando per papa Montini e il Concilio, Giovanni Paolo I e il pontificato-lampo, e il lungo regno di Karol Wojtyla.
Memorabile il suo racconto dell’arrivo del generale Clark in piazza San Pietro, il 5 giungo 1944. Nel cassetto lascia quei quaderni che non ha mai voluto pubblicare e, quasi pronto, un libro su don Lorenzo Perosi, amico e maestro. In sala stampa vaticana lascia un vuoto e un interrogativo: “Ma nascono ancora persone come Arcangelo?”.
Per capire il suo personalissimo rapporto con Papa Ratzinger è sufficiente leggere l’articolo “Lo Spirito Santo ha letto i giornali” di Mimmo Muolo, pubblicato dal quotidiano Avvenire il 20 aprile 2005. “A chi gli chiedeva nei giorni scorsi un nome rispondeva immancabilmente: «Niente previsioni. Per fortuna lo Spirito Santo non legge i giornali».
Precisando, però, subito dopo che il copyright della battuta non era suo, ma del cardinale Agagianian, uno che di conclavi se ne intendeva. E ha voluto mantenere fino in fondo questa sua personalissima regola, il giornalista del Gazzettino di Venezia Arcangelo Paglialunga, 85 anni, al suo quinto conclave.
Anche se in cuor suo un po’ di tifo deve averlo fatto per il cardinale Joseph Ratzinger, con il quale si incontrava spesso la mattina in piazza San Pietro. Il decano dei cardinali diretto al suo ufficio, alla Congregazione per la dottrina della fede, il decano dei vaticanisti che si recava in sala stampa.
Proprio a Paglialunga, il futuro Benedetto XVI confidò: «Nel terzo segreto di Fatima non c’è alcuna previsione catastrofica», vari anni prima che il testo fosse pubblicato. Con Paglialunga, che era stato amico di Perosi, parlava spesso di musica sacra, lui innamorato del gregoriano. E da lui apprese la notizia della morte di monsignor Lefebvre. Quella mattina non aveva ancora avuto modo di leggere i giornali. I giornali, appunto.
«Beh, qualche volta li legge anche lo Spirito Santo», scherza felice Paglialunga, adesso che il suo cardinale, uno dei papabili più pronosticati, è diventato Benedetto XVI. E lui che fino all’ultimo non ha voluto fare previsioni, aggiunge semplicemente: «Sarà un grande Papa, perché Joseph Ratzinger è un uomo straordinario». È un parere di cui ci si può fidare. Perché nei cinque conclavi della sua carriera, ne ha viste davvero tante. A cominciare proprio dal «duello» tra Agagianian e Roncalli.
«Ricordo che andammo a seguire l’ultima Messa del cardinale armeno – racconta – E fu proprio alla fine che forse notando la nostra presenza, aggiunse: «Per fortuna lo Spirito Santo non legge i giornali». In quella occasione, però, il porporato ebbe ragione. Entrato Papa in conclave, ne uscì, rispettando l’antico adagio, ancora cardinale. La veste bianca toccò al meno pronosticato patriarca di Venezia. Che con la sua consueta bonaria ironia descrisse qualche tempo dopo, proprio visitando il collegio armeno a Roma, il singolare «ballottaggio» con il porporato armeno.
«I nostri nomi – così si espresse il Papa – si avvicendavano or su or giù come i ceci nell’acqua bollente». E forse anche a causa dei questo lungo testa a testa, afferma Paglialunga, il cerimoniere pontificio dell’epoca, monsignor Dante, invece di aprire la scatola della talare bianca con la taglia large (adatta a Roncalli) prese quella small (che sarebbe andata bene ad Agagianian).
Dopo qualche mese proprio Papa Roncalli, ricevendo i giornalisti, dette loro le «pagelle» per il recente conclave. «Ci raccontò che la prima notte dopo l’elezione, non potendo prendere sonno, si fece portare i giornali dei giorni precedenti. «Non ne avete indovinata una», fu il suo lapidario giudizio. Seguito da una altrettanto lapidaria assoluzione: «Ma vi perdono tutti lo stesso». Questo era Papa Roncalli.
Andò meglio cinque anni dopo con Paolo VI. Ma questa volta, scherza Paglialunga, «cambiai le mie fonti e feci un figurone». Niente più giornalisti. Meglio la vox populi. «Lavoravo allora a Momento sera. Il direttore ci chiese di sentire gli umori di piazza San Pietro e io intervistai decine di persone. «Chi volete come Papa?».
Ottenni un plebiscito a favore di Montini. Allora richiamai il direttore e glielo dissi. Quando fu eletto, mi ringraziò vivamente, perché solo dopo quella «soffiata», in redazione si decisero a preparare una scheda anche sull’arcivescovo di Milano, oltre che sul cardinale Ottaviani e gli altri «conservatori».
Vox populi, vox Dei, dunque. Ma per Giovanni Paolo I, quindici anni dopo, la voce fu invece quella di un tecnico della radio Vaticana. Eroe per caso divenne l’elettricista incaricato di preparare i microfoni della Loggia Centrale della Basilica. Non si accorse che c’era l’interfono aperto con la sala stampa e disse in romanesco: «M’hanno mannato qua perché devo preparà i fili. Er Papa sta per dà ’a benedizione».
Così i giornalisti seppero pochi secondi prima della fumata bianca che il successsore di Pietro (in quella occasione il patriarca di Venezia, Albino Luciani) era ormai pronto. Altri tempi, altri ricordi. Ieri nell’epoca del digitale, dei telefonini e di Internet, non è successo nulla di tutto questo. Solo le campane di piazza San Pietro hanno tolto i residui dubbi sul colore della fumata.
Anche altri ricordi dell’anziano vaticanista sono destinati a rimanere per sempre tali. La Domus Sanctae Marthae ha, da questo punto di vista, migliorato molte cose. Così non avverrà più che un cardinale a dieta per motivi di salute debba farsi mandare il pranzo da fuori come era costretto a fare il cinese Tien Chen Sin, nel Conclave che elesse Giovanni XXIII.
«Un giovane sacerdote gli faceva pervenire ogni giorno una scodella di brodo di pollo», racconta Paglialunga. Oppure che qualcuno – come avvenne a Suenens nel primo conclave del 1978 – si trovi di fronte un altro cardinale in accappatoio (nell’occasione Landazuri), che gli chiese di fare la doccia, perché nella sua «cella» non c’era. Giovanni Paolo II, che quei due conclavi aveva vissuto in prima persona, ha innovato anche da questo punto di vista. «E ancora una volta che ha fatto bene», conclude Paglialunga”.