Tutela dei diritti umani per una giustizia giusta e un’etica antimafia dentro e fuori le mura

Don Pino Puglisi continua a parlare

Giovanna Russo e don Pino Puglisi

REGGIO CALABRIA – Per amore di verità e giustizia e sorretta da una fede che ritengo un dono, nel trentaduesimo anniversario dalla morte di don Pino Puglisi credo che, come istituzione, sia doveroso rivolgere un pensiero sentito ed eticamente necessario.

Don Pino Puglisi

Esistono due modi di rappresentare un ruolo: rappresentarlo e basta oppure farsi carico delle responsabilità che ci vengono affidate senza girarsi dall’altra parte. E quindi mi chiedo se don Pino fosse qui, se gli avessero concesso di operare un po’ di più ed essere strumento di quell’ordo amoris che nulla teme e tutto affronta per Sua Volontà tra la gente e con i nostri giovani, oggi cosa avremmo costruito? O forse quella atroce e ingiustificabile morte ha continuato a seminare i semi di speranza che la mafia voleva soffocare.
Non esiste strumento di giustizia più alto al mondo se non la carne viva del Vangelo, a prescindere dalla nostra professione di fede, il Vangelo letto in chiave laica è il portale della speranza, il codice di relazioni sane, il fondamento della giustizia giusta. Non si senta offeso colui o colei che usa la laicità per scusante al fine di non parlare di Dio Alfa e Omega di tutti i servitori di giustizia e degli operatori di legge. Sia questo anniversario per tutti i cattolici impegnati nella giustizia un tintinnio di cembalo che non sterilizza a convenienza la discussione.

Giovanna Russo

Siamo chiamati ad essere autentici servitori dello Stato e per questo possiamo mettere a tacere la Parola di Dio, siamo servitori della Parola e l’espressione in parole opere e senza omissioni deve essere per noi l’orpello e baluardo di un’identità che pare essere divenuta mite. Non sono i tempi della mitezza, deve tornare a bruciare dentro di noi il forte vento dello Spirito che guida le nostre quotidiane azioni. Quel vento che per il crimine è tempesta e per noi cattolici impegnati si fa leggera brezza nel cammino che siamo chiamati a compiere.
Il 15 settembre 1993, in una Palermo segnata da piaghe sociali profonde e dal dominio invisibile, ma onnipresente di Cosa Nostra, veniva assassinato don Giuseppe Puglisi, parroco del quartiere Brancaccio. Il killer lo attese davanti casa, lo chiamò per nome, gli sparò un colpo alla nuca. Don Pino, come lo chiamavano tutti, morì con un sorriso, quello stesso sorriso mite ma ostinato con cui aveva cercato, per tutta la vita, di scardinare il potere mafioso partendo dal basso, dai volti dei giovani, dalle famiglie dimenticate dallo Stato, dall’educazione come atto rivoluzionario.

don Pino Puglisi

La sua morte non è stata vana, non è assenza, ma si fa costante presenza nella vita di ciascun cristiano impegnato. Anzi, ha segnato uno spartiacque: per la prima volta la mafia assassinava un sacerdote per il suo impegno evangelico e sociale. Una ferita che si trasformò in seme di speranza. Beatificato nel 2013 come martire della fede, oggi don Puglisi rappresenta un simbolo non solo spirituale, ma profondamente civile. E la sua figura continua a porre una domanda scomoda e attualissima: qual è il ruolo delle istituzioni cattoliche di fronte alle sfide della legalità, della povertà educativa e della lotta alle mafie? Don Pino Puglisi non fu mai un rivoluzionario di piazza, un urlatore di popolo per consenso. Non amava i riflettori, ma scelse consapevolmente di essere un presbitero di frontiera. Rifiutò la carriera ecclesiastica per servire nelle periferie più abbandonate.

Giovanna Russo

A Brancaccio, dove la criminalità organizzata reclutava i giovani già dai banchi di scuola (e la Calabria di oggi non è tanto diversa dalla Sicilia di allora) o, più spesso, direttamente dalla strada — don Pino aprì il Centro “Padre Nostro”, offrendo un’alternativa concreta: doposcuola, teatro, sport, aiuto per le famiglie. Lui non “parlava contro la mafia”, come amava sottolineare, ma predicava il Vangelo sottraendole potere attraverso la cultura del bene, del bello e del fresco profumo della speranza.
Quella coerenza evangelica bastava a scatenare l’ira di chi dominava con la violenza e la paura, di quello strapotere mafioso che soffocava e soffoca ancora oggi il benessere delle nostre comunità tutte, dentro e fuori le mura. Il suo motto era “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto” apparentemente semplice, ma di quella semplicità dirompente e capace di sovvertire gerarchie secolari.
Ma il don Pino in vita ebbe lo stesso potere del don Pino dopo il brutale assassinio? Assolutamente no!

don Pino Puglisi

Il silenzio e le omissioni, il martirio, hanno sollevato, e continuano a sollevare, interrogativi profondi all’interno della stessa Chiesa cattolica. Già la sfida evangelica della Chiesa di allora e di ora nel contrasto alla criminalità organizzata.
Perché don Pino fu lasciato solo? Perché solo dopo la sua morte è stato avviato un percorso esplicito e coraggioso di condanna delle mafie? Perché molti, ancora oggi, preferiscono il silenzio all’annuncio profetico?
La beatificazione di Puglisi non è solo un atto di riconoscimento spirituale, ma un potente atto d’accusa verso l’omertà e l’inerzia di chi ha storicamente preferito l’ambiguità alla profezia, il compromesso al conflitto. In molti quartieri del Sud, la criminalità organizzata ha goduto per anni e purtroppo ancora gode di una tacita legittimazione sociale, alimentata da inchini, riverenze sociali, da una sfida educativa che si limita a fare il suo senza interconnettersi per incidere sulle strutture della criminalità organizzata. Forse trentadue anni dopo, don Pino ce lo chiede.

Giovanna Russo

A più di trent’anni dalla sua morte, le istituzioni cattoliche, credenti e non credenti, laiche e di qualsiasi altra professione sono chiamate a una scelta di Fede chiara e inequivocabile: essere parte vera del cambiamento o rimanere spettatori. Non si tratta solo di condannare le mafie con parole forti durante le celebrazioni ufficiali, ma di agire nella quotidianità, attraverso scuole, parrocchie, oratori, associazioni, università, fondazioni, carceri, ospedali e ogni comunità dove si compie la vita di ciascuno di noi.
Lo dobbiamo alla memoria di chi è stato trucidato per amore di giustizia, lo dobbiamo ai giovani da salvare perché è compito di ciascuno di noi toglierli dalle maglie della criminalità.
Dobbiamo essere più appetibili della criminalità organizzata. Le gambe dei giovani, la loro voglia di crescere, la distorsione del racconto di cosa sia il potere diventano la forza delle mafie da cosa nostra alla sacra corona unita passando per la dominante ‘ndrangheta.

don Pino Puglisi

La sfida è educativa prima che repressiva, ma dobbiamo essere uniti, protagonisti insieme. Questa vittoria sarà certa allorquando l’isolamento istituzionale verrà meno, allorquando l’egocentrismo di alcuni diverrà il teniamoci per man di molti. Noi dobbiamo offrire ai giovani un orizzonte di senso, costruire alternative culturali alla mentalità mafiosa, formare catechisti, educatori capaci di “stare nel mondo” senza perdere di vista il Vangelo. Un esempio in tal senso sono i percorsi promossi da molte Caritas diocesane che, ispirandosi a don Puglisi, hanno sviluppato progetti di economia solidale, lotta alla dispersione scolastica e rigenerazione urbana.
Don Pino Puglisi oggi continua a parlare. Lo fa con la vita dei ragazzi salvati dalla strada grazie al suo esempio. Lo fa con la scelta di tanti sacerdoti e laici, operatori di giustizia che, ispirandosi a lui, hanno scelto di testimoniare il Vangelo nelle periferie dell’anima e delle città. Lo fa ogni volta che la Chiesa decide di non voltarsi dall’altra parte. Ma guai ad abbassare lo sguardo, la sfida resta aperta.

Giovanna Russo

Perché le mafie non sono sparite: si sono evolute, hanno affinato linguaggi, si sono infiltrate nelle pieghe della burocrazia, dell’economia, delle istituzioni e persino, purtroppo, del linguaggio religioso. Perché la povertà educativa è ancora un’emergenza nazionale. Perché i quartieri come Brancaccio esistono in ogni città d’Italia. In un tempo in cui la Chiesa è spesso accusata anche ingiustamente di autoreferenzialità, la figura di don Puglisi è un richiamo potente a un ritorno alle origini: una Chiesa povera, coraggiosa, presente. Una Chiesa che non si limiti a condannare il male, ma che scelga ponti di bene, semi di bellezza che, se condivisa diventa forza dirompente.
Don Pino Puglisi non ha lasciato un testamento scritto, ma la sua vita è Vangelo incarnato. E quel sorriso, offerto nel momento della morte ai suoi aguzzini, non è solo un gesto di fede, ma un atto di resistenza gentile. Il suo martirio interpella ogni cristiano, ogni istituzione, ogni cittadino. E chiede a gran voce che le istituzioni cattoliche non smettano di sognare, di formare e di lottare concretamente il malaffare. Perché? Perché, come lui stesso ricordava, «il cambiamento non è solo possibile, ma è doveroso».

Palermo, settembre 1993: manifestazione di protesta contro la mafia per l’uccisione di don Pino Puglisi

Nel ricordo dei 32 anni dal suo martirio. Il miglior modo per ricordarlo è raccogliere il suo testimone. Ogni scuola che combatte l’abbandono scolastico, ogni oratorio che forma coscienze libere, ogni comunità che si oppone alla cultura dell’illegalità, ogni Chiesa che annuncia il Vangelo senza paura è un pezzo di città/comunità/Stato redento.
Più giovani salveremo fuori, meno persone avremo ristrette, più potere sottrarremo alle mafie supportando concretamente la cultura dell’antimafia e i sacrifici di tutte le forze dell’ordine e della magistratura che non vanno additati per “repressori” del male, ma eroi dei nostri tempi e orpello di sicurezza, più giustizia e benessere sociale avremo per le nostre comunità. (giornalistitalia.it)

Giovanna Francesca Russo

CHI È GIOVANNA FRANCESCA RUSSO

Giovanna Russo

Avvocato e giurista esperta in diritti umani, giustizia riparativa e gestione dei conflitti, con esperienza a livello nazionale e internazionale nei processi di mediazione umanista. Giovanna Russo Ha ricoperto il ruolo di Garante per i Diritti delle Persone Private della Libertà Personale del Comune di Reggio Calabria e di Garante per i Diritti Umani del Comune di Palmi. Dal 21 gennaio 2025 è Garante regionale per la Calabria. È vicepresidente nazionale dell’Associazione Italiana Mediatori Penali, presidente della Federazione Diritti Umani per la Città Metropolitana di Reggio Calabria, componente del Direttivo del Centro Europeo di Studi Penitenziari (Cesp) e socia dell’Istituto Superiore di Studi Europei e Politici (Isesp), si occupa di mediazione penale, minorile e scolastica.
Docente e formatrice in ambito giuridico e sociale, è membro del Comitato Tecnico Scientifico del Corso di Alta Formazione “Strutture detentive e management gestionale complesso” alla Lumsa Human Academy. Ha insegnato all’Universitatea Dimitrie Cantemir di Targu Mures e collabora con istituzioni accademiche nazionali e internazionali, tra cui il Laboratorio di Filosofia Politica e Giuridica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Giovanna Russo

Dottoranda in Filosofia del Diritto con un progetto sulla filosofia della pena e giustizia riparativa, in cotutela presso l’Institut Catholique de Toulouse (Francia), è cultore della materia in Filosofia del Diritto, Bioetica e Diritto, Letteratura e Cinema. Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, specializzandosi in diritto amministrativo e gestione dei beni pubblici. Ha completato master di II livello in Management Politico e Dirigenza scolastica, oltre a corsi di alta formazione in diritto dell’immigrazione e minorile, esecuzione penale e sociologia della pena.
Esperta nella gestione dei rischi devianze minorili, politiche di reinserimento sociale e governance del sistema penitenziario, politiche di sicurezza e governance penitenziaria, ha ideato e sottoscritto protocolli innovativi a livello nazionale, contribuendo a sinergie istituzionali nel settore della giustizia e delle politiche sociali.

Giovanna Russo

Svolge attività di consulenza giuridica su politiche del lavoro e welfare, con particolare attenzione all’inclusione sociale e ai soggetti in condizioni di vulnerabilità.
Autrice di pubblicazioni scientifiche e relatrice in convegni su diritti umani, diritto penitenziario e criminalità organizzata, ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali per il suo impegno nel settore. Collabora con enti pubblici e privati per la progettazione e rendicontazione di interventi nell’ambito della formazione e della realizzazione di programmi di formazione.
Cattolica, impegnata nel mondo del volontariato, dedica la sua attività professionale alla tutela delle persone più deboli, con particolare attenzione ai temi della giustizia giusta, dell’inclusione e dello sviluppo umano integrale. (giornalistitalia.it)

 

 

 

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