Il Garantista nella tipografia che bloccò “l’Ora della Calabria” dopo la famosa “telefonata del cinghiale”. Solidarietà ai giornalisti

Regolo a Sansonetti: “Non stampare da De Rose”

Luciano Regolo

Piero Sansonetti

CATANZARO – Da oggi, quello che ho sperato fino all’ultimo fosse un sordido pettegolezzo, è invece una verità ufficiale: Il Garantista ha cambiato stampatore. Quello nuovo, per l’edizione calabrese, come risulta dalla gerenza pubblicata stamani, è Umberto De Rose, il protagonista dell’orrenda “telefonata del cinghiale” da me registrata la notte tra il 18 e il 19 febbraio scorsi, quando lo stesso De Rose, che adesso, a seguito di quelle vicende, è imputato per violenza privata, inventò un guasto alla rotativa, mai avvenuto, secondo la perizia disposta dalla procura cosentina, per impedire che uscisse l’Ora della Calabria con la notizia dell’indagine aperta su Andrea Gentile, il figlio del senatore Tonino.
È una novità triste, ritengo, per tutta la stampa calabrese. Il mio pensiero e la mia solidarietà più sincera e partecipe vanno innanzitutto a quei colleghi, ex gionalisti dell’Ora, passati al Garantista nel mese di giugno. Sono certo che abbiano subito questa scelta e che vi siano avversi, perché loro hanno condiviso con me e con l’intera redazione non solo la denuncia pubblica con cui ci opponemmo alla squallida censura decisa da De Rose, visto che non era riuscito a convincermi, tramite le parole minacciose rivolte all’allora editore Alfredo Citrigno (emblematico un passo che traduco letteralmente dal dialetto cosentino: «devi dire a questo cazzo di Regolo che deve togliere questa cazza di notizia perché chi poi fa male a te, fa male pure a lui e al giornale, e perché? Per un prurito di sedere!»), o anche alla nomina del senatore Gentile a sottosegretario poco tempo dopo quello scandalo.
Quegli stessi colleghi erano con noi sinceramente coinvolti e mobilitati anche quando decidemmo di occupare la redazione centrale di Cosenza e quella di Reggio, innalzando uno striscione con la scritta: «È l’Ora della dignità». Fu una reazione sentita al blocco delle pubblicazioni e all’oscuramento del sito disposti senza alcun preavviso dal liquidatore quale ritorsione a uno sciopero indetto dall’assemblea dei giornalisti e a un mio editoriale di denuncia dopo che era emersa la volontà di far acquisire allo stesso De Rose la proprietà della testata.
Colleghi che stimo umanamente e professionalmente, oggi in forza al Garantista si mobilitarono in una protesta che traeva la più autentica scaturigine nella volontà di dire basta a soprusi subiti per troppo tempo. Anche grazie ad alcuni di loro il blog “l’Ora siamo noi” ha preso il via, sono state animate dirette streaming con ospiti di rilievo per sensibilizzare la pubblica opinione, fu addirittura composto un sarcastico gingle, parodia di un vecchio brano musicale, contro le prepotenze dei Citrigno, dei De Rose e compagnia.
Ricordo, in particolare, che un collega della redazione reggina, durante una diretta, usò un’espressione forte per definire, pubblicamente e con grinta, l’azione che avevamo subito dallo stampatore, allora anche presidente di Fincalabra. Lo stesso mi accompagnò, poi, nell’audizione della Commissione Antimafia, sempre a Reggio, ribadendo questa sua convinzione e fornendo ai parlamentari una serie di elementi perché potessero valutare quali oscuri rapporti si fossero intrecciati nel tempo tra i Citrigno e De Rose e fra questi e i Gentile. Lo stesso, con l’aiuto di un operatore audiovisivo altamente qualificato, supervisionò una sintesi della registrazione telefonica che fu diffusa in occasione della giornata della “Gerbera Gialla”, quando l’Ora fu premiata per la forza con cui si era opposta e aveva resistito alle pressioni cinghialesche.
Posso, quindi, soltanto immaginare con quanta delusione lui e tutti gli altri colleghi dell’Ora oggi nell’organico del Garantista abbiano potuto accogliere la notizia che a stampare il loro quotidiano sarà quello stesso soggetto che ha praticato una censura liberticida e che quella notte si espresse al telefono in termini e toni agghiaccianti.
Più volte ho sottolineato, come la necessità economica, specialmente nel giornalismo locale, segnato dal precariato e da atteggiamenti ai confini della legalità dei vari editori, renda difficile, molto più difficile che altrove, l’opposizione a certi sistemi. È arduo scegliere di mettere a rischio un posto di lavoro per difendere i diritti e la libertà quando si hanno cogenti bisogni personali e familiari ai quali far fronte. È faticoso opporsi a determinate decisioni quando magari vengono presentate come l’unica via possibile per la sopravvivenza stessa della testata.
Rammento che durante l’occupazione, attraverso vari messi, venne presentata anche a me la possibilità di ritornare in edicola, con De Rose nel ruolo non solo di stampatore, ma anche di sovventore aziendale. Quando respinsi con decisione questa ipotesi, in nome della giustizia, della libertà e della dignità, ma anche per rispetto dei lettori, mi venne detto di pensarci bene perché avrei compromesso la possibilità di un reimpiego anche per i miei colleghi non essendo facile trovare un altro posto di lavoro in Calabria. Per un attimo mi sentii in crisi, sapevo bene che i costi per tenere in piedi un organico di giornalisti adeguato a una testata regionale sono praticamente impossibili vista la scarsa rispondenza dell’edicola nel mecato editoriale calabrese. Ma poi proprio per rispetto a quanto gli stessi colleghi mi avevano riferito sul loro passato, alla stanchezza e alla sofferenza che avevo colto nei loro volti oltre che nelle loro parole, fui ancora più convinto del mio “no”. Un giornale con lo zampino di De Rose, in qualunque modo ne fosse stato coinvolto, equivaleva alla vanificazione non solo della lotta che avevamo condotto, ma dell’essenza stessa della nostra professione.
Noi giornalisti dovremmo risvegliare le coscienze e non contribuire anche soltanto con la quiescenza o la passività ad alimentare l’oblio della verità, quell’omertà e quella disponibilità al compromesso, purtroppo così diffusi nella nostra terra, che fanno dimenticare in fretta anche scandali clamorosi come quello dell’Oragate. Ma un redattore, senza il sostegno o l’esempio coerente del direttore, è ancora più debole e vulnerabile nella difesa dei propri diritti. Il primo garante di quest’ultimi dovrebbe essere proprio il direttore, sia verso la proprietà sia verso l’esterno.
Da questo punto di vista non comprendo la scelta di Sansonetti, la sua sì consapevole ed evidentemente ponderata, di accettare che il quotidiano da lui fondato sia stampato da De Rose, che lui aveva conosciuto bene quando dirigeva l’Ora e anche il settimanale “Gli Altri”, occupandosi allora l’ex presidente di Fincalabra della stampa di entrambi e senza riscuotere alcun pagamento per lunghi periodi. Ieri presentava nel suo editoriale la svolta del restyling, del cambiamento del formato e di una nuova stampa, sostenendo che era finalizzata all’obiettivo di diventare la testata “numero uno”, qui in Calabria. Crede quindi che il fine giustifichi i mezzi? E questo orientamento machiavellico non è forse in contrasto con il garantismo di cui si professa convinto paladino?
Il garantismo autentico presuppone la difesa dei diritti di chiunque e non certo solo dei potenti finiti nel mirino della magistratura. Sono diritti anche quelli di una comunità regionale privata, per via della raccapricciante azione di De Rose, della possibilità di leggere su un quotidiano la notizia sull’apertura di un’indagine sulle consulenze elargite al figlio del senatore Gentile dall’Asp di Cosenza. Sono diritti anche quelli, brutalmente calpestati, dei suoi colleghi, attuali e di ieri, che hanno subito e subiscono tuttora le conseguenze dell’Oragate. Come si può essere veramente garantisti e affidare la stampa del proprio giornale a chi non ha esitato a ricorrere ai mezzi che ormai tutti conoscono per censurare una notizia?
Il bisogno di far quadrare i conti, magari agitato dalla proprietà, non può e non dovrebbe mai giustificare decisioni del genere. Decisioni che poi provocano l’impossibilità di un argine serio e duraturo alle troppe prepotenze consumatesi nell’editoria calabrese. La nostra brutta storia poteva essere un punto di svolta per tutti, non importa di quale testata. Oggi purtroppo si è fatto un passo indietro.
Quando Sansonetti lasciò la direzione dell’Ora disse che aveva imparato molto dalla sua esperienza nella nostra regione, si rammaricò per non aver difeso abbastanza i diritti dei suoi colleghi di fronte all’editore, sottolineò anche che c’erano in Calabria tante famiglie strapotenti, alludendo ai Citrigno (ma non solo). Se era sincero ci ripensi, ripensi alle sue stesse parole e difenda la dignità umana e professionale dei suoi stessi colleghi. Molti di loro, durante l’occupazione, sensibilizzarono la mia attenzione su come, prima del mio arrivo all’Ora, avessero dovuto dedicare costanti attenzioni giornalistiche all’onorevole Enza Bruno Bossio, in virtù dell’amicizia tra quest’ultima e Piero Citrigno, il padre del nostro ex editore.
Ho notato che la Bossio, oggi, ricorre spesso tra le pagine del Garantista. La Bossio che, in Commissione Antimafia a Reggio, cercava di dimostrare risoluta che l’Ora avesse sospeso le pubbicazioni “non per Gentile o De Rose”, ma solo perché i Citrigno, avendo subito il sequestro dei beni (oggi diventato confisca) dalla Dda, non avevano la disponibilità economica per ricapitalizzare. Il principale, praticamente unico creditore del forte disavanzo accumulato dalla nostra casa editrice, la C&C, era De Rose per oltre 600 mila euro nel solo bilancio del 2013. Dopo l’Oragate, senza aver mai sollecitato prima in alcun modo i pagamenti, mandò una lettera diktat: pretendeva che tutto fosse saldato al più presto o avrebbe fatto fallire l’azienda, intascando un cospicuo assegno (scoperto) ricevuto all’inizio dell’attività quale garanzia. Oggi la società in liquidazione dallo scorso marzo non è ancora fallita. De Rose non ha mai presentato alcun decreto ingiuntivo. Il che è una ulteriore conferma di quelle stranezze che evidenziai davanti alla Commissione Antimafia, replicando alla Bossio, la quale insistette molto nel lumeggiare la condotta di Sansonetti che, a suo avviso, si sarebbe dimesso dalla direzione dell’Ora per difendere tutti i colleghi, rifiutando un piano di ridimensionamento dell’organico che la proprietà avrebbe voluto imporgli.
Se le cose sono andate davvero così, allora Sansonetti torni al suo spirito più combattivo, sia coerente con le sue idee garantiste e si opponga alla stampa da De Rose. Lo faccia per i suoi colleghi, per tutta la Calabria che dice di amare. Altrimenti la triste e fosca lettura che potrà darsi alla vicenda è quella del solito gattopardesco “doveva cambiare tutto perché non cambiasse niente”. E il suo garantismo rischia di tramontare platealmente in mero opportunismo, sacrificando persino la difesa dei principi e dei diritti basilari in una società civile, a tornaconti personali, proprietari o di gruppi che siano.

Luciano Regolo

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