FIRENZE – Dal 1° gennaio 2014 Sandro Bennucci è il nuovo direttore di “FirenzePost”, il quotidiano on-line edito da “Toscana Comunicazione” del cui Cda fanno parte il prefetto Paolo Padoin, il dirigente superiore della polizia Sergio Tinti ed il giornalista Sandro Addario.
A rendere nota la notizia è stato il presidente di “Toscana Comunicazione srl”, Sergio Tinti, “lieto di annunciare l’ingresso nella redazione del giornale di una delle firme più prestigiose della stampa fiorentina, fino al 31 dicembre scorso redattore capo del quotidiano fiorentino «La Nazione», che ha lasciato dopo oltre 40 anni”.
“Avrebbe potuto meritatamente mettersi a riposo, ma – sottolinea Tinti – ha preferito continuare la sua corsa di sempre alla guida di FirenzePost”. Il giornale on line ha, tra l’altro varato pochi giorni fa uno spazio, in accordo con l’amministrazione penitenziaria, per consentire la pubblicazione delle voci dal carcere a custodia attenuata di Firenze, il cosiddetto “Solliccianino”, che coinvolge detenuti, agenti di custodia, educatori e familiari.
A Sandro Bennucci, stimato professionista sempre impegnato a difesa della categoria (è vicepresidente dell’Associazione Stampa Toscana) e grande amico, i migliori auguri dal vicesegretario nazionale Fnsi, Carlo Parisi, e dalla Redazione di “Giornalisti Calabria”, con il più sincero “in bocca al lupo per questa nuova, stimolante, avventura”.
La lettera di saluto ai colleghi de “La Nazione”: una magnifica esperienza
FIRENZE – Cari amici e colleghi, questa volta agli auguri di buon anno aggiungo i saluti. Perchè, dopo quasi mezzo secolo, il 31 dicembre dovrò lasciare “La Nazione”. Arrivai che avevo da poco compiuto 16 anni. Esco con la qualifica di capo redattore e la consapevolezza che il tempo è passato: sono tre volte nonno.
Ho fatto il collaboratore per sette anni, con tessera firmata da un mitico direttore, Enrico Mattei, poi l’articolo 1 per quasi 40 anni. Ho avuto sedici direttori… Vi ho visti arrivare tutti. Non credo ci sia un altro giornalista ancora in attività, nella Poligrafici Editoriale, con una “militanza” così lunga.
Confesso che è stata un’esperienza magnifica, impagabile. Ho avuto il privilegio di veder cambiare il mondo da un osservatorio unico: il nostro giornale. Ho visto di tutto e di tutto ho potuto scrivere. Ringrazio il Cielo per questo. Ecco, potrei fermarmi qui. Rinnovando gli auguri per il 2014 e gli anni a venire.
Ma chi vuole, e ha la pazienza di accompagnarmi per qualche minuto, mi permetta di aggiungere qualcosa che ritorna alla mente: quando, nel settembre del 1966, entrai per la prima volta nella portineria di via Paolieri, per uno di quei casi che ti cambiano la vita (mi avevano chiesto di portare il tabellino di una partita di allievi che avevo giocato), gli scenari erano diversi, “preistorici” se visti con occhi di oggi.
C’era la guerra nel Vietnam; non era ancora venuta l’alluvione; solo tre anni dopo la Fiorentina avrebbe vinto il secondo scudetto; la Regione non era nata.
In un corridoio incontrai il barista Serafino (lo zio dell’Arnetoli) e l’usciere Dino Galli (il babbo di Stefano), entrambi grandissimi intenditori di calcio. Mi accompagnarono nell’ufficio del Goggioli, che per me sarebbe diventato “lo zio Giordano”. Poi vidi quelli che erano, e per me sono rimasti tre giganti: il direttore Mattei, il condirettore Marcello Taddei (quello che faceva materialmente il giornale), Beppe Pegolotti.
Tre sole le donne nel corpo redazionale: Laura Griffo, Wanda Lattes, Nella Cicci Curandai. Quindi l’incontro con un altro “zio” o, meglio, un maestro vero: Raffaello Paloscia. Fu lui, qualche anno più tardi, dopo avermi fatto collaborare anche a “Stadio”, a portarmi a Bologna dal direttore che mi avrebbe assunto: Dino Biondi (babbo di Stefano), che guidava appunto il giornale sportivo allora del Gruppo. Con 18 redattori riusciva a vendere oltre 200 mila copie il lunedì e intorno alle 130-150 mila gli altri giorni. Lavorai tre anni in quell’ambiente straordinario, prima di tornare, già grande, già redattore, a “La Nazione”.
In tipografia c’era un direttore-monumento: Omero Zaccherini, un condottiero con l’autorità di cambiare la foliazione in corsa (“Va bene – diceva al Goggioli – faccio aggiungere un altro telaio dopo quello chiesto da Marcolin, capo redattore, poi condirettore, quindi direttore a Trieste, vuol dire che gireremo con due pagine in più…”). C’erano il piombo, le linotype, i correttori di bozze.
Le due del mattino era l’ora dei piedi appoggiati sulla scrivania e delle ultime correzioni alla prima edizione. Alle tre l’ultima ribattuta per la città… Se guardate la scena di “Amici miei”, quando Tognazzi entra in tipografia, buttate l’occhio sulla sinistra: mi vedrete in camicia celeste, cravatta rossa e capelli neri (sì, li avevo e anche lunghini…) mentre guardo una pagina su un vecchio banco luminoso, di quelli sistemati quando passammo dal piombo alla composizione a freddo.
Scusate, mi sto facendo prendere la mano dai ricordi, invece devo scrivere solo un saluto… Ho lavorato con grande orgoglio, con grande senso di appartenenza. Andare a fare un servizio e sentirmi dire: “Ecco, è arrivata La Nazione”, mi ha sempre riempito di soddisfazione.
Ho scritto tanto: penso alcune decine di migliaia di articoli. Per me tutti importantissimi. Non nascondo però due soddisfazioni: quando scoprii lo scandalo delle pietre d’oro di Bilancino (una truffa da 80 miliardi di vecchie lire ai danni della Regione: dai miei articoli nacque l’inchiesta che portò all’arresto di 14 persone) e la battaglia di 10 anni fa contro “l’inciucione” che fece nascere il Toscanellum, legge elettorale disastrosa, capace di dar vita al famigerato Porcellum nazionale. “La Nazione” combattè da sola. Ora che il Toscanellum e il Porcellum stanno per cambiare, viene fuori che hanno vinto in tanti…
Tutte rose e fiori? No, e non mi riferisco alle piccole, normali beghe quotidiane, che mi sono fatto scivolare addosso senza difficoltà. Provai invece profondo dolore per la ferita di quattro anni fa: inaspettata, dolorosissima. Soprattutto incomprensibile. Ormai cicatrizzata. Negli ultimi anni non ne ho voluto parlare. E non ne parlerò mai più.
A parte quella vicenda, con l’Azienda non ho avuto problemi. Quando lavoravo a Bologna, incontravo qualche volta, in ascensore, il cavalier Attilio Monti. Era molto gentile: gli avevo detto che facevo il pendolare, mi chiedeva se i treni erano in orario e voleva sapere di Firenze. Gli piaceva mangiare da Sabatini, che però trovava “un po’ caro…”.
Quando ho fatto parte del Cdr (in tutto oltre 10 anni) ho avuto due grandi preoccupazioni: difendere i colleghi e “La Nazione”. Ai tavoli bolognesi ho difeso l’autonomia di Firenze (compresa quella del Qn fiorentino) al punto da apparire… scorbutico. Ho firmato due 416 ottenendo, in entrambe le occasioni, il sì unanime dell’assemblea.
E ora? Da qualche parte continuerò a scrivere, anche perchè non credo di saper fare molto altro. Andrà avanti anche l’impegno sindacale (chi avrà bisogno mi troverà sempre). E avvierò, non da solo, un progetto davvero innovativo per formare i ragazzi che vorranno provare a fare questo lavoro.
Toh, quindici moduli… Scusate. Un abbraccio forte a tutti e un augurio di cuore per un grande 2014 in un Capodanno che, per la prima volta dopo quasi mezzo secolo, non mi vedrà in redazione a salutarvi.
L’editoriale di esordio a “ToscanaPost” con gli auguri di Franco Zeffirelli
Buon giorno. Buon anno. Ben trovati. Sono appena uscito da «La Nazione», dove ho lavorato per quasi mezzo secolo, assistendo, da un osservatorio naturalmente privilegiato, a tutti i cambiamenti che hanno fatto, e in molti casi «rifatto», la storia del mondo dalla metà degli anni Sessanta a oggi. Arrivai che c’era la guerra nel Vietnam; l’Arno non aveva ancora provocato la grande alluvione del secolo scorso; la Fiorentina avrebbe vinto solo tre anni dopo il secondo scudetto; le Regioni non erano nate.
Entrai da ragazzino, quando le pagine dei giornali si componevano con il piombo: ho lasciato da redattore capo, nel momento in cui l’informazione sta esplodendo sul web. E proprio questa è la grande scommessa che intendo portare avanti alla direzione di «Firenze Post», che gli amici del cda della Società editrice mi hanno voluto affidare.
Da qui continua la mia corsa. Una scommessa sulla quale riverserò la lunga esperienza acquisita, con l’impegno di dare un’informazione puntuale e in tempo reale. Anche con l’aiuto dei lettori, che ci troveranno pronti ad acquisire notizie e suggerimenti, nonché di quei ragazzi che vogliono provare a scrivere e che troveranno una palestra adatta alle loro aspettative.
Non abbiamo, me l’hanno assicurato, né padroni, né padrini. Il premier, Enrico Letta, il governatore, Enrico Rossi, il sindaco-segretario del Pd, Matteo Renzi, saranno giudicati per quel che faranno. E, soprattutto, per quello che non faranno. Ma la politica non sarà l’argomento di prima pagina: come sa bene chi segue «FirenzePost» da quand’è nato, qui trovano spazio servizi nuovi e curiosi, insieme a cronaca, economia, spettacolo, sport. Per quanto mi riguarda curerò direttamente anche tre grandi amori: la Fiorentina; l’Arno nelle sue mille articolazioni; il Calcio storico.
Per cominciare, cari lettori, vi porto, un’esclusiva: gli auguri di Franco Zeffirelli, il più grande fiorentino vivente, ma anche l’annuncio del libro «Francesco», che il Maestro regalerà al Papa prima dell’estate, con le foto tratte dal suo film «Fratello Sole, Sorella Luna». Il testo è di Francesco Alberoni. Si tratta di un libro a suo modo semplice, com’è nell’essere del Santo di Assisi, ma straordinario: tradotto in spagnolo, inglese, francese, tedesco. Un libro per tutto il mondo. Che avete il privilegio di conoscere per primi.