Storica firma de “Il Resto del Carlino”, era un profondo conoscitore del basket che aveva praticato in età giovanile

Morto il giornalista Gianni Cristofori, aveva 62 anni

Gianni Cristofori

BOLOGNA – Si è spento, all’età di 62 anni, il giornalista Gianni Cristofori, storica firma del “Resto del Carlino”, il quotidiano bolognese per il quale per anni ha coordinato le pagine di sport.
Nato il 1° luglio 1951, Giovanni Cristofori era giornalista professionista iscritto all’Ordine dell’Emilia Romagna dal 20 giugno 1979. Profondo conoscitore del basket, che aveva praticato con discreto successo in età giovanile, ha narrato come pochi le gesta delle “Vu nere” della Virtus Bologna. Il padre Franco era stato capocronista nel “Carlino” diretto da Giovanni Spadolini. Lascia la moglie Giovanna.

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BOLOGNA – Sembrava invincibile. Dava tranquillità vederlo al suo posto, qui al giornale, con i suoi 190 centimetri che dalla sedia si spalmavano sotto il tavolo del computer, un occhio alla tv e uno alle agenzie, e quella perenne aria da gattone, pigro ma sempre pronto alla battuta secca e dissacrante.
Sul suo tavolo, in bell’ordine, i menabò delle pagine di ‘Bologna sport’ che Gianni disegnava con la mano sinistra, in tutti i sensi: era rapidissimo, sicuro e mancino. Era un amico. Gli volevamo bene in tanti e da giovani lo invidiavamo un po’, per molte cose.
Quello sciame di ragazze che spesso lo attorniava fin dai tempi del liceo Fermi. L’eleganza naturale sul campo di basket, quando infilava da sei metri quel tiro morbido che pareva così facile. E la capacità di raccontare sul nostro giornale il grande basket, quando il basket era grande, con intuizioni fulminanti che, senza una parola di troppo, davano il senso di una partita, di una sfida, di uno sport.
Mai un refuso, mai un luogo comune, mai un ritardo nei tempi stretti di un lavoro che spesso finiva a notte. Un carattere freddissimo, all’apparenza. In realtà appassionato, sensibile e generoso. Di passioni ne aveva tante, anche al di fuori del lavoro e dello sport: i fumetti da collezione, i mercati antiquari, i viaggi, i funghi e le passeggiate in montagna, i suoi affezionatissimi gatti, il tarocchino bolognese. Eppure gli piaceva fare il cinico.
Il lavoro? Serve solo a portare a casa lo stipendio, ripeteva. Ma quando spuntavano argomenti che toccavano certe sue corde, arrivavano a razzo splendidi articoli di cronaca o di cultura.
Era fatto così, non rinunciava a quel suo modo di difendersi da tutto e da tutti, quasi che ammettere passioni e sentimenti lo facesse sentire più vulnerabile. Stesse scene quando Gianni parlava di sè. Diceva di essere un commerciante, uno speculatore, non un collezionista. Ma per anni lavorò in perdita per far uscire una rivista di fumetti e collezioni tutta sua. Si chiamava Mancolista, aveva abbonati perfino in Sardegna e oggi è una ricercata rarità. Bisognava chiamare Gianni per sapere con certezza se i Tex, i Topolino o i Gordon trovati in cantina erano prime edizioni da migliaia di euro o modeste ristampe d’epoca. Lo cercavano da tutta Italia, e lui rispondeva a tutti: mail, lettere, telefonate. Con poche parole, ovviamente, com’era nel suo stile così lontano dalla chiacchiera di circostanza, dai convenevoli e dalle frasi fatte, dagli ammiccamenti e dalle vanterie di tanti giornalisti.
Era un figlio d’arte dal talento cristallino e precoce. Il padre Franco, capocronista nel Carlino di Spadolini e scrittore prolifico, ha lasciato saggi importanti sulla cultura bolognese e sul romanzo popolare internazionale. A Gianni, e a quanti lavorarono con lui, lasciò una lezione laica d’altri tempi: il culto del rigore, del rispetto, della severità verso se stessi, dell’onestà e dell’impegno. Naturalmente Gianni non avrebbe mai ammesso nulla di tutto questo.
Cominciò da ragazzino a scrivere di sport sul Carlino e non smise fino a quattro anni fa, quando il pensionamento gli tolse una fatica quotidiana che, nelle sue condizioni, era diventata insostenibile. Non bastava nemmeno, ormai, il costante e affettuoso sostegno dei colleghi di ufficio. Sapeva scrivere di basket come pochi altri. Raccontò con intelligenza e competenza i migliori anni della Virtus e della Fortitudo da scudetto, senza trionfalismi, senza le stupide faziosità così contagiose all’epoca. Non era facile capire, da quei pezzi, che il suo cuore batteva da sempre per le Vu nere. Amico di tanti e complice di nessuno.
Il male che nel 2000, come un velenoso fiume carsico, devastò il cuore e la vita di Gianni, ce lo ha portato via a poco a poco, senza impedirgli di essere ironico e autoironico fino all’ultimo.
Aveva 62 anni.
Non sono bastati quell’asciutto fisico da atleta, l’impegno davvero ammirevole di tanti medici di Villalba e del Sant’Orsola, né la vicinanza della sorella Silvia e di Giovanna, la compagna di una vita, una moglie affettuosa e discreta che non si è mai data per vinta in quella estenuante e atroce battaglia. E’ stata una lotta lunga e dolorosa, che negli ultimi mesi tanti colleghi e amici seguivano con sgomento. Lo avremo per molto tempo quel groppo alla gola. (Il Resto del Carlino)

Un commento:

  1. Stefano Pellegrini

    Mi chiamo Stefano Pellegrini sono di Reggio Emilia e ho 61 anni. Parlando del più o del meno con una giornalista del Carlino di Reggio mi è venuto di fargli una domanda. Conosci un certo Cristofori che dovrebbe lavorare al Carlino di Bologna? Che per me era un simpatico spillungone che occupava la branda di fronte alla mia nella caserma adiacente l’Accademia Militare Modena. Mi sono bastate 24 ore di attesa e…il verdetto. Da semplice gioco tipo “chi l’ha visto?” alle parole…è tutto finito.
    Diceva di scrivere sul Carlino, cosa che gli dava autorevolezza e incuteva rispetto. Parlava anche del papà suo esempio di vita e professionalità sempre con molto rispetto e discrezione.
    Dormivamo al terzo piano di una palazzina assolutamente senza vetri La ventilazione d’estate era assicurata ma d’inverno un freddo glaciale. Il vero Gianni saltava fuori a luci spente. Non si dormiva più. Sfilate di moda imitazioni dei superiori, sapiente satira riguardo il non senso del servizio militare.
    Forse perchè uno abitava fuori dal portone a destra e l’altro fuori dal portone a sinistra ma ad uguale distanza dal famoso portone, ci ha portato ad essere subito in sintonia. Furono pochi mesi ma sufficenti per non dimenticare mai il suo nome e la sua figura.
    Quando si vive in cattività tutto vien amplificato odio e amicizia. Non ci siamo mai più visti sentiti o cercati ma io non ho dimenticato “il giornalista”.
    Mi dispiace sono arrivato tardi, mi sarebbe piaciuto chiederti “ti ricordi di me? sono Pellegrini”. Sono sicuro che sorridendo mi avrebbe dato un cazzotto nella buzzo. Un pensiero doveroso ai suoi cari i veri primi attori di questo dramma. Non ho parole solo un grande magone e la bocca amara. Ciao Gianni.

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