La Federazione della stampa sull’intervento del giudice penale: “La vicenda è molto seria e non va strumentalizzata”

Caso Ferrario-Minzolini, la Fnsi: “Che tristezza!”

Tiziana Ferrario

ROMA – E’ motivo di grande tristezza che per affermare il giusto diritto al lavoro di una persona impedita ad esercitare, di fatto, la propria professione perché la pensa diversamente dal suo direttore, debba intervenire per l’ennesima volta un giudice.
Ed è ancora più triste che stavolta sia il giudice penale a farlo, rinviando a giudizio Augusto Minzolini per i suoi comportamenti contrari al diritto del lavoro nei confronti di un’altra collega, Tiziana Ferraio, omettendo, da direttore del TG1, l’esecuzione sostanziale di pronunce di un altro giudice, quello del Lavoro.
Violando le regole di un servizio pubblico – chiamato sempre a rispettare il pluralismo culturale e politico e ad essere centro di garanzia dei diritti di tutti – si è prodotto un danno a una lavoratrice e agli utenti, negando il rispetto di sentenze del Giudice del Lavoro e alimentando una discriminazione intollerabile.
La vicenda in sé è molto seria e non può essere da alcuno (anche se come al solito qualcuno ci fa) strumentalizzata o spiegata in termini di propaganda a fini politici di parte. Nessun ruolo e nessun conduttore è intoccabile, basta con la bassa “disinformatia”.
Non sono in gioco presunti privilegi ma il diritto a esercitare il lavoro secondo princìpi di dignità e compatibilità professionale come il giudice del Lavoro aveva più volte sentenziato nella vicenda Ferrario, allontanata non solo dal video ma dall’esercizio attivo della professione oltreché da un ruolo  compatibile con quello maturato. C’è una profonda ferita che va sanata e su cui riflettere.
Siamo di fronte ad una giornalista, una lavoratrice emarginata dall’esercizio attivo della professione e dal lavoro per quale è contrattualizzata in Rai. Che questo sia un reato penale lo deciderà un giudice.
Ma è triste, comunque, che si sia arrivati a questo punto in un Paese civile che del servizio pubblico e dei suoi professionisti – in un complesso composto da lavoratori e portatori di idee diverse capaci di convivere e lavorare correttamente secondo i doveri contrattuali e di legge – dovrebbe avere la bandiera identificativa.
E’ auspicabile perciò che la vicenda venga finalmente sottratta a ogni tentazione della propaganda partigiana e risolta nelle sedi ordinarie del diritto naturale delle libertà di tutti e di una democrazia fondata sul lavoro.

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