MILANO – Nel Mercante di Venezia di William Shakespeare, Antonio, il mercante, chiede un prestito all’usuraio Shylock con scadenza a tre mesi. Come garanzia Shylock chiederà una libbra della carne di Antonio.
Noi non crediamo che il gruppo Rcs sia nelle condizioni di Antonio, sia cioè arrivato al punto da dover impegnare il Palazzo storico di via Solferino (la libbra di carne) per far fronte ai debiti. Né riteniamo che le principali banche creditrici di Rcs MediaGroup, vale a dire Intesa Sanpaolo, Ubi Banca, Unicredit, Bnp Paribas e Mediobanca-Banca di credito finanziaria, agiscano con gli stessi parametri di Shylock.
Intesa San Paolo e Mediobanca, per altro, sono anche azionisti di Rcs MediaGroup. Al contrario leggiamo nella relazione semestrale di Bilancio, pubblicata il 2 agosto 2013 sul sito www.rcs.it: “Il 15 giugno è stato sottoscritto il Contratto per il rifinanziamento delle linee di credito con le stesse Banche già creditrici per un importo complessivo di 600 milioni composto da tre linee di credito”.
In particolare è interessante notare come una linea di credito, pari a 225 milioni, sia concessa con le caratteristiche “bullet”. Ciò significa che sono previsti solo due movimenti di capitali: il prestito, appunto, e il rimborso comprensivo degli oneri finanziari. La scadenza di questa linea di credito è fissata in tre anni: dunque giugno 2016.
Nel Contratto di Finanziamento è prevista un’altra clausola importante: Rcs MediaGroup deve cedere attività considerate non strategiche (“attivi non core”) per un controvalore di 250 milioni di euro, entro il 31 dicembre 2014.
Non è una clausola capestro perché, in alternativa alle cessioni, il Consiglio di amministrazione potrebbe esercitare la delega per attivare un’altra tranche di aumento di capitale. E’ un problema di scelte: fare cassa svendendo il patrimonio storico e un pezzo dell’identità del gruppo (la libbra di carne), oppure ricorrere a nuovi capitali.
Leggiamo ancora nella Relazione semestrale che al rimborso della linea di credito “bullet” “sarà destinata parte degli importi provenienti dalla cessione di attivi cosiddetti “non core”.
In altre parti dello stesso documento, comprese le comunicazioni richieste dalla Consob l’8 maggio 2013, si legge che tra i beni “non core” da cedere c’è anche la sede del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, limitatamente al “complesso di San Marco”.
Nel nostro comunicato, pubblicato il 18 settembre scorso, avevamo notato come l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane in questi giorni si stesse muovendo al di fuori del mandato ricevuto per due volte dal Consiglio di amministrazione Rcs (e notificato alla Consob), inserendo negli asset da vendere anche la parte storica di Via Solferino.
L’amministratore delegato, cari lettori, non ha ritenuto di rispondere a questi rilievi, ma pensiamo che potrà farlo davanti al Consiglio di amministrazione del gruppo convocato per lunedì 30 settembre.
Ora il Comitato di redazione chiede al Consiglio di amministrazione di allungare i tempi dell’operazione, visto che l’impegno a rimborsare i 250 milioni di euro scade nel dicembre 2014.
Senza contare che la cessione della società Dada ha già fruttato 58 milioni di euro a Rcs. In questo modo l’amministratore delegato avrebbe i margini e i tempi per esplorare altre possibilità.
Il beneficiario dell’eventuale svendita dell’immobile, il fondo americano Blackstone, campione della finanza speculativa, non è, almeno per adesso, in grado di offrire alcuna garanzia credibile per mantenere saldo il legame tra il Corriere e via Solferino. Il Comitato di redazione chiede di aprire una moratoria per esaminare proposte alternative, sulle quali tornerà a insistere:
1) Cartolarizzazione dell’immobile. Vale a dire la cessione del debito frazionato in obbligazioni che consentirebbero alla Rcs di mantenere la piena proprietà dell’immobile attraverso una società controllata al 100%.
2) Coinvolgimento di enti previdenziali e casse delle diverse categorie che potrebbero partecipare all’acquisto.
3) Costituzione di una Fondazione aperta a soggetti istituzionali e privati che rilevi l’immobile e ne tuteli la funzione culturale e storica riconosciuta dal Ministero dei Beni culturali. In questo quadro si può studiare anche una quota di partecipazione destinata ai dipendenti Rcs, sul modello di quanto avvenuto in Germania nel gruppo Der Spiegel.