Gian Marco Chiocci
ROMA – La prima volta che varcai il portone de Il Tempo in piazza Colonna avevo 9 anni, l’età di Matteo, il primo dei miei tre pargoli. Mi teneva la mano Francobaldo Chiocci, storico inviato speciale di questa storica testata e – dettaglio non secondario – genitore di chi allora sognava di fare l’astronauta o il calciatore, non certo il direttore di questo quotidiano, incarico che mi appresto a ricoprire con emozione e impegno da sfida.
Ieri mattina, quarant’anni più tardi, e dopo aver imparato il mestiere di cronista proprio a Palazzo Wedekind all’inizio degli anni ’90, mi sono ritrovato a oltrepassare quello stesso portone. Pensavo e ripensavo al giornale da fare, nuovo, moderno, con un target da giornalismo d’inchiesta autentico (leggetevi il reportage di Maurizio Gallo sugli innocenti sbattuti in galera).
Un giornale aggressivo, non urlato, trasversalmente garantista, politicamente autorevole quanto lontano dal Palazzo, aperto a tutte le voci seppur ispirato ai valori del centrodestra e del cattolicesimo non bacchettone, impegnato a navigare nella Rete e lungo le nuove rotte della comunicazione che la crisi della carta stampata obbliga a seguire. Insomma, mi arrovellavo quando, al piano terra, lo sguardo è andato alla porticina che ai bei tempi conduceva alla trafficatissima tipografia e alla grancassa delle rotative da centinaia di migliaia di copie.
Un giornale aggressivo, non urlato, trasversalmente garantista, politicamente autorevole quanto lontano dal Palazzo, aperto a tutte le voci seppur ispirato ai valori del centrodestra e del cattolicesimo non bacchettone, impegnato a navigare nella Rete e lungo le nuove rotte della comunicazione che la crisi della carta stampata obbliga a seguire. Insomma, mi arrovellavo quando, al piano terra, lo sguardo è andato alla porticina che ai bei tempi conduceva alla trafficatissima tipografia e alla grancassa delle rotative da centinaia di migliaia di copie.
Ho risentito l’odore del piombo, ho rivissuto il ricordo, in bianco e nero, de il Tempo che fu. Un gran bel ricordo per chi ha avuto la fortuna di viverlo e di leggerlo, quel Tempo. Per chi l’ha sempre considerato “non un giornale qualsiasi, ma una grande famiglia”, mi ha detto giusto ieri un signore che in questo giornale ci ha trascorso una vita: Gianni Letta.
Ecco, allo spirito di quella Grande Famiglia messa in piedi nel dopoguerra da quel genio di Renato Angiolillo – uno che amava scommettere sulle notizie più che sugli adorati cavalli – vorrei ispirarmi per fare de “il Tempo” che verrà un quotidiano che – con le dovute differenze anagrafiche – piaccia come piaceva allora, renda fieri i suoi lettori, rappresenti le loro istanze, difenda le loro identità. Un giornale fresco, diverso, unico nel suo genere. Come ogni buon (neo) direttore potrei approfittare della presentazione ai lettori per dilungarmi con propositi roboanti, proclami utopistici, mete inarrivabili. Evito.
Permettetemi un ringraziamento, dovuto, all’editore Domenico Bonifaci e all’amministratore delegato Federico Vincenzoni, che come Angiolillo hanno voluto “scommettere” accettando l’idea di un giornalismo investigativo vecchio stile, strada e sudore, senza veline dalle procure, “un po’ come Montecarlo” mi hanno detto alludendo all’inchiesta che feci al Giornale sulla casa monegasca nell’affaire che coinvolse un non indimenticabile presidente della Camera. E poi un grazie va a Sarina Biraghi, che c’era prima di me, e al mio fianco continuerà a esserci.
Insieme con tanti bravi colleghi, naturali eredi di firme storiche che negli anni hanno preso altre strade professionali, la via della pensione o un’anticipata scorciatoia per l’aldilà (il mio pensiero va a Fausto Gianfranceschi, Giorgio Torchia, Peppe Crescimbeni, Vanni Angeli, Franco Salomone, Ignazio Contu e tanti altri), proveremo a fare un Tempo all’altezza. Perché davvero siamo stati, e saremo, una grande famiglia.
Insieme con tanti bravi colleghi, naturali eredi di firme storiche che negli anni hanno preso altre strade professionali, la via della pensione o un’anticipata scorciatoia per l’aldilà (il mio pensiero va a Fausto Gianfranceschi, Giorgio Torchia, Peppe Crescimbeni, Vanni Angeli, Franco Salomone, Ignazio Contu e tanti altri), proveremo a fare un Tempo all’altezza. Perché davvero siamo stati, e saremo, una grande famiglia.
Gian Marco Chiocci