I “nostri” pellegrini hanno varcato la frontiera all’Auberson: subito sembra “un altro mondo”, poi “tutto il mondo è paese”

Del Boca e Moia: “Svizzera, Svizzera!”

Lorenzo Del Boca

Angelo Moia

AUBERSON (Svizzera) – Io e Angelo (Moia, il dirigente d’industria che, da 20 giorni, accompagna Lorenzo Del Boca in pellegrinaggio sulla via Francigena, ndr) in Svizzera ci arriviamo alla chetichella. Sulla frontiera, all’Auberson, c’è solo la caserma dei doganieri.
Porta chiusa e finestre sbarrate: zero controlli. Che, però, sei in un altro mondo lo capisci subito. Il caffè lievita immediatamente a tre franchi. Devi prelevare il contante dalla cassa continua, ma, ad ogni angolo è disposto un bidoncino per l’immondizia in modo da evitare che un pezzetto di carta, nemmeno per sbaglio, possa cadere a terra.
Le case espongono volentieri la bandiera con la croce bianca e il prete protestante la fa sventolare sul campanile, sopra la croce. Qui siamo extracomunitari. L’Europa unita sta alle spalle anche se, attraversata passo a passo, appare soltanto una trovata propagandistica.
Diciamoci la verità: al di fuori dell’Euro non c’è niente. Gli Inglesi continuano a guidare a sinistra e si misurano con pollici e yarde. I Francesi indicano le autostrade in blu e le strade normali in verde. Tengono le chiese chiuse per paura dei ladri e a mezzogiorno di domenica la vita si ferma perché ogni locale abbassa le serrande. Dettagli?
Dover e Calais, al di qua e al di la della Manica, lavorano con lo stesso pubblico che le impegna in contatti insistenti e quotidiani. Sulla sponda inglese parlano il francese, anche se non riescono a nascondere il loro accento aspirato. E, in francese, criticano i Francesi che considerano parenti poveri.
A Calais, conoscono l’inglese, anche se si esprimono gesticolando in maniera poco britisch. E, in inglese, contestano la Gran Bretagna che considerano inutilmente presuntuosa.
Il Nord della Francia è pubblicizzato come la terra dei tre paesi, perché, in passato, si sono mescolati Anglosassoni, Latini e Fiamminghi, in un crogiolo di civiltà che hanno interferito tra loro. Dovrebbero essere provincie aperte alle contaminazioni intellettuali, ma, in realtà, di questo passato multiculturale c’è traccia solo nella toponomastica dei luoghi.
Il presente è tutto un criticare i vicini fino al racconto di sanguinose barzellette. Adesso sopportano giusto gli Italiani, perché, considerandoli con le pezze al culo, possono parlare dei loro guai economici, convinti di rivolgersi a persone che stanno peggio di loro.
Però, con uno sguardo da altra angolazione, si potrebbe sostenere che “tutto il mondo è paese”. Anche i Francesi posteggiano in doppia fila. I fracassoni, in moto, si spingono fin sulle alture del Giura. E gli automobilisti usano la strada come discarica buttando dal finestrino tutto quello che li imbroglia.
Le indicazioni restano approssimative. Gli impiegati de “L’uffice de Tourisme” non sanno dove indirizzarci per il pranzo e ignorano che l’assessorato da cui dipendono fa funzionare, a una dozzina di chilometri in linea d’aria, un ristorante con prodotti tipici regionali.
L’inefficienza burocratica italiana non ha niente da farsi invidiare. Nei locali i prezzi sono spesso arbitrari ed è raro che il negoziante batta lo scontrino alla cassa. Basta per sostenere che l’Europa non c’è ma che tutto il mondo è paese?!

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