ROMA – E’ sempre più evidente che intorno alla Rcs potenti della finanza e del capitalismo italiani giocano una partita doppia. Ed è curioso che prima di ogni altra cosa, la Fiat inizialmente e il patron di Tod’s poi – principali azionisti del gruppo – si rivolgano, sia pure con modi diversi, al Capo dello Stato.
La competizione economica resti libera, ma soprattutto più liberi devono rimanere i giornali. Però di più di un elemento non appare quadrare se la famiglia Fiat trova cento milioni da investire sulla Rcs, per diventare primo azionista, dopo aver attuato pesanti ristrutturazioni in tutte le sue aziende di produzione e per il suo quotidiano storico la Stampa, usando il proprio garbo comunicativo, come un potere che si relaziona alle istituzioni, per rivolgersi al Capo dello Stato. E se, di contro, Della Valle (Tod’s), azionista “non allineato” finora con quella maggioranza, denuncia pubblicamente al Presidente Napolitano addirittura tentativi di uso dei giornali dell’ex gruppo Rizzoli come strumento di pressione.
Il Capo dello Stato ha risposto, come sempre nel rispetto della sua funzione, ricordando le regole del mercato e delle libertà del Paese. La portata delle questioni (avanzate fino al Quirinale) in realtà, non può fermarsi al semplice interesse circa le dispute delle proprietà e degli interessi diversi che le animano. Ci appassiona un altro tema sul quale non va mai abbassata la tensione e sul quale oggi è più urgente che mai intervenire: lo statuto dell’impresa editoriale e una severa legge sui conflitti di interesse.
L’indipendenza dei giornali, l’autonomia editoriale e la salvaguardia dei posti di lavoro professionali sono la stessa sfida su cui si misurano i valori di una impresa editoriale e su cui, prima di tutto, va considerata la Rcs, con i suoi quotidiani e i suoi periodici. Le strategie che devono interessare, rispetto ai media, sono queste; non se il controllo del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport e dei periodici Rcs sia strategico per la Fiat piuttosto che per il gruppo Della Valle.
E’ evidente allora che alle istituzioni ci si può rivolgere solo perché accelerino, per davvero, su questi due capitoli ineludibili: statuto dell’impresa editoriale e conflitto di interessi. E questo perché informazione e sue finalità siano realmente disgiunte da qualsiasi altra esigenza di proprietà o di azionisti che operano in campi differenti.
In un tempo come questo nel quale nessuno può inventare da un giorno all’altro l’editore puro, che sogniamo e vorremmo, questi due interventi sono i veri antidoti principali ai rischi di pressione impropria oggi denunciati persino da Della Valle. Diciamolo, queste accuse per il pulpito da cui arrivano, appaiono come una ammissione diretta di anomalie da noi a lungo denunciate e da altri bollate come posizione ideologica.
La fortuna della Rcs, e di tutti i suoi giornali, è che, nel tempo, direttori e giornalisti hanno dato vitalità a principi di autonomia fissati, durante un intero secolo, dal contratto nazionale di lavoro e dagli statuti editoriali interni. Queste carte, insieme alla professionalità della moltitudine dei giornalisti, sono il patrimonio più prezioso su cui vorremmo sentire coerenti parole e opere da parte degli azionisti e da parte della società politica che fa finta di stupirsi per mancanze che pure le appartengono.