LA LETTERA – Il capo Ufficio Stampa del Consiglio regionale della Calabria sulle polemiche del Protocollo d’intesa

“Non bavaglio, ma contributo all’emersione del lavoro nero”

Romano Pitaro

L’aula del Consiglio regionale della Calabria

Romano Pitaro
REGGIO CALABRIA – Il “Protocollo” (potrebbe essere il titolo di un “noir” sull’informazione) che tanto scandalo ha suscitato e che induce, senza il senso delle proporzioni storiche, a scrivere che “il Consiglio regionale della Calabria mette il bavaglio alla stampa”, non è uscito dalla testa della politica.
Viceversa, esso è il risultato di un lavoro – iniziato ad ottobre 2012 – che ha visto l’Ufficio stampa del Consiglio, il sindacato regionale-Fnsi e l’Ordine dei giornalisti calabrese, porsi specifici problemi organizzativi nel rapporto Istituzione regionale – stampa e provare a risolverli introducendo delle regole. Chi la butta in politica, quindi, abbaia alla luna.
Ancora, e non è cosa da niente: il “Protocollo” ha anche la pretesa di dare una mano all’emersione del lavoro nero, in questa professione ridotta spesso ad un microfono ficcato nella gola di chi non vuole profferir parola, o immiserita in interviste a bambini  figli di “mostri” che poi sono i nostri vicini di casa.
Non si prefigurano – come chiarisce inequivocabilmente una nota congiunta Ordine/Sindacato regionale/Fnsi (4 maggio) – limitazioni alla libertà di chi è chiamato ad esercitare il diritto-dovere di informare i calabresi, non si chiudono le porte ai  giornalisti e non viene meno la collaborazione con gli organi di stampa.
C’è, anzi, una norma che subordina l’accredito del giornalista da parte dell’Assemblea calabrese alla condizione che la testata per cui lavora abbia nel suo organico almeno un giornalista contrattualizzato.  Ai tanti colleghi che oggi lavorano in nero o per pochi euro a pezzo, il “Protocollo” dà un’occasione.
Estensivamente, poi (carta canta! si deduce che per l’attribuzione della pubblicità istituzionale le testate che non hanno neppure un contrattualizzato, d’ora in avanti possono metterci una pietra sopra.
Forse  il “Protocollo” non sarà, come ha asserito non un politico malefico ma il presidente nazionale della Fnsi, Giovanni Rossi, “il primo  positivo laboratorio nel suo genere all’interno del sistema delle Regioni italiane”, ma insomma neppure l’orco che si mangia i giornalisti.
Tra l’altro, durante l’affollata presentazione del “Protocollo” (30 aprile, cinque giorni prima che la polemica s’accendesse) prevedendo che potessero insorgerebbe equivoci ed interpretazioni strumentali, mi sono permesso, introducendo l’incontro cui hanno preso parte (oltre ai vertici di Sindacato ed Ordine) anche due ex presidenti dell’Ordine nazionale dei giornalisti del calibro di Mario Petrina e Lorenzo Del Boca (saggista e storico attento alle problematiche sul Risorgimento) di evocare una personalità come Mario Borsa, secondo il quale “la libertà di stampa è tutto” (1925), giusto per rimarcare  l’intento che ha mosso gli autori del documento, assolutamente alieno da manie repressive.
Tornando, però, alle nostre più anguste disquisizioni e per stare sul punto: se l’accusa al “Protocollo” fosse di merito – come le due puntuali osservazioni contenute nell’editoriale del direttore del “Corriere della Calabria” –  la discussione avrebbe un  senso logico. E senz’altro  aiuterebbe a migliorare  un testo che, mentre consentirà di disciplinare non l’autonomia di chi fa informazione, ma le modalità di accesso dei giornalisti ai servizi messi a disposizione dal Consiglio regionale perché possano svolgere al meglio il loro lavoro, ha in sé anche – se condiviso da altre Istituzioni – la possibilità di costringere gli editori che hanno rapporti con le Regioni ad applicare il contratto a tantissimi colleghi che fanno con passione  un lavoro malpagato.
Se, invece,  il “Protocollo” è il pretesto per scagliarsi contro una politica aprioristicamente giudicata irriformabile e, di conseguenza, da trattare  come feccia di cui disfarsi nel modo più spiccio, ci si accomodi pure, ma si abbia l’onestà di dirlo apertis verbis.
Come vedo io, operativamente, il tutto, “Protocollo” vigente e giusto per semplificare? I giornalisti accreditati (dall’Ufficio Stampa e senza alcuna discrezionalità) entreranno nel Palazzo, avranno un badge e un cartellino “stampa”, potranno muoversi ovunque, accomodarsi in Tribuna Stampa, utilizzare la Sala Stampa, raggiungere l’Ufficio Stampa che è a loro disposizione.
Il limite? Certo che c’è il limite. Non potranno accedere, specie quando ci sono le sedute del Consiglio e salvo autorizzazioni concordate con i diretti interessati, direttamente o tramite la mediazione dell’Ufficio Stampa, negli spazi riservati agli uffici o agli organi di governo dell’Assemblea.
Non si sprechi, pertanto, dopodiché ognuno si autodetermini come crede, quest’occasione utile offerta da un’Assemblea legislativa regionale: si provi, al contrario, a valorizzarne i tratti innovativi. Ed a costituire, quanto prima possibile, un’associazione dei cronisti parlamentari calabresi, che riesca non soltanto ad autodisciplinare i servizi a disposizione della stampa, ma anche a dare più valore, incisività ed autorevolezza ad  una professione che deve fare i conti con le sconvolgenti trasformazioni in atto.

Romano Pitaro
Capo Ufficio Stampa del Consiglio regionale della Calabria

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *