Architetto e giornalista pubblicista, ha sempre privilegiato nel suo lavoro il paesaggio industriale e le aree urbane

Addio al fotoreporter Basilico, poeta dell’architettura

Gabriele Basilico

Silvia Lambertucci
ROMA – Palazzi corrosi, mutilati, sventrati. E poi strade deserte, automobili che si fanno largo fra i calcinacci, un ambulante che offre le sue mercanzie sotto un albero, davanti alle macerie di un intero quartiere. Sono le drammatiche immagini di Beirut scattate nel ’91, a guerra civile appena conclusa, da Gabriele Basilico, uno dei lavori più intensi e più belli, del grande fotografo documentarista milanese morto oggi.
Nato a Milano il 12 agosto 1944, era giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei giornalisti della Lombardia dal 23 settembre 1985. Architetto prima ancora che fotografo, Basilico ha sempre avuto come campi d’azione privilegiati del suo lavoro il paesaggio industriale e le aree urbane. E se sono indimenticabili le immagini della sua Beirut, altrettanto forti, rigorose e indagatrici, eppure sempre in qualche modo poetici, appaiono i suoi racconti di altre città, da Napoli a Milano, Roma, Berlino, Buenos Aires, Istanbul, sempre rigorosamente in bianco e nero.
A dargli notorietà internazionale è nel 1982 un reportage sulle aree industriali milanesi (Ritratti di Fabbriche, Sugarco). A metà degli anni ’80 è invitato dal governo francese a far parte del gruppo di fotografi impegnati nella Mission Photographique de la Datar a documentare le trasformazione del paesaggio transalpino. E il suo contributo a questa missione viene esposto poi a Tokyo in una grande collettiva del 1985.
Seguono anni di intenso lavoro in cui si alternano commissioni pubbliche e ricerche sul territorio che sono state raccolte in libri in qualche modo di culto come: Italia&France (Jaca Book), Bord de Mer (Ar/Ge Kunst), Porti di Mare (Art&), Paesaggi di Viaggi (Agf), Scambi (Peliti), L’esperienza dei luoghi (Art&) fino all’esperienza sconvolgente della serie realizzata nella martoriata Beirut (Basilico Beyrouth 1994).
Del 2005, pubblicato da Baldini e Castoldi Dalai, è per esempio Scattered City, letteralmente “Città diffusa” liberamente ricomposte in una sequenza indifferente a criteri cronologici, tipologici e geografici. Una sequenza, spiegava lo stesso Basilico, che segue piuttosto il flusso “di una narrazione empatica”.
Tema centrale, la periferia, intesa come luogo di confine, ma anche fenomeni di crescita e trasformazione del tessuto urbano. Periferia come luogo “dove tutto è possibile, e dove tutto può accadere. Come in un corpo in crescita dove la tensione principale è l’attesa per il futuro”.
Immagini di città che evocano altre città, come si ritrova in molti dei suoi lavori, frammenti urbani che rimandano ad altri frammenti: “Nella percezione visiva, nell’esplorazione di un luogo nuovo – spiegava ancora Basilico in una conversazione a quattro con Yona Friedman, Hans Ulrich Obrist e Stefano Boeri pubblicata nel volume – tutti i luoghi già visti e “fotograficamente” registrati nella memoria, sono virtualmente presenti. L’immaginario è per me il dialogo, la compresenza di diversi luoghi e del modo di registrarli”.
Tra le ultime mostre di Basilico quella che è stata ospitata fino al 6 gennaio scorso a Napoli nella splendida cornice di Villa Pignatelli organizzata da Incontri Internazionali e da la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico, artistico, etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli e curata da Achille Bonito Oliva. (Ansa)

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