Il direttore di “Calabria Ora” denuncia: “Le frasi contenute nella relazione della Dna sono gravissime e senza precedenti”

“Vogliono sospendere la libertà di stampa in Calabria”

Piero Sansonetti

Piero Sansonetti

RENDE (Cosenza) – Le frasi contro la libertà di stampa contenute nella relazione della “Dna” (direzione nazionale antimafia) al Parlamento, sono gravissime e probabilmente senza precedenti nella storia della Repubblica. Si tratta di una vera e propria richiesta di sospendere la libertà di stampa in Calabria, cioè l’articolo 21 della Costituzione e forse persino la libertà di opinione.
Probabilmente il magistrato che le ha scritte non si è reso ben conto di cosa stava scrivendo, e vogliamo credere che la ragione di questo attacco frontale alla democrazia repubblicana sia dovuto semplicemente alla scarsa preparazione storico-politica (ma anche giuridica) di un singolo, e non ad un disegno organico di tipo sovversivo e reazionario.
La relazione è stata scritta sotto le responsabilità del capo della Dna Piero Grasso, che era ora si è dimesso per partecipare alle elezioni ma all’epoca era ancora in carica. E’ chiaro che al dottor Grasso è sfuggito quel passaggio, che non ha niente a che fare con la sua cultura e i suoi punti di vista democratici. Però, anche per lui, è un incidente gravissimo.
E’ necessario che nelle prossime ore il dottor Grasso intervenga per fare chiarezza ed è necessario che intervengano anche le massime autorità: il Csm e il capo della Magistratura, cioè il Presidente della Repubblica.
Se questo non avverrà immediatamente chiediamo al sindacato dei giornalisti e all’Ordine di fare sentire la propria voce perché il tema non può essere sottovalutato e riguarda la saldezza della democrazia.
Qual è il senso della nota inviata dalla Dna in Parlamento? Molto semplice: si afferma che la lotta alla ’ndrangheta è una cosa troppo seria per essere lasciata in mano al libero giornalismo. E che siccome la ’ndrangheta è un cancro tutti devono muoversi contro la ’ndrangheta seguendo le indicazioni della  magistratura, senza criticare e senza libere interpretazioni. (“non è materia opinabile e le polemiche devono svolgersi solo dentro certi confini”). L’accusa alla stampa calabrese (in modo del tutto evidente a “Calabria Ora”) è quella di non essere obbediente e allineata e di spingersi fino a polemizzare con singoli magistrati.
Ci sono da fare due osservazioni. La prima di carattere storico la seconda attualissima.
Dal punto di vista storico occorre notare che la pretesa di ordinare alla stampa come comportarsi era scomparsa in Italia dal 1945. L’unico precedente storico, nel novecento, è stato il “minculpop” cioè il ministero della cultura popolare ai tempi del fascismo, il quale aveva il compito di indirizzare la stampa, fornirgli indicazioni e linee ed eventualmente censurarla. Il minculpop era espressione del potere politico fascista, ora invece la Dna propone un controllo da parte del potere giudizio, e questo veramente non ha precedenti in nessuno stato laico.
Dal punto di vista dell’attualità invece è chiara una cosa: la forzatura contenuta in questa nota sta dentro una battaglia che è aperta ormai anche dentro la magistratura tra scuole di pensiero diverse su come si deve condurre la lotta alla mafia. L’idea che non basti il militarismo e la repressione e il 41 bis si sta diffondendo.
Proprio nei giorni scorsi, sempre in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, aveva espresso dei giudizi molto interessanti a questo proposito. Ponendo il problema della cosiddetta “zona grigia”, e cioè della borghesia vicina alla mafia, non in termini “militari” ma invece con grande realismo. Borrelli aveva osservato come sia molto difficile battere la mafia se non si capisce quanto essa sia radicata profondamente non solo nel potere politico ma proprio dentro la società civile, tra le professioni, nell’economia. Cosa vuol dire? Semplicemente che la lotta alla mafia deve essere combattuta su diversi fronti: la magistratura può perseguire i reati e cercare i responsabili, ma non può riformare la società, e cioè affrontare il problema della mancanza di diritti, del crescere delle sopraffazioni, delle gerarchie sociali ed economiche, dello sfruttamento. Questo è compito dei partiti, e anche dei giornali. Se però si invertono le parti e i giudici decidono di dirigere la politica o addirittura di dirigere i giornali e chiedono a politica e giornali di obbedire e  non di infornare, una cosa è certa: la mafia vincerà ancora per cent’anni.
Piero Sansonetti (direttore di “Calabria Ora”)

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