Introdotti dal Governo Berlusconi e confermati dal Governo Monti, interessano 930 giornalisti Inpgi

La Consulta cancellerà i tagli su tutte le pensioni

Pierluigi Roesler Franz

Pierluigi Roesler Franz

ROMA – Fra tre mesi saranno cancellati i tagli su tutte le pensioni pubbliche e private superiori rispettivamente ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l’anno, introdotti nell’estate 2011 dal governo Berlusconi e poi confermati dal governo Monti.
Il 23 aprile prossimo, infatti, la Corte Costituzionale (giudice relatore il professor Giuseppe Tesauro) si pronuncerà sul ricorso del Giudice unico della Corte dei Conti della Campania, dott. Cassaneti, cui si era rivolto un suo ex presidente da tempo in pensione, il dott. Salvatore Staro, 80 anni, lamentando l’ingiustificata ed illegittima riduzione per legge del suo vitalizio superiore ai 90 mila euro lordi l’anno.
Nell’ordinanza già pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale si sostiene che l’art. 18, comma 22-bis, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011 n. 111 violerebbe ben 5 norme della Costituzione, e in particolare gli artt. 2, 3, 42, 53 e 97.
La Corte dei Conti ha, tuttavia, erroneamente indicato che la legge del 2011, che ha introdotto una sorta di supertassa sulle pensioni più “ricche”, riguarderebbe esclusivamente le pensioni dei dipendenti pubblici. Ma non é affatto così perché colpisce senza distinzione tutti i pensionati pubblici e privati titolari di trattamenti di quiescenza di importo superiore ai 90 mila euro lordi l’anno. Ne é prova che solo tra i titolari di pensioni Inpgi hanno subito il taglio 930 giornalisti.
Il verdetto della Consulta, che riguarderà automaticamente anche ex magistrati, ex avvocati dello Stato, ex ambasciatori, ex generali, ex ammiragli, ex dirigenti pubblici, ex manager pubblici e privati, ex notai, ex avvocati, appare comunque scontato perché l’Alta Corte al punto 7.3.3.2 della motivazione della sentenza n. 241 del 24-31 ottobre 2012 ha testualmente affermato che, il contributo previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie “ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici” già dichiarato illegittimo con la sentenza n. 223 del 2012.
La norma contestata, infatti, “integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come tributario”.
Purtroppo, ma solo per un banale motivo tecnico, cioè per un “pasticcio giuridico” (dovuto all’accavallarsi di un secondo decreto-legge del governo Berlusconi nel giro di appena un mese poi non convertito dal Parlamento, vedere appresso, n.d.r.), la Consulta non aveva potuto dichiarare l’incostituzionalità del taglio inizialmente introdotto dal governo Berlusconi con l’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 poi convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 in base al quale era previsto un contributo di perequazione per trattamenti pensionistici i cui importi complessivamente superino i 90.000 euro lordi annui, pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro e al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro. Per l’esattezza tale norma è stata successivamente integrata dal governo Monti con l’art. 24, comma 31 bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214 (meglio noto come decreto “Salva Italia”), che ha previsto il taglio del 15 per cento per la parte eccedente i 200.000 euro.
Si era così determinato il “pasticcio giuridico”, in quanto il comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 13 agosto 2011 ed entrato in vigore il 13 agosto 2011) che aveva abrogato il comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 15 luglio 2011, non era divenuto operativo per mancata conversione nella legge 14 settembre 2011 n. 148, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011 ed entrata in vigore il 17 settembre 2011, che li aveva sostituiti con una disposizione che si era limitata a riaffermare la perdurante efficacia del comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98 del 2011.
Ora, invece, il Giudice unico della Corte dei Conti della Campania dott. Cassaneti ha individuato l’esatta norma di legge da cancellare e la Consulta il 23 aprile prossimo non potrà far altro che accogliere tale eccezione, applicando lo stesso principio giuridico già fissato pochi mesi fa nella sentenza n. 241 del 2012 conseguente alla pronuncia n. 223 dell’8-11 ottobre 2012 che aveva eliminato i tagli sugli stipendi dei soli magistrati.
La sentenza determinerà, inevitabilmente, un “buco” nel bilancio dello Stato che dovrà essere subito ripianato dal governo introducendo nuove misure economiche che a parità di gettito tributario complessivo per le casse dello Stato e con equità ed equilibrio – in applicazione dell’art. 53 della Costituzione – colpiscano indistintamente tutti i contribuenti italiani al di sopra di un certo reddito, pensionati compresi, ma non più solo la categoria dei pensionati pubblici e privati oltre i 90 mila euro come sta, purtroppo, avvenendo dall’agosto 2011 ad oggi.
Pierluigi Roesler Franz (presidente Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, consigliere nazionale Odg e Sindaco Inpgi)

L’ordinanza della Corte dei Conti

Corte Costituzionale
Udienza Pubblica del 23 aprile 2013 rel. Tesauro
Reg. ord. n. 254 del 2012 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14/11/2012 n. 45
Ordinanza del Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Campania del 20/07/2012
Notifica del 14/09/2012
Tra: Staro Salvatore C/ Presidenza del Consiglio dei ministri e Inpdap
Altre parti: Inps
N. 254 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 luglio 2012
Ordinanza del 20 luglio 2012 emessa dalla Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Campania sul ricorso proposto da Staro Salvatore contro Presidenza del Consiglio dei ministri e Inpdap. Bilancio e contabilità pubblica – Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria – Interventi in materia previdenziale – Trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie i cui importi superino complessivamente i 90.000 euro lordi – Assoggettamento a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro – Lesione del principio di solidarietà sociale – Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo dell’irragionevolezza e del deteriore trattamento di pensionati del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato – Lesione del principio dell’indennizzo in caso di espropriazione – Violazione del principio di capacità contributiva – Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. – Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 18, comma 22-bis. – Costituzione, artt. 2, 3, 36, 42, comma terzo, 53 e 97, primo comma. (GU n.45 del 14-11-2012)
LA CORTE DEI CONTI
Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto  al  n. 64781/PC del registro di segreteria depositato  in  data  26  ottobre 2011 dal sig. Salvatore Staro, nato a Capua (CE) il 20 dicembre 1932, rappresentato e  difeso,  giusto mandato  a  margine  del  ricorso, dall’avv. Luigi Adinolfi e con questi  elettivamente  domiciliato  in Napoli alla via Po n. 1 (Parco  Parva  Domus) presso  lo  studio dell’avv. Stefano Sorgente, per  la riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento «nella sua interezza e con esclusione dell’applicazione delle norme del decreto legge 31 maggio 2010 n.  78 convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010 n. 122»;
Esaminati i documenti e gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza del giorno 31  maggio  2012  soltanto l’avv. Luigi Adinolfi, il quale, depositate copie dell’ordinanza n. 89/2012 e della sentenza non definitivo n. 53/2012 del Tar Calabria a sostegno della prospettazione attorea, ha sinteticamente  richiamato, altresì, i rilievi operati nel ricorso, insistendo perché venisse almeno parzialmente accolto e perché, comunque, venisse sollevata questione di legittimità costituzionale della disposizione di riferimento;
Premesso che
Con il ricorso indicato in epigrafe parte attrice, che ha evocato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Inpdap (Sede Centrale di Roma e Sede Provinciale di Caserta) provvedendo altresì a riassumere in data 3 febbraio 2012 l’atto introduttivo del giudizio nei confronti dell’Inps (subentrato  all’Inpdap  con decorrenza 1° gennaio 2012 per effetto dell’art. 21 della legge 22 dicembre 2011 n. 214, «Conversione in legge, con modificazioni,  del  decreto-legge  6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici»), ha chiesto con ampie e diffuse argomentazioni, esponendo preliminarmente di esse stato collocato in quiescenza con decorrenza 21 dicembre 2007 con  la qualifica di Presidente di Sezione della Corte dei Conti, il riconoscimento del suo diritto, previa rimessione degli  atti  alla Corte Costituzionale, a percepire il trattamento pensionistico ordinario nella sua interezza e senza l’applicazione della decurtazione stabilita dall’art. 18, comma 22-bis,  decreto  legge  6 luglio 2011 n. 98, convertito, Con modificazioni, in legge 15  luglio 2011  n. 111, con conseguente condanna delle amministrazioni resistenti alla corresponsione delle somme illegittimamente non erogate, con rivalutazione monetaria  ed  interessi, rilevandone  il contrasto con varie disposizioni costituzionali.
L’Inpdap – Direzione Regionale Campania e Molise si è costituito  in giudizio con nota inviata il 21 ottobre 2011 e reiterata il  16  aprile  2012, presentando altresì, per il tramite dell’Ufficio Avvocatura Inpdap, copie  di  documenti  pensionistici  relativi  alla posizione in controversia, quali la determinazione di pensione  n. NA012007003747 ed alcuni prospetti contabili.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri,  che  ha  trasmesso  in data  21  maggio  2012  gli  atti  liquidativi  del  trattamento   di quiescenza  del dott.  Salvatore Staro adottati  dal  Segretariato Generale e inviati a suo tempo all’Inpdap (ora Inps), ha poi prodotto in data 24 maggio 2012, per il tramite dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, comparsa di costituzione e risposta, in cui ha chiesto il rigetto della domanda attrice, ritenendola inammissibile ed infondata, con l’ausilio di articolate controdeduzioni circa la manifesta infondatezza dei rilievi d’incostituzionalità dall’art. 18, comma 22-bis, decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011 n.  111, proposti da parte attrice.
Considerato che
1. Il ricorrente, Presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007, titolare di pensione diretta di importo superiore a € 90.000,00 annui, con il presente ricorso chiede – come già anticipato nella premessa  in  fatto –  il  riconoscimento del proprio diritto di percepire il trattamento pensionistico  ordinario, da calcolare senza le decurtazioni  introdotte dall’art. 18, comma 22-bis, decreto legge  6  luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011 n. 111,  nonché  la  condanna dell’Amministrazione ai conseguenti pagamenti, se del caso  con  ogni accessorio di legge.
A sostegno del ricorso deduce l’illegittimità costituzionale del citato art. 18, comma 22-bis, decreto legge  6  luglio  2011  n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011  n.  111,  per violazione degli artt. 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100,  101,  108, 111 e 113 Cost.
La normativa contestata così dispone: «In considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere  dal 1°  agosto  2011 e  fino al  31  dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori di  forme  di  previdenza obbligatorie, i cui importi  complessivamente  superino  90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento dello parte eccedente  il  predetto  importo fino a 150.000 euro, nonché pari al 10 per cento per  la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per lo parte eccedente 200.000 euro; a seguito  della predetta  riduzione  il  trattamento pensionistico complessivo non può essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui…  La trattenuta relativa al  predetto contributo di perequazione è applicata, in via preventiva e  salvo conguaglio, o conclusione dell’anno di riferimento, all’atto
della corresponsione di ciascun rateo mensile. Ai fini dell’applicazione della predetta trattenuta è preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l’anno considerato. L’Inps, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni, è tenuto  a  fornire  a  tutti  gli  enti interessati i necessari elementi per l’effettuazione della trattenuta del contributo di perequazione, secondo  modalità proporzionali  ai trattamenti erogati. Le somme trattenute dagli enti vengono  versate, entro il  quindicesimo  giorno  dalla  data  in  cui  è erogato il trattamento su cui  è effettuata la trattenuta,  all’entrata  del bilancio dello Stato».
La disposizione dianzi riportata  prevede, altresì, che  alla  determinazione degli  importi  complessivi  dei trattamenti pensionistici concorrano «i trattamenti erogati da  forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563,  al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, al decreto  legislativo 5 dicembre  2005,  n.  252,  nonché  i  trattamenti  che  assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e  successive modificazioni, ivi compresa la gestione speciale  ad esaurimento di cui all’articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica  20 dicembre 1979, n. 761, nonché le gestioni di previdenza obbligatorie presso l’Inps per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle  aziende  private  del  gas e  per  il personale già addetto alle esattorie  e  alle  ricevitorie  delle imposte dirette».
Ritenuto che
2. Ritiene, anzitutto, il G.U. che sussiste  la  rilevanza  della questione di costituzionalità sollevata nel presente giudizio,  in quanto, non solo il gravame ha «un petitum separato e distinto  dalla questione di costituzionalità, sul quale il giudice  remittente  sia legittimamente chiamato,  in ragione  della  propria  competenza,  a decidere» (Corte Costituzionale, sentenze n. 4 del 2000 e n.  38  del  2009),  ma soprattutto il petitum medesimo concerne il riconoscimento del diritto del ricorrente a conservare il proprio trattamento pensionistico senza le decurtazioni disposte dal citato comma 22-bis dell’art. 18, per cui, trattandosi  di  disposizioni  di diretta ed immediata applicazione, sarebbe impossibile pervenire al riconoscimento di tale diritto, se non attraverso  la necessitata rimozione della norma attraverso la via della richiesta e correlata declaratoria di illegittimità costituzionale  di tale  disposizione normativa.
Se il G.U., invero, non dubitasse della compatibilità costituzionale della norma in esame rispetto ai precetti e principi della carta  fondamentale, la pretesa di parte attrice dovrebbe senz’altro essere dichiarata infondata e respingersi, in  quanto le decurtazioni stipendiali qui censurate sono fissate  direttamente ed inderogabilmente dalle  stringenti ed inequivoche disposizioni di legge applicate doverosamente dall’amministrazione datrice di lavoro, senza  alcuna possibilità di  applicazioni od  interpretazioni alternative.
Ritiene, inoltre, il G.U. che  le  questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 22-bis,  decreto  legge  6  luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011 n. 111 prospettate dal ricorrente, e comunque rilevabili d’ufficio, siano non manifestamente infondate sotto vari aspetti, per  quanto oltre si dirà.
3. Va premesso che il D.L. n. 98/2011 è  stato adottato, come espone in premessa, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica, al fine di ottemperare a quanto previsto dagli impegni presi in sede comunitario, nonché di emanare misure di stimolo fiscale  per  favorire  il  rilancio  della competitività economica».
Nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento della speso pubblica ed alla stabilizzazione finanziaria, si colloca, appunto, l’art.  18, relativo ad «Interventi  in materia previdenziale»,  che  impone  ai  pensionati  pubblici  sacrifici  di considerevole entità. In sintesi, le previsioni sono le  seguenti; aumento dell’età pensionabile delle donne dipendenti del settore privato e delle  lavoratrici  autonome; blocco  della rivalutazione delle pensioni superiori  a cinque  volte  il  minimo, che avranno diritto ad una perequazione ridotta al 70% solo per la fascia fino a tre volte il trattamento minimo; contributo «di solidarietà», trattenuto dall’Ente erogatore del trattamento pensionistico, per i titolari di pensione superiore ai 90.000 € lordi annui (cd. «pensioni d’oro»: comma 22-bis, disposizione della cui applicazione di controverte); anticipo al 2013 dell’aumento dell’età pensionabile legato all’aspettativa di vita; posticipo della finestra mobile per i lavoratori che vanno in pensione di anzianità con 40 anni di contribuzione; riduzione delle pensioni ai superstiti; obbligatorietà della iscrizione dei pensionati con reddito da lavoro autonomo alle casse dei professionisti; vari criteri di interpretazione autentica che mettono fine al contenzioso intrapreso dai pensionati e dai lavoratori.
4. Occorre anzitutto osservare che «una norma così concepita appare configurarsi come prestazione patrimoniale imposta, ex art. 23 Cost., nonché come  prelievo  forzoso  di  natura  tributaria, che dovrebbe  essere rispettoso dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3  Cost.) correlati  a quello di capacità contributiva (art. 53 Cost.).
Infatti, l’imposizione di detti nuovi sacrifici economici individuali è stata realizzata attraverso un atto autoritativo generale di carattere  ablatorio e  la destinazione  del gettito scaturente da tale ablazione concorre al fabbisogno finanziario dello Stato sotto forma di risparmio di spesa.
In realtà, al di là del nomen (risparmio, rallentamento di dinamiche retributive, contributo, ecc.), si tratta di un vero e proprio prelievo  forzoso di  somme stipendiali a copertura di fabbisogni  finanziari indifferenziati  dello Stato apparato» (ordinanza n. 74/2012 Tar Trento).
Sussistono, pertanto, a parere del G.U., gli elementi basilari per qualificare  quella in  esame, quale  disposizione  tributaria, ovvero l’ablazione di somme trattenute da  parte dell’erogatore del trattamento e  da costui successivamente versate nelle casse dell’Erario e la destinazione delle somme in questione all’apprestamento di mezzi necessari al fabbisogno dello  Stato  (C. Cost., sent. n. 11/1995).
Invero – come  diffusamente osservato da parte ricorrente – le trattenute da effettuare  autoritativamente e senza sinallagmaticità sui trattamenti pensionistici indicati  dalla surriportata disposizione nel triennio ivi indicato, sono finalizzate – come espressamente previsto sia nel preambolo del decreto legge  n. 78/2011 e sia nel comma 22-bis dell’art. 18 –  al  raggiungimento  di «obiettivi di finanza pubblica» e di  finalità di «stabilizzazione finanziaria», da realizzarsi mediante il minor depauperamento dell’Erario risultante dall’erogazione di importi pensionistici pubblici di inferiore importo.
Tuttavia, i  pesanti sacrifici  imposti dallo legge gravano soltanto su alcune categorie di pensionati, lasciando inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte le altre categorie dei settori previdenziali privato  ed  autonomo: categorie tutte caratterizzate dall’unitarietà riconducibile al principio costituzionale di tutela dei pensionati, appunto.
Invero, nonostante sia ben noto ed ormai acquisito il principio della possibilità di una disciplina differenziata del rapporto previdenziale pubblico rispetto a  quello  privato  –  in  quanto  il processo di omogeneizzazione  dei  due  settori  incontra  il  limite costituito dalla necessità di razionalizzare il costo del personale, anche sotto  il  profilo previdenziale, contenendone la spesa complessiva, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica – nel caso di specie, tuttavia, non si tratta di misure inerenti una diversa disciplina dei soli trattamenti previdenziali pubblici, attraverso raffreddamento o rideterminazione  in  pejus  dei  livelli pensionistici, ma di un vero e proprio prelievo fiscale imposto non a tutti i pensionati, ma esclusivamente a quelli  pubblici,  nonostante unica ed omogenea sia, sul piano causale ed eziologico, la fonte  del prelievo.
Quindi, il principio  solidaristico  di  cui  all’art. 2 Cost., valido per tutte le categorie  di  cittadini, va coordinato con  i principi di  eguaglianza, parità di trattamento e capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.). Quindi, la scelta de qua, rientrante senz’altronella discrezionalità del legislatore, avrebbe dovuto essere esercitata entro i limiti fissati dagli artt. 3 e 53 Cost, in punto di uguaglianza, ragionevolezza, equità, proporzionalità e rispetto del principio di capacità contributiva.
Come giustamente ricordato  dal  Tar di Trento  nella  surrichiamata ordinanza n. 74/2012, «analoga questione è già stata posta, negli stessi termini, con riferimento ad altra nota e storica “manovra di bilancio” del nostro Paese, approntata nel 1992 con il  decreto-legge n.  384  di quell’anno per far fronte ad un’altra situazione emergenziale altrettanto grave quanto la attuale. Tale questione era stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte  Costituzionale con l’ordinanza 14 luglio 1999 n. 299, nel rilievo che «questa  Corte ha già affermato che il decreto-legge  n.  384  del  1992  è stato emanato  in un momento assai delicato per  la vita economico-finanziaria del Paese, caratterizzato dalla necessità di recuperare l’equilibrio di  bilancio …che per esigenze così stringenti il legislatore ha imposto a tutti sacrifici anche onerosi (sentenza n. 245 del  1997)  e  che  norme  di  tale  natura  possono ritenersi  non  lesive  del  principio  di  cui  all’art.  3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di  uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza)». Tuttavia, la stessa Corte ha precisato – in  quel frangente ed anche in altri, definiti con l’ordinanza n. 341/2000 e con la sentenza n. 92/1963 richiamate da parte ricorrente  –  che  il sacrificio economico richiesto  dal  provvedimento legislativo deve avere carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario e consentaneo allo scopo prefisso,  cioè,  non solo  dev’essere  limitato ad un ristretto periodo di  tempo, ma anche deve  essere  razionalmente ripartito fra categorie  diverse  di  cittadini,  giacche’,  in  caso contrario,  ne  resterebbe  violato  il  principio,  desumibile dal combinato disposto degli artt. 3 e 53  Cost., dell’obbligo generale dei cittadini, improntato al principio di uguaglianza, di  concorrere alle  spese  pubbliche in ragione della specifica capacità contributiva.
Nel caso all’esame, invece, risultano  violati, ad  avviso del G.U., i  parametri costituzionali (artt.  3,  36  e  53   della Costituzione) sotto il profilo della  disparità di  trattamento e della sproporzione ed irrazionalità della misura, non essendo  state colpite le altre  categorie  di  pensionati,  pur se  percettori  di elevati trattamenti, e tanto meno i contribuenti in generale titolari degli stessi redditi.
In altri termini: imponendo l’esaminato prelievo ai soli pensionati pubblici percipienti trattamenti di importi superiori ai 90.000/150.000/200.000 €, con immotivato  ed  irrazionale  esclusione delle pensioni di analogo ammontare ma relative ai settori privato ed autonomo  e  –  comunque  –  di  quelle  di  diverso  ammontare,  la disposizione in esame non appare idonea a garantire risparmi di spesa o introiti tali  da  realizzare  significativamente  l’obiettivo  di stabilizzazione  della  finanza pubblica che la manovra complessivamente si propone, bensì si presenta come una  irrazionale ed immotivata, ma  soprattutto  discriminatoria,  imposizione  di  un sacrificio economico ad una ben precisa e limitata  categoria di soggetti, anziché alla collettività nel suo insieme, beninteso  nel rispetto del principio di proporzionalità, con la conseguenza che ne risultano  lesi  i  principi  solidaristico,  di  uguaglianza e  di assoggettamento al prelievo fiscale  in  proporzione  alla  capacità retributiva (artt. 2, 3 e 53 Cost.).
Parte ricorrente lamenta, altresì –  secondo  orientamento  già fatto proprio dal Tar Calabria – Sez. Reggio Calabria  nell’ordinanza n. 89/2012 – che la lesione dei principi in parola emerge evidente in ragione del fatto che viene sottoposta a prelievo una categoria  di sicura «tassabilità» per via  della  garanzia  della  ritenuta  alla fonte e che, al di là  di  ogni  altra  giustificazione  ravvisabile nella ratio dell’istituto, il ricorso al prelievo fiscale è indotto dall’incapacità (tecnica o politica) di perseguire l’evasione fiscale, con conseguente vantaggio  di  fatto per  le  pensioni non derivanti da lavoro dipendente nel settore pubblico. Anziché impegnarsi nella predisposizione di strumenti fiscali efficaci  nella prevenzione di tale fenomeno, il Legislatore avrebbe inspiegabilmente ed ingiustificatamente aumentato gli squilibri, trascurando del tutto di colpire le ricchezze  evase  al  fisco  e  persino gli  introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali  le  rendite  catastali  e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di pensionati, colpevoli unicamente di appartenere al settore pubblico e  di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente «attaccabili».
5. Per quanto sin qui  osservato, la  norma all’esame  risulta lesiva anche dei principi contenuti nell’art. 42, comma  3°,  e  97, comma  1°,  Cost., cioè, rispettivamente, del principio di espropriabilità della proprietà privata – che nel caso che si esamina ha ad oggetto il bene fungibile costituito dal denaro – per ragioni d’interesse generale ma ad opera di provvedimenti della P.A. e nel rispetto di norme di  legge e di regole di buon andamento dell’azione amministrativa, nonché –  e di conseguenza – del principio di imparzialità della medesima azione  amministrativa.
Invero, l’art. 18, comma 22-bis, decreto legge n. 78/2011 colpisce, con intervento ablatorio legislativo  e  non  amministrativo, una determinata categoria di soggetti, in assenza di previa valutazione, mediante adeguata istruttoria, degli interessi coinvolti e senza che sia prevista la corresponsione  di  un’indennità di  ristoro – ovviamente  non  di  tipo  economico  –  in  favore  di  chi  subisce l’imperativa sottrazione, laddove l’accurato esame degli interessi in gioco e la ponderata decisione della misura e delle  modalità del sacrificio secondo il  principio  costituzionale di  buon  andamento (art.  97 Cost.) non può non valere  anche  per  il legislatore-amministratore.
6. Va, peraltro, rilevato – come già condivisibilmente statuito nell’ordinanza n. 89/2012 del Tar Calabria Sezione di Reggio Calabria – che non si ritiene di poter condividere il motivo di censura secondo cui, in violazione  degli  artt.  41  e  97  Cost.,  la  disposizione  qui esaminata introduce effetti distorsivi della concorrenza perché,  in virtù delle differenze  di  trattamento  più  volte  enunciate  tra settore pubblico e settore privato, rende maggiormente appetibile, rispetto al primo, quest’ultimo, con conseguente depauperamento delle risorse pubbliche (a seguito dell’emigrazione di  professionalità o della necessità di aumentare le retribuzioni  sotto  altri  profili, per difenderne la competitività).
«La censura è prospettata con genericità, in via meramente ipotetica e trascuro di porre adeguatamente in rilievo tutti  i termini di comparazione tra le due grandezze  di  riferimento,  nelle quali confluiscono anche valori diversi dalla mera retribuzione, come il  senso  di   servizio   verso   le   Istituzioni,  il prestigio dell’attività, la sicurezza nell’impiego» (ordinanza n. 89/2012  del Tar Calabria Sezione Reggio Calabria).
7. Infine, il  G.U. ritiene di non poter  neppure  procedere all’esame della domanda, formulata dal difensore del  ricorrente  nel corso dell’odierna udienza, di parziale accoglimento del gravame, in quanto tale istanza è stata avanzata in modo del  tutto generico, senza, cioè, che ne venissero specificati petitum e causa petendi, elementi fondamentali affinché si possa effettuare l’esame in  sede giurisdizionale di  qualsivoglia istanza, domanda, eccezione o deduzione.
8. Tanto premesso, in applicazione dell’art. 23 della legge cost. n. 87/1953, riservata ogni altra decisione all’esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, il  G.U. solleva l’incidente di costituzionalità dell’art. 18, comma 22-bis, decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011 n. 111 con riferimento agli artt. 2, 3, 53, 42 e 97 Cost. per le ragioni che precedono, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
Dichiara  rilevante  per  la decisione  del  ricorso  e  non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 22-bis, decreto  legge  6  luglio  2011  n.  98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio  2011  n. 111  per violazione degli  artt. 2,  3,  53,  e 97  Cost., conseguentemente disponendo la sospensione del giudizio e la trasmissione  degli  atti alla Corte Costituzionale.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria della Sezione, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia comunicata al  Presidente  del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
Così deciso in Napoli, nella pubblica udienza del 31 maggio 2012.

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