Solo incrementando l’offerta stabile di lavoro giornalistico si tutelano qualità, dignità professionale e libertà di stampa
Dario Fidora
Dario Fidora
PALERMO – I temi del dibattito interno alla categoria dei giornalisti riguardano il costante e drammatico crollo del mercato del lavoro pubblico e privato ed il ruolo attivo del sindacato per fronteggiare la situazione.
Sul fronte della pubblica amministrazione è in atto infatti un generale processo “espulsivo” di delegittimazione del ruolo professionale del giornalista, del tutto contrario ai principi della legge 150/2000.
Nel settore privato gli editori continuano a tagliare il numero degli assunti aumentando quello degli autonomi, riducendone però il più possibile il costo aziendale (vedi anche il recente passaparola Fieg per trasformare i cococo in partite Iva, sfruttando le opportunità fornite agli editori dalla riforma Fornero che penalizza i giornalisti in quanto iscritti ad un ordine professionale).
L’enorme massa dei collaboratori precari sottopagati continua a rendere sempre più debole la posizione contrattuale dei redattori assunti. Più sono numerosi e meno sono pagati i giornalisti “autonomi”, migliore è il controllo dell’editore. L’asservimento dei giornalisti precari da parte degli editori ha nei fatti disarmato il sindacato. Quando non si può più neppure indire uno sciopero perché si sa che il giornale uscirebbe lo stesso, ogni battaglia sindacale è persa in partenza.
L’unico serio e significativo recente successo della categoria, di portata rivoluzionaria, è stata la battaglia che nell’arco di circa dodici mesi ha portato alla Carta di Firenze e alla legge sull’equo compenso. Norme però che sono ancora in corso di attuazione.
Le risposte sindacali che occorrono sul territorio come interventi di sistema sul mercato del lavoro pubblico e privato devono prevedere proposte di iniziative legislative su base regionale per l’incremento dell’offerta stabile di lavoro, subordinato od autonomo che sia.
Nel settore pubblico, attraverso interventi mirati alla valorizzazione del ruolo professionale del giornalista, a garanzia della libertà d’informazione, e l’applicazione delle previsioni della legge 150/2000 nell’attività istituzionale di tutti gli enti locali.
Nel settore privato, contrastando la precarizzazione del sistema d’informazione utilizzando l’arma delle norme sull’equo compenso. Occorre garantire per legge il rispetto di due principi fondamentali: chiunque svolga lavoro giornalistico ha diritto ad un compenso equo; il lavoro giornalistico autonomo va retribuito in misura maggiore di quello dipendente.
I risultati sarebbero: l’aumento dei compensi e la diminuzione del numero dei collaboratori autonomi (di conseguenza, quello degli iscritti all’albo); l’aumento delle assunzioni (anche a tempo determinato); l’aumento della produzione di informazione di qualità, l’unica che può garantire il mercato del lavoro.
L’informazione di qualità “vende”, i giornali che non vendono chiudono o licenziano oppure pretendono di sottopagare la maggior parte dei giornalisti.
Le iniziative legislative regionali dovrebbero prevedere contribuiti ed agevolazione agli editori virtuosi. A chi, invece, non rispetta i criteri di un equo compenso dovrebbe essere proibito perfino acquisire ogni forma di pubblicità da parte degli enti pubblici, da quella istituzionale ai bandi di gara.
Nuove iniziative legislative
Più volte durante quest’anno gli organismi sindacali del lavoro autonomo hanno sostenuto l’esempio di alcune regioni italiane (ad oggi sei) che hanno formulato iniziative legislative regionali bipartisan con misure in favore del settore dell’informazione (occupazione, incentivi e misure contro la precarizzazione e l’equo compenso, autoimpresa, etc.). In vista delle prossime elezioni le organizzazioni di categoria potrebbero promuovere incontri con candidati di tutte le forze politiche, impegnandoli in fase pre-elettorale attraverso la formulazione di piattaforme normative di sostegno al lavoro giornalistico, nel settore pubblico e privato.
L’informazione non è un hobby
Si torna così allo stesso nodo critico: riassegnare alle aziende editoriali il ruolo di datori di offerta stabile di lavoro giornalistico, non di imprese che licenziano, pensionano ma non riassumono, approfittando della presenza di una moltitudine di precari e postulanti bisognosi costretta ad accettare compensi sempre più al ribasso in condizioni di lavoro che compromettono il concetto stesso di libertà di stampa.
La Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi ha combattuto, sostenendo fortemente con un impegno costante in ogni sua fase, le battaglie che hanno coinvolto l’intera categoria portando in poco tempo alla Carta di Firenze e alla legge sull’Equo compenso. I diritti e i principi sanciti dalle due normative rappresentano una rivoluzione copernicana nella disciplina dei rapporti di lavoro giornalistico.
Occorre ora pretenderne l’applicazione.
Gli stessi diritti e principi debbono ispirare la formulazione del nuovo contratto di lavoro giornalistico, dove è necessario prevedere la tutela “dei collaboratori free lance e dei precari (con caratteristiche professionali di impegno e di reddito) all’interno del lavoro regolamentato soprattutto dal punto di vista previdenziale”, come sottolineato il 12 dicembre 2012 dal Consiglio nazionale Fnsi. L’obiettivo è un sistema dell’informazione forte, non più precario.
Solo incrementando l’offerta stabile di lavoro giornalistico si tutelano qualità, dignità professionale e libertà di stampa
Giornalisti: l’equo compenso è un punto di partenza
Dario Fidora
Dario Fidora
PALERMO – I temi del dibattito interno alla categoria dei giornalisti riguardano il costante e drammatico crollo del mercato del lavoro pubblico e privato ed il ruolo attivo del sindacato per fronteggiare la situazione. Sul fronte della pubblica amministrazione è in atto infatti un generale processo “espulsivo” di delegittimazione del ruolo professionale del giornalista, del tutto contrario ai principi della legge 150/2000.
Nel settore privato gli editori continuano a tagliare il numero degli assunti aumentando quello degli autonomi, riducendone però il più possibile il costo aziendale (vedi anche il recente passaparola Fieg per trasformare i cococo in partite Iva, sfruttando le opportunità fornite agli editori dalla riforma Fornero che penalizza i giornalisti in quanto iscritti ad un ordine professionale).
L’enorme massa dei collaboratori precari sottopagati continua a rendere sempre più debole la posizione contrattuale dei redattori assunti. Più sono numerosi e meno sono pagati i giornalisti “autonomi”, migliore è il controllo dell’editore. L’asservimento dei giornalisti precari da parte degli editori ha nei fatti disarmato il sindacato. Quando non si può più neppure indire uno sciopero perché si sa che il giornale uscirebbe lo stesso, ogni battaglia sindacale è persa in partenza.
L’unico serio e significativo recente successo della categoria, di portata rivoluzionaria, è stata la battaglia che nell’arco di circa dodici mesi ha portato alla Carta di Firenze e alla legge sull’equo compenso. Norme però che sono ancora in corso di attuazione.
Le risposte sindacali che occorrono sul territorio come interventi di sistema sul mercato del lavoro pubblico e privato devono prevedere proposte di iniziative legislative su base regionale per l’incremento dell’offerta stabile di lavoro, subordinato od autonomo che sia.
Nel settore pubblico, attraverso interventi mirati alla valorizzazione del ruolo professionale del giornalista, a garanzia della libertà d’informazione, e l’applicazione delle previsioni della legge 150/2000 nell’attività istituzionale di tutti gli enti locali.
Nel settore privato, contrastando la precarizzazione del sistema d’informazione utilizzando l’arma delle norme sull’equo compenso. Occorre garantire per legge il rispetto di due principi fondamentali: chiunque svolga lavoro giornalistico ha diritto ad un compenso equo; il lavoro giornalistico autonomo va retribuito in misura maggiore di quello dipendente.
I risultati sarebbero: l’aumento dei compensi e la diminuzione del numero dei collaboratori autonomi (di conseguenza, quello degli iscritti all’albo); l’aumento delle assunzioni (anche a tempo determinato); l’aumento della produzione di informazione di qualità, l’unica che può garantire il mercato del lavoro.
L’informazione di qualità “vende”, i giornali che non vendono chiudono o licenziano oppure pretendono di sottopagare la maggior parte dei giornalisti. Le iniziative legislative regionali dovrebbero prevedere contribuiti ed agevolazione agli editori virtuosi. A chi, invece, non rispetta i criteri di un equo compenso dovrebbe essere proibito perfino acquisire ogni forma di pubblicità da parte degli enti pubblici, da quella istituzionale ai bandi di gara.
Nuove iniziative legislative
Più volte durante quest’anno gli organismi sindacali del lavoro autonomo hanno sostenuto l’esempio di alcune regioni italiane (ad oggi sei) che hanno formulato iniziative legislative regionali bipartisan con misure in favore del settore dell’informazione (occupazione, incentivi e misure contro la precarizzazione e l’equo compenso, autoimpresa, etc.). In vista delle prossime elezioni le organizzazioni di categoria potrebbero promuovere incontri con candidati di tutte le forze politiche, impegnandoli in fase pre-elettorale attraverso la formulazione di piattaforme normative di sostegno al lavoro giornalistico, nel settore pubblico e privato.
L’informazione non è un hobby
Si torna così allo stesso nodo critico: riassegnare alle aziende editoriali il ruolo di datori di offerta stabile di lavoro giornalistico, non di imprese che licenziano, pensionano ma non riassumono, approfittando della presenza di una moltitudine di precari e postulanti bisognosi costretta ad accettare compensi sempre più al ribasso in condizioni di lavoro che compromettono il concetto stesso di libertà di stampa.
La Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi ha combattuto, sostenendo fortemente con un impegno costante in ogni sua fase, le battaglie che hanno coinvolto l’intera categoria portando in poco tempo alla Carta di Firenze e alla legge sull’Equo compenso. I diritti e i principi sanciti dalle due normative rappresentano una rivoluzione copernicana nella disciplina dei rapporti di lavoro giornalistico.
Occorre ora pretenderne l’applicazione. Gli stessi diritti e principi debbono ispirare la formulazione del nuovo contratto di lavoro giornalistico, dove è necessario prevedere la tutela “dei collaboratori free lance e dei precari (con caratteristiche professionali di impegno e di reddito) all’interno del lavoro regolamentato soprattutto dal punto di vista previdenziale”, come sottolineato il 12 dicembre 2012 dal Consiglio nazionale Fnsi. L’obiettivo è un sistema dell’informazione forte, non più precario.