Da Fiuggi un’impietosa analisi su una crisi non più momentanea o congiunturale, ma strutturale. Pubblicità in caduta libera

Il web non compensa le perdite, ma è il futuro dell’editoria

La conferenza nazionale della Fnsi in corso a Fiuggi

FIUGGI (Roma) – Un calo di quasi 3 miliardi di euro negli investimenti pubblicitari nel settore dell’editoria dal 2007 ad oggi, con una flessione percentuale intorno al 22 per cento. Il 2012 si chiuderà con meno 13%, e il prossimo anno l’investimento previsto per l’intero settore (carta stampata, tv, web) sarà pari a 7 miliardi e mezzo, la metà dei quali sarà assorbita dalla televisione, il 16 per cento da internet, mentre la somma di quotidiani e periodici si attesterà intorno al 20 per cento.
Sono dati forniti da Roberto Binaghi, chief executive officier di Mindshare in Italia, intervenuto in videoconferenza da Milano alla conferenza nazionale dei comitati e fiduciari di redazione e della commissione contratto Fnsi, riuniti con la Giunta Esecutiva, in corso a Fiuggi.
Un quadro che, una volta di più, evidenzia la situazione critica in cui versa l’editoria. Si sperava in un recupero nella seconda metà dell’anno, si stimava un mercato con dati negativi ma non a questo livello, ha sottolineato Binaghi.
L’estate non ha portato buoni risultati, da giugno ad agosto il volume degli investimenti è stato su livelli che Binaghi ha definito “disastrosi”. Situazione quindi preoccupante, visto che si sono fermate le multinazionali e il rallentamento degli investimenti pubblicitari coinvolge trasversalmente tutti i comparti che li generavano e generano, nessuno escluso.
Anche se il settore moda e accessori sembra aver tenuto più di altri, pur registrando comunque una flessione. Binaghi ha parlato di recessione globale degli investimenti pubblicitari, che ha coinvolto la grande editoria ma anche la piccola che ha sempre comunicato attraverso la stampa locale. È ormai un anno che anche questa vive uno stato di sofferenza, che arriva anche ad un meno 15.
Crisi, quindi, non più momentanea o congiunturale, ma strutturale, e con il rischio che si arrivi addirittura a una “stabilizzazione” che non riporterà ai valori del 2006/2007 e su questi valori si dovrà quindi andare a ipotizzare il futuro.
Continua a crescere il mercato digitale, mentre la stampa ha perso intorno ai 18 punti. La televisione vive una situazione particolare: sale il digitale a fronte di un calo della tv tradizionale. Ciò nonostante si ritiene che la televisione continui ad essere un importante media capace di raccogliere anche il 50 per cento del mercato pubblicitario.
Tornando al digitale, continuano a nascere altre piattaforme, cresce la fruizione dei mezzi digitali per quanto riguarda l’informazione. Il che significa che gli italiani non si sono disaffezionati alle notizie, ma ora c’è un transito veloce dalla carta a internet. C’è anche un deterioramento di quello che passa dalla carta al digitale, infatti la carta ha sempre avuto un valore istituzionale, cosa che si perde sul web.
Binaghi ha aggiunto che la tv in Italia rimarrà l’unico mezzo ecumenico. Si è passati da 200 a 240 canali, con 12 milioni di telespettatori medi a fronte di dieci milioni. Ma questo anche a causa dell’invecchiamento del pubblico.
Si passa più tempo dedicato ai media, alla tv è dedicato un tempo rilevante. Si assiste a un invecchiamento delle piattaforme classiche, anche se resta fermo che c’è una grande fame di televisione soddisfatta da altre nuove piattaforme tv.
Su alcuni target la tv generalista è assolutamente in minoranza: sport e bambini arriva sotto al 50%. Il che sembrerebbe dimostrare che l’utente italiano è capace di andarsi a prendere altrove quello che sceglie di vedere. Altro aspetto: che si tratti di Sanremo o di Fiorello o per le primarie del Pd, ci sono persone in grado di commentare in diretta quello che sta accadendo.
Quello che prima era affidato al network è ora delegato agli utenti di Twitter o Facebook, finendo con il consegnare ai mezzi di informazione non più il compito di dare la notizia ma quello di fare l’approfondimento. Ad ogni modo, gli italiani si confermano legati agli audiovisivi.
Nel settore stampa la carta da giocare è quella del brand: laddove esiste infatti un brand forte, allora l’informazione è più seguita e più forte è l’adesione.

Ma i valori assoluti sono, comunque, destinati a calare. Per l’informazione, Google sta diventando al pari della stampa. Gli editori che riusciranno a lavorare sulla multipiattaforma riusciranno a recuperare dal web quello che perdono dalla carta stampata. Ma è anche vero – ha detto Binaghi – che quello che acquistiamo dal web è molto meno caro, quindi è difficile comunque compensare le perdite della piattaforma stampa.
C’è una revisione di prezzi e costi della pubblicità. È accaduto che nella crisi del 2008/2009 clienti importanti che stavano sulla stampa periodica sono arrivati sulla quotidiana che si è “concessa” alla moda. Pagine di grandi quotidiani si potevano pagare anche fino a 40mila euro, mentre oggi questi clienti non esistono più.
Da una media di 20-25mila euro a pagina ora si è a 10-15mila euro. E nell’ultimo anno non è stata questione di prezzo ma di domanda. Non c’è richiesta di pubblicità perché manca la gente che entra in negozio a comprare. Pagine che erano occupate da finanza e assicurazioni, oggi sono occupate dalla moda con un costo della pagina molto più basso.
Per Binaghi è probabile che ci vorrà molto tempo ma forse molte delle testate nate cartacee possano prioritariamente pubblicare sul web pur mantenendo una parte, seppur limitata, di pubblicazione cartacea.
In Italia, per un fatto culturale, la parte più anziana della popolazione è molto lontana dal web, ma la strada è quella. Il cambiamento non avverrà nell’immediato ma si avvia sulla strada del cambiamento. La parte web non violerà la versione cartacea ma la strada del cambiamento sarà sicuramente quella. (Agi)

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