Mercoledì a Roma, nella sede della Fnsi, la “Giornata della trasparenza” nella Pubblica Amministrazione

Giornalisti tra cronaca e trasparenza: Italia e Usa

Ilaria Bonuccelli (vicepresidente nazionale Unci)

Ilaria Bonuccelli

VIAREGGIO – Vorrei partire da un’esperienza personale. A maggio 2004, il Comune di Viareggio si rifiuta di consegnarmi, in qualità di giornalista del quotidiano Il Tirreno, l’elenco dei funzionari e dei dipendenti ai quali è stato riconosciuto il “premio di produttività” in virtù del lavoro svolto nell’anno appena trascorso. Secondo una prassi ormai consolidata, è certo che la distribuzione di questo plafond di risorse pubbliche avviene a pioggia, senza una valutazione reale dei meriti. Scopo del giornale è denunciare il malcostume.
La violazione della legge sulla trasparenza – la 241/1990, riformata (in senso peggiorativo) nel 2005 – è evidente. Con il presidente dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, Guido Columba, decidiamo che questo può diventare il casus belli della campagna a difesa della libertà di stampa, già minata dall’applicazione – pretestuosa – della legge sulla privacy.
Il caso è perfetto: non è così eclatante da costituire un’eccezione e rappresenta un episodio comune a tutte le pubbliche amministrazioni. Non resta, quindi, che chiedere il rispetto della normativa. Impossibile da ottenere a costi contenuti, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti.  Dove, fra l’altro, sono previste, per legge, tariffe speciali per gli avvocati che seguono questi casi e dove, l’amministrazione soccombente, è costretta ad assumersi tutti i costi.
Nel nostro caso, il tentativo di giustizia a costo zero – in tempi biblici – è finito in questo modo: due pronunciamenti del difensore civico a favore del giornale e dell’Unci. Due opposizioni del Comune. L’obbligo per il sindacato di ricorrere al Tar non esistendo altre vie legale se non un ricorso amministrativo – con una spesa minima di circa 5mila euro – per una sentenza che il 18 novembre ci ha riconosciuto il diritto ad avere l’elenco dei soldi distribuiti, ma in “forma anonima”, senza sapere a chi sono andati i soldi.
Esattamente 4 anni più tardi, la legge 69 del 2009 sulla semplificazione amministrativa (la legge Brunetta) ha obbligato tutte le pubbliche amministrazioni a pubblicare stipendi, curricula e perfino tasso di assenteismo dei dirigenti e dei loro dipendenti sui siti delle pubbliche amministrazioni. Smentendo la cervellotica sentenza del Tar Toscana del 2005.
Nessuna meraviglia, comunque, se si considera che alle elezioni amministrative di Lucca del 2007 l’ufficio elettorale ha tentato di impedirmi di verificare gli errori nei risultati elettorali con la motivazione che non ero residente nel comune dove si era votato. Come se il diritto all’esercizio della libertà di stampa fosse territoriale. E il diritto dei cittadini a essere regolarmente informati avesse un confine. Per poter informare i cittadini sui risultati delle loro votazioni: si deve essere nati o abitare nel Comune. Come se il diritto dei cittadini di essere informati possa essere soddisfatto, nel caso, solo da un giornalista toscano, mentre uno milanese o napoletano non possa farlo.
In Italia, comunque, è possibile che accadano questi fatti per due motivi: il primo è che siamo fanalino di coda in Europa rispetto alla legislazione sulla trasparenza; il secondo è che nel 2005 la norma che ha aggiornato la legge 241/90 ha reso ancora meno accessibile, almeno per i giornalisti, gli atti pubblici, distanziandoci dal paese che, almeno in termini di diritto, rappresenta uno degli esempi più avanzati: gli Stati Uniti. Dove l’applicazione della trasparenza e l’accesso agli atti, di tutti gli enti pubblici (forze di polizia e tribunali compresi) dipendono dal procuratore distrettuale (district attorney).

Interesse qualificato

Il primo deficit della normativa italiana, dal punto di vista della stampa, è contenuta nell’articolo 22 della legge 241/90: per accedere agli atti della pubblica amministrazione è richiesto un interesse  diretto, concreto e qualificato che non tutti gli enti riconoscono ai giornalisti. Il punto non è mai stato chiarito in modo definitivo e, a mio avvio, di proposito: così ciascuno può, a proprio piacere, negare l’accesso con teorie più o meno fantasiose l’accesso agli atti ai giornalisti.

Esattamente il contrario di quello che avviene negli Usa dove ciascuno Stato nella propria legge di accesso agli atti (Sunshine law o Pubblic record act) – tutte discendenti dal Freedom of information act – ribadisce: 1) che l’accesso è libero a chiunque; 2) che non c’è bisogno di precisare la ragione per la quale si accede  a un atto. Al riguardo è significativo quanto dichiarato di recente dall’avvocato che per lo stato della Florida segue le questioni della trasparenza: “Quando voi chiedete un atto pubblico, non dovete rivelare la vostra identità, dire il vostro nome né dare prova di chi siete perché l’accesso agli atti pubblici è per chiunque, indipendentemente da chi siete”.
Ma non è tutto. In Italia, quando un giornalista va a chiedere un documento spesso se lo sente negare perché potrebbe ledere anche l’interesse di un “contro interessato”, figura introdotta nella legge dall’aggiustamento inserito nel 2005 per tutelare tutti i soggetti che dall’esercizio dell’accesso “vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”. E allora serve un esempio per spiegare: se uno speculatore immobiliare ottiene una concessione edilizia per costruire 100 ville su una spiaggia vincolata, se un giornalista vuole vedere il progetto deve stare attento a non violare gli interessi dell’imprenditore, già tutelato dal parlamento.
Un’applicazione di questo tipo della normativa non avrebbe mai consentito di  denunciare la speculazione a danno del teatro Eden della Passeggiata a mare di Viareggio, lungomare vincolato dalle Belle Arti da poco più di 20 anni in seguito all’inchiesta che ha vinto il Premio cronista dell’Anno nel 1996:  l’assessore all’edilizia del Comune, infatti, proprietario del teatro, progettato da Ermete Zacconi, capostipite del Realismo in Italia, aveva autorizzato la sanatoria (illegittima) per gli appartamenti abusivi realizzati al posto dei camerini.
Con una sola operazione avrebbe distrutto il teatro e guadagnato molti soldi. Invece, il teatro è salvo, gli appartamenti non ci sono, la Passeggiata intera è stata tutelata dalla Sovrintendenza, tutta la giunta non è stata riconfermata (sindaco compreso) grazie al fatto che è stato possibile accedere agli atti comprese tutte le concessioni edilizie,  i condoni e i verbali delle commissioni edilizie.

Modalità

E’ l’altro mistero. Secondo il regolamento approvato con il Dpr 352/92  l’accesso, in primo luogo, avviene <in via informale, mediante richiesta, anche verbale> all’amministrazione di riferimento.  Solo se questa non va a buon fine (e il diniego deve essere motivato) allora si deve procedere con richiesta formale scritta, con obbligo di risposta entro 30  giorni da parte della pubblica amministrazione e obbligo di comunicazione per raccomandata se la richiesta non sia formalmente corretta. A parte il fatto che i tempi sono incompatibili con la professione giornalistica, sfido a trovare una raccomandata di una pubblica amministrazione su un procedimento di accesso.
Negli States, anche nei casi in cui la normativa è peggiorata nell’ultimo decennio, come nello Utah, il tempo massimo di attesa oscilla fra i 5 e i 10 giorni. Ma quello che fa la differenza è la sanzione e il procedimento per il ricorso. Oltre ai costi.

Sanzioni e ricorsi

In Italia, non esistono di fatto sanzioni per le pubbliche amministrazioni che non rispettino le norme di trasparenza. Mentre si prevedono sanzioni pesanti per i giornalisti che violino la privacy e anche per i reati di diffamazione, in attesa che venga introdotto il carcere a vita, visto che non  è più previsto neppure per i corrotti  e i corruttori.
Se un giornalista non può esercitare il mestiere, insomma, deve accontentarsi di  ciucciarsi le dita o di affidarsi alla giustizia amministrativa premesso che non sono previste sanzioni penali per chi impedisce, anche ad arte, l’accesso agli atti. La procedura suggerita dal legislatore, di fatto, è il ricorso al difensore civico (con quali esiti abbiamo visto) nel caso in cui esista e sennò i tribunali amministrativi e il Consiglio di Stato, con annessi costi, ammesso che gli editori siano intenzionati a supportare il giornalista.
Negli Stati Uniti la legge è assai diversa: con alcune differenze, ciascuno stato prevede  da un minimo di 1000 a un massimo di 2.500 dollari per chi non fornisce atti pubblici secondo i termini di legge. Ci sono Stati che raddoppiano anche le multe, in caso di diniego ingiustificato. Se poi vengono riscontrati comportamenti volti a violare artatamente le disposizioni della trasparenza i responsabili possono essere anche incriminati e finire in carcere. Infine, se è dimostrata la colpevolezza, è prevista perfino la rimozione del public officer da proprio incarico. Esattamente il contrario di quello che accade in Italia.

Casi di esclusione dall’accesso

Sia in Italia che negli Stati Uniti sono stabiliti per legge. Nelle leggi americane, tuttavia, sono specificati e hanno sempre a che fare con trattative economiche, trattative legali e colloqui sindacali o di assunzione: inoltre, il limite è temporale e non è mai riferito all’esito della vicenda.
Alla fine del procedimento, inoltre, tutta la documentazione viene resa pubblica. Al riguardo è interessante citare una sentenza della Florida riguardo a un fatto di cronaca nera del 1997: una seguace di Scientology rimase coinvolta in un incidente stradale. Portata in ospedale, firmò per essere dimessa e morì dopo una ventina di giorni. Il referto non aveva rivelato ferite; secondo l’autopsia era morta per disidratazione. La questione era se rendere o meno noto il referto e la relazione autoptica. Il tribunale si è pronunciato a favore della trasparenza,  autorizzando l’utilizzo anche di esami di laboratorio, appunti e tutti gli atti che avevano contribuito alla redazione dell’autopsia.
L’indirizzo italiano è di segno opposto. Nella legge 241/90, anche con la modifica del 2005, si dà la possibilità agli enti di inserire fra i documenti da escludere agli atti  documenti che, a loro giudizio possano compromettere  questioni di pubblica sicurezza (comprensibili), questioni di politica monetaria (non mi pare che ci siano Zecche comunali aperte in Italia),  politica estera e così via.
Questo atteggiamento appare tanto più retrogrado se paragonato al Phisycian Payment Sunshine act, la legge che di recente gli Stati Uniti hanno approvato per obbligare perfino le case farmaceutiche a divulgare regali, borse di studio, viaggi, finanziamenti elargiti a medici, ospedali, università, cliniche e a chiunque abbia a che fare con il mondo della sanità.

Enti e società sottoposti alla trasparenza

Oltre agli enti locali tradizionalmente intesi, dovrebbero essere sottoposti alla legge sulla trasparenza tutte le società e i consorzi, anche in quota minoritaria partecipata da capitale pubblico, che gestiscano servizi pubblici o di pubblico interesse. Non a caso, sia la finanziaria del 2007 che poi, il decreto legge 98/2011 (articolo 11 convertito con la legge 111 del 2011) impongono alle pubbliche amministrazioni di dare pubblicità alle partecipazioni detenute in tutte le società e i consorzi esterni, aggiornando, con frequenza semestrale, i compensi degli amministratori nominati.
A questa norma, poi, si cerca di trovare sempre il modo di non ottemperare da parte dei presidenti e degli ad o consiglieri delle società, soprattutto di nomina privata, rendendo pubblici solo gli stipendi degli amministratori di nomina pubblica, fingendo di non considerare che anche gli stipendi dei rappresentanti dei soci privati incidono sui bilanci e, quindi, sugli utili o sulle perdite di cui, eventualmente, rispondono le casse pubbliche e quindi i cittadini.
La difficoltà che ancora si incontra, perciò, nei confronti delle società – sempre più numerose – che gestiscono i servizi della pubblica amministrazione è di accedere alle delibere dei consigli di amministrazione attraverso cui viene gestito il servizio di pubblica utilità. E questo nonostante la giurisprudenza e la normativa abbia chiarito che le società di capitale, pur essendo soggetti di diritto privato, sono sottoposte alle leggi sulla trasparenza e sulla pubblica amministrazione (ad esempio per quanto riguarda gli appalti di servizio e di lavori) quando gestiscano o espletino funzioni di pubblico interesse.
Le amministrazioni e lo Stato non intervengono sulle costanti violazioni di questo tipo, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti dove per legge si chiarisce che perfino le organizzazioni No profit sono sottoposte alla trasparenza quando più di un terzo del loro bilancio sia determinato da fondi pubblici, quando gestiscano servizi di interesse pubblico (ad esempio servizi sociali). A maggior ragione questo vale per società private.

Rapporto fra legislatore e Stampa

Per quanto negli Usa ci siano tentativi (ad esempio nello Utah) di peggiorare la normativa di accesso agli atti, molti Stati hanno   un comitato che vigila sull’applicazione della legge sulla trasparenza. L’applicazione, comunque, fa riferimento sempre al Procuratore generale che ne risponde con la propria faccia e la propria carriera, insieme al proprio staff.  Tanto che la maggior parte degli Stati ha un numero verde – che fa riferimento o direttamente al district attorney o al comitato, dove esiste – per i reclami. Non solo. La maggior parte dei testi delle leggi sulla trasparenza hanno avuto come consulenti le Associazioni dei giornalisti dello Stato.
Al contrario, in Italia la commissione per l’accesso agli atti – prevista dalla legge 241/90 è stata ricostituita solo nel 2009 e fra i suoi 12 membri non ha neppure un giornalista. Così si spiega anche perché di rado si occupi di questioni legate alla libertà di espressione, al contrario che negli States dove a dicembre, un giudice della Corte Suprema della California, ha sentenziato che il parlamento deve rendere pubblici i redditi di ciascun deputato, accogliendo la denuncia del Los Angeles Times e dei McClatchty Neswpaper, dopo che questi dati erano stati negati al Times, al Pasadena Sun e al Sacramento Bee. Secondo il giudice con questo diniego i parlamentari si erano fatti beffa della legge sulla trasparenza. E  così sono stati condannati. Almeno negli States.
Ma non occorre andare tanto lontano per trovare leggi migliori che in Italia. Di recente anche la Macedonia ha approvato una norma sulla trasparenza. E per accedere agli atti bastano 10 giorni. Venti meno che in Italia.
L’Unci dedica molta attenzione alla questione della trasparenza, dedicandovi, interventi,  dibattiti e convegni, particolarmente in occasione dell’annuale Premio Cronista di Viareggio. E state certi che continuerà a farlo.

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