BERGAMO – Caro Giorgio Santerini, casualmente ho saputo che nelle settimane trascorse hai contattato numerosi colleghi su recenti questioni relative a Stampa Democratica. Vorrei poter dire: bentornato. Un tuo interesse per le vicende categoriali e non solo per S.D. era auspicabile, anche ieri, l’altro ieri.
Oggi mi lascia perplesso. E mi dolgo fortemente che proprio tu abbia ascoltato acriticamente chi aveva tutto l’interesse a trasformare un acuto dibattito politico in una petoia di cortile, una “miserevole rissa personale”.
Caro Giorgio, se ti scrivo, non è per rinfocolare polemiche devianti, per timbrare cioè come in un ring i buoni e i cattivi… ma ritengo che io, in tanti anni di attività, ho goduto di moltissima fiducia dai colleghi tanto da essere ritenuto degno di assumere tantissimi incarichi di responsabilità del sindacato e dell’Inpgi. La mia forza sono i voti (pensionati attivi) e il rispetto che ho guadagnato, come tu stesso hai sperimentato dieci volte di più.
Allora devo scriverti: sono anni che contesto l’abdicazione ai principi della democrazia, correttezza e trasparenza sindacale che mi sembravano elementi fondamentali della nostra corrente. Non per vocazione personale all’opposizione, ma perché non ho mai accettato la prevaricazione di chi ha provvisoriamente qualche numero in più, in pratica la bolscevizzazione del sindacato.
Si comincia così col rivendicare il dominio di una maggioranza, poi si passa a proporre una “maggioranza allargata”, poi si farnetica una lista unica e, infine, una corrente unica, un’unica guida. Il tutto accompagnato da promesse di benefici e dalla allettante distribuzione di posticini ad amici, parenti e scudieri. Non manca il corollario delle arbitrarie defenestrazioni, ritiri di “fiducia” secondo quanto già appreso dalle più note teorie totalitarie.
Lealtà e correttezza vanno a farsi benedire di fronte a una platea di sugheri. Quello che sembra contare sono il posticino, la raccomandazione, la protezione. Si tende a lasciare disoccupati coloro che non sono parte della “maggioranza”. E non solo a Milano.
Le prove te le posso dare con i miei messaggi e scritti da almeno dieci anni a questa parte nonché con i miei voti. Non è ricordare Tobagi come fosse un’icona, insieme a chi lo indicava come il “sindacalista giallo” ma è con la valorizzazione del suo pensiero che lo possiamo degnamente commemorare. Altro che diatribe personali.
E come la mettiamo con la “cacciata” dei “vecchi” di Stampa Democratica pretesa da alcuni? E con le offese personali rivolte a loro da qualche paggio?
In questo periodo non ho avuto il conforto di un incontro chiarificatore con te e altri, eclissati inspiegabilmente.
Mi è rimasto il ricordo, tuttavia, di un altro incontro in un locale di via Palermo. Uniti e leali. Eravamo solo giovani.
Maurizio Andriolo