ROMA – La Fnsi non sarà né il medico né l’infermiere dell’eutanasia dei giornali. Riformatori sino in fondo, con estremo rigore, complici di un delitto mediatico no.
Se ai tavoli tecnici per la riforma del sistema dei finanziamenti all’editoria si riproporranno gli orientamenti emersi oggi, sarà impossibile giustificare la partecipazione a un tavolo di concertazione.
La legge dell’editoria ha un senso se si recupera il valore originario dell’intervento pubblico, finalizzato non alle leggi del mercato, genericamente inteso, ma al sostegno del pluralismo e dell’occupazione professionale.
L’idea che si debba prendere atto di una riduzione, dal prossimo anno, a cinquanta milioni di euro circa dei fondi pubblici e da qui si debba disegnare un nuovo regolamento per circoscrivere l’area dei beneficiari è sbagliata e delittuosa perché uccide in maniera fulminante decine di testate senza metterle prima alla prova con un sistema necessariamente nuovo di regole.
Servono scelte strategiche per salvaguardare l’informazione delle idee, per garantire l’accesso al mercato della lettura anche di soggetti minori o comunque industrialmente e finanziariamente meno consistenti, come le cooperative di giornalisti, a condizioni che si tratti di realtà evidenti nel territorio e nella relazione con il pubblico.
Servono interventi di sostegno per la stampa delle minoranze linguistiche e degli italiani all’estero. Per i giornali politici e è di tutta evidenza che i partiti di riferimento debbano fare la loro parte imprenditoriale nelle responsabilità proprie di un editore. Ma in tutti questi casi parliamo di realtà non tipicamente riconducibili all’area commerciale che necessitano di un sostegno pubblico essenziale, sia pure con le opportune distinzioni tecniche dell’imputazione della spesa. Come nel caso della revisione indispensabile dei capitoli di finanziamento della politica.
Se invece il Governo vuole ricondurre tutto al mercato e al suo mito, abbia il coraggio di riformare se stesso, abolisca il Dipartimento editoria assumendosene ogni responsabilità e metta in campo una politica di sviluppo, inesistente oggi, chiamando in causa i Ministeri dell’economia e dello sviluppo economico le cui insufficienze e negligenze sono note a tutti.
E tuttavia, anche sul terreno del mercato dell’industria dell’informazione servono risorse, idee e progetti strategici. Innovazione, trasformazione multimediale, formazione, occupazione professionale, consistenza di rapporto con il pubblico, distribuzione delle testate, sono direttrici indispensabili per una politica industriale che riguardi il settore dei media e che non possono essere affrontate immaginando che sia sufficiente declamare “decaloghi” e poi limitarsi a qualche operazione di facciata.
Cacciare dal “tempio” dei contributi trafficanti e specialisti di società formali, disboscare qualsiasi operazione artificiale è opera doverosa che la Federazione della Stampa persegue, con evidenze anche clamorose, da tempo. Assumere queste distorsioni a motivo di nuove norme ideate solo per giustificare una morte per asfissia di decine di testate e migliaia di posti di lavoro è inaccettabile.
La legge sull’editoria ha un senso se si recupera il valore originario dell’intervento pubblico