La giornalista rapita in Iraq nel 2005 sottolinea il grave errore dell’Italia di intervenire nell’ex colonia

Sgrena: “Rivivo il ricordo del mio rapimento”

Giuliana Sgrena

ROMA – “La prima sensazione che ho provato quando ho appreso questa notizia è di angoscia: rivivo quello che è successo a me in Iraq”. Così la giornalista italiana Giuliana Sgrena commenta all’Adnkronos la notizia del rapimento di quattro reporter italiani in Libia. “Due di loro, Domenico Quirico e Claudio Monici, li conosco personalmente – aggiunge Sgrena – ma naturalmente sono preoccupatissima per tutti e quattro i colleghi”.
Secondo Sgrena, che fu rapita in Iraq nel 2005, con un tragico epilogo che portò alla morte di Nicola Calipari, il rapimento dei quattro inviati italiani, “probabilmente è il tentativo di esprimere una manifestazione di potere da parte delle forze legate a Gheddafi. Il problema – aggiunge – è che l’Italia ha un passato recente in Libia”.
“Il fatto che l’Italia, ex potenza coloniale, abbia deciso di intervenire in questo Paese è poco giustificabile – aggiunge – Il buon senso avrebbe dovuto indurre il nostro Paese a non intervenire, perché così si mette a repentaglio la sicurezza degli italiani in Libia e dei giornalisti che sono lì per fare il loro lavoro”.
Inoltre, aggiunge Sgrena, il rapimento dei reporter italiani “dimostra che lo stato delle cose in Libia non è normalizzato. Anzi. Gheddafi non è stato trovato, la situazione è estremamente aperta. Se ci sono forze in grado di fare dei rapimenti, vuol dire che niente è sotto controllo”.
Ai giornalisti che si trovano in Libia “è difficile dire di non continuare a fare il proprio lavoro, io stesso continuerei a farlo. Ma devi tener presente che il prezzo è molto alto e cercare di fare il proprio lavoro con la massima precauzione, pur sapendo che anche questo potrebbe non essere sufficiente”.
“Questo rapimento – aggiunge Sgrena – rende ancor più visibile l’impossibilità di fare informazione in situazioni di conflitto. Bisognerebbe avere il coraggio a livello internazionale di trovare il modo di assicurare il modo di fare informazione”.

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