Iacopino, in affanno, interviene a gamba tesa e sconfina. Silenzio sui pubblicisti che rischiano il colpo di spugna

Ordine dei giornalisti: ridateci Lorenzo Del Boca!

Enzo Iacopino

Lorenzo Del Boca

ROMA – In affanno, in un Consiglio nazionale sempre più insoddisfatto della conduzione dell’Ordine dei giornalisti, il presidente Enzo Iacopino tenta di rilanciare le proprie quotazioni giocando la carta dei freelance. Consapevole della pertinenza chiaramente sindacale delle questioni in cui va sconfinando, cerca sponda in una Fnsi che non può, certo, essere evocata solo quando ci si trova in palese difficoltà.
Così, mentre la Camera dei Deputati esamina la legge sull’equo compenso del lavoro giornalistico, Iacopino interviene nella querelle tra Fnsi e Fieg affermando che, “nel corso della sua audizione, il presidente della Fieg ha fatto affermazioni sconcertanti che hanno determinato una secca smentita di Franco Siddi, segretario della Fnsi alla quale la Fieg attribuiva la disponibilità a continuare a penalizzare, mantenendo di fatto l’attuale situazione, i giornalisti collaboratori”.
Iacopino afferma che, dopo “aver inutilmente atteso un chiarimento dalla Federazione editori”, ha ritenuto “doveroso replicare alle affermazioni di Malinconico”, sostenendo che “incostituzionale è la schiavitù alla quale troppi editori, nel silenzio vergognoso della Fieg, condannano migliaia di giornalisti. Non lo è certamente la legge sull’equo compenso – aggiunge Iacopino – che impedirà di rubare i sogni ai giovani e quote di verità ai cittadini. Il presidente della Fieg coltivi pure l’illusione di poter continuare a «gambizzare» con le sue elemosine migliaia di giornalisti che, da anni, consente vengano retribuiti con compensi da fame da editori, nei confronti dei quali non ha mai trovato il tempo di esprimere, benché richiesto, una parola di censura”.
Belle parole che, però, non tengono conto delle migliaia di giornalisti sfornati dalle scuole, “benedette” dall’Ordine, senza il corrispettivo di un solo centesimo. Anzi, ad esclusivo carico degli studenti-praticanti.
Sulla polemica Fnsi-Fieg, il presidente dell’Ordine dei giornalisti concorda con Siddi, affermando che “non c’è equivoco né incidente dialettico, solo la straordinaria sintonia tra il presidente della Fieg e quanto affermano alcuni dirigenti della Fnsi, che stanno tentando di ostacolare il percorso unitario che gli organismi della categoria hanno intrapreso, con un impegno costante del segretario e del presidente della Fnsi, Siddi e Roberto Natale, su impulso del gruppo di lavoro sul precariato, creato dall’Ordine e coordinato da Fabrizio Morviducci, che sta organizzando una manifestazione nazionale a Firenze per il 7 e 8 ottobre”.
Secondo Iacopino “il problema dello sfruttamento del lavoro di migliaia di giornalisti, prima che essere sindacale, è morale e non può, anche per questo, essere affrontato con un ruolo paritario da editori che arrivano a retribuire con 50 centesimi lordi ogni articolo o a stabilire tetti mensili di 200 euro per le collaborazioni, costringendo di fatto i giovani a continuare a scrivere gratuitamente per non pregiudicare il rapporto con le testate”.
Poi, Iacopino, nel rinnovare il solito cliché, finisce per debordare: “gli «invisibili», i «gambizzati» d’ogni latitudine, quelli che si vedono rubare i sogni nel disinvolto silenzio della Fieg, sono migliaia. Almeno l’80 per cento di loro non è iscritto al sindacato (tra l’altro perché non può permetterselo)”.
E aggiunge: “Carlo Malinconico non affronterà questo problema con una commissione composta solo da chi, come la Fieg, rivendicherebbe la rappresentanza dei ladri dei sogni e da chi, la Fnsi, non può parlare a nome di tutte le vittime. Il Parlamento non si farà espropriare il diritto di stabilire, con una legge dall’alto contenuto morale, regole minime di civiltà troppo a lungo mortificate dalla violenza di troppi editori e dai silenzi della Fieg”.

Carlo Malinconico

Franco Siddi

Roberto Natale

“Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Iacopino – replica oggi la Fieg – alza una polemica inesistente e strumentale cui non intendiamo dare ulteriore corso proprio nell’interesse generale. Il passo della relazione su cui Iacopino insiste riguarda la ricostruzione della storia passata e non il recente accordo. Con riferimento a quest’ultimo, il testo – afferma la Fieg – è assolutamente chiaro e inequivoco. Così come chiara è la posizione assunta nelle dichiarazioni rese alla Commissione cultura, che ne è testimone. L’insistenza, dopo la nota di chiarimento di ieri, dimostra una volontà esclusivamente polemica che rende complessivamente inattendibile la posizione di chi la propone. Occorre che nella composizione della Commissione prevista dalla proposta di legge se ne tenga conto”.
Quanti, all’interno della Fnsi, pensano ancora che Enzo Iacopino sia un alleato del sindacato sono, dunque, serviti. Iacopino, infatti, si guarda bene dal dire di non essere iscritto al sindacato, e non certo perché “non può permetterselo”. Nell’insinuare che chi non si iscrive al sindacato lo faccia per problemi economici (parliamo di poche decine di euro l’anno), Iacopino tenta di ergersi a paladino di quella categoria che, spesso, si ritrova a fare i conti con gli acrobatici “criteri interpretativi” della legge 69/63: un’autostrada a quattro corsie vietata soltanto a chi è ben più di un somaro. Basta dare un’occhiata alle percentuali di promossi all’esame di Stato per rendersene conto.
Nel dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, Iacopino tenta di ingraziarsi Natale e Siddi con la caramella della manifestazione “unitaria” di Firenze, ma non ce la fa a non rivendicarne la paternità “su impulso del gruppo di lavoro sul precariato creato dall’Ordine”.
Poi spara non solo sulla Fieg (“Carlo Malinconico non affronterà questo problema con una commissione composta solo da chi, come la Fieg, rivendicherebbe la rappresentanza dei ladri dei sogni”), ma anche sulla Fnsi che “non può parlare a nome di tutte le vittime”. Come se il Parlamento, per parlare di riforma carceraria, dovesse essere composto solo da ex galeotti!
“Il Parlamento – rivendica Iacopino – non si farà espropriare il diritto di stabilire, con una legge dall’alto contenuto morale, regole minime di civiltà troppo a lungo mortificate dalla violenza di troppi editori e dai silenzi della Fieg”. Il motivo dell’affermazione è semplice. All’articolo 2 della proposta di legge Moffa è prevista una “Commissione per la valutazione dell’equità retributiva del lavoro giornalistico” composta da tre membri: uno designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con funzioni di presidente; uno designato dal Ministro dello sviluppo economico; uno designato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
Nessun rappresentante, dunque, per la Fnsi, in palese contraddizione con quanto recita il precedente art. 1: “Ai fini della presente legge, per equità retributiva si intende la corresponsione di un trattamento economico proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, in coerenza con i corrispondenti trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti e pubblicisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato”.
A chi è affidata la contrattazione collettiva di categoria? Non certo all’Ordine, ma alla Fnsi ed alle federazioni degli editori. In Calabria, terra di origine di Iacopino, un vecchio detto recita: “Voli pigghiari a serpi chi mani i l’autri”. Ovvero: vorrebbe prendere il serpente con le mani degli altri. Ben vengano, dunque, tutte le iniziative comuni in favore della categoria dei giornalisti, ma senza furbate e, soprattutto, nel rispetto dei ruoli e delle competenze.
A proposito di competenze, visto che Iacopino si affanna ad elogiare la legge Moffa ed il diritto del Parlamento di stabilire “regole minime di civiltà”, come la mettiamo con la manovra del Governo in materia di riforma delle professioni? L’ultima versione della norma, infatti, nelle sue sei stringatissime righe, recita che “ferme restando le categorie di cui all’art. 33, quinto comma della Costituzione (…), il Governo formulerà alle categorie interessate proposte di riforma in materia di liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche”.
A parte le varie correnti di pensiero sulla controversa norma, che dovrebbe mettere al sicuro gli Ordini che prevedono un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, per i giornalisti il problema è concreto. Se così fosse, infatti, al “sicuro” sarebbero solo i professionisti, per i quali è previsto l’esame di Stato.
I pubblicisti, invece, potrebbero essere inesorabilmente cancellati con un colpo di spugna. Sull’argomento sono già intervenuti diversi presidenti degli Ordini professionali, ma non quello dei giornalisti. Troppo impegnato ad inseguire i ladri dei sogni, evidentemente Iacopino non ha ancora capito che i “fantasmi della professione”, ovvero gli oltre 70mila pubblicisti sfruttati e malpagati, rischiano di vedersi “rubare” dalla tasca anche quello straccio di tutela rappresentato dalla tessera di quell’Ordine dei giornalisti che, piaccia o meno, assicura un minimo di garanzie, se non altro in materia di etica e deontologia. Senza l’Ordine, soprattutto in Italia, liberalizzare la professione equivarrebbe a legalizzare la giungla, nella quale anche pochi centesimi di euro a pezzo potrebbero essere autorizzati dalla legge del libero mercato. Ma, all’Ordine dei giornalisti, i problemi sembra siano altri. Ad esempio, il rinnovo delle pletoriche commissioni consultive in scadenza che, se non altro, servono a mantenere in equilibrio chi governa. Se ne è discusso ieri in una “colazione di lavoro”, con buona pace di chi non ha i soldi per mettere insieme il pranzo e la cena. Ridateci Lorenzo Del Boca!

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