ROMA – Con 309 voti a favore, a fronte di 287 contrari la fiducia sul maxiemendamento al decreto milleproroghe è stata approvata dalla Camera, che ha poco dopo dato il via libera al provvedimento. Ora il Dl torna al Senato in terza lettura.
La maggioranza richiesta era di 299, i votanti sono stati 596. I 309 voti che hanno approvato la fiducia sono inferiori alla metà più uno dei 630 deputati che rappresenta la soglia minima per la maggioranza.
34 sono stati i deputati assenti a vario titolo.
Il governo, con Elio Vito, ministro per i Rapporti con il Parlamento, aveva chiesto la fiducia presentando un maxi emendamento interamente sostitutivo del decreto sul quale si era espresso negativamente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il ministro aveva motivato la decisione per la scadenza ravvicinata del provvedimento (28 febbraio).
Paolo Gentiloni, nell’annunciare il voto contrario del Pd, segnalava poi un problema che riguarda la tutela del pluralismo dell’informazione: “Nella babele del maxiemendamento del governo al Milleproroghe, alla fine il divieto di acquisto di giornali da parte di chi ha una posizione dominante nella tv verrebbe prorogato solo fino al 31 marzo”.
Tornano intanto a scaldarsi gli animi sul ruolo istituzionale di Gianfranco Fini per le parole pronunciate dal presidente della Camera in una intervista concessa ad “Annozero”, la trasmissione televisiva di Michele Santoro, e in un’altra intervista al settimanale “l’Espresso”.
“Berlusconi ha interesse a scatenare un conflitto permanente che coinvolge anche le istituzioni. C’è un interesse al conflitto permanente per creare uno stato di tensione, una perenne ordalia in cui si fa vivere agli italiani sempre l’ultima ora della campagna elettorale decisiva”, dice Fini.
Secondo il presidente della Camera: “Questa situazione va ben oltre il conflitto politico: come ha sottolineato il capo dello Stato, il pericolo è scatenare un conflitto istituzionale. Berlusconi ha delle istituzioni la stessa idea che ha del Pdl: una concezione proprietaria che lo porta ad attaccare i giudici, la Consulta, la Camera, fino a lambire il Quirinale”.
Fini usa parole particolarmente dure: “Voglio dire al presidente del Consiglio di leggersi l’art. 1 della Costituzione, il secondo capoverso, perché c’è scritto la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme della Costituzione. Essere eletti dal popolo, anche con il 99,99%, non comporta, il sentirsi al di sopra della legge e quindi in qualche modo unto dal Signore e coperto da una totale impunità”.
Quanto al “caso Ruby” e alle imputazioni nei confronti del premier, il presidente di Montecitorio precisa: “Sottoscrivo in pieno quanto ha detto il capo dello Stato: l’imputato ha diritto di difendersi nel processo, non dal processo. Ed è un’ipocrisia dire: il giudice naturale è il Tribunale dei ministri. Se fosse davvero così, basterebbe che il Pdl chiedesse alla Camera l’autorizzazione a procedere in tal senso. Altrimenti è tutto un infingimento”.
Fini precisa: “Non è né saggio né giusto auspicare che Berlusconi possa essere costretto a rassegnare le dimissioni per via giudiziaria. Berlusconi va sconfitto politicamente, con le elezioni”.
Sulle defezioni che stanno colpendo Fli, replica: “Il progetto politico nato a Bastia Umbra è stato l’inizio di un lungo cammino, di una traversata nel deserto a piedi il cui esito è tutt’altro che scontato. In gioco c’è molto di più di un gruppo parlamentare: c’è un progetto politico ambizioso”. Arriva anche il no una alleanza elettorale che vada da Nichi Vendola a Fini perché “Fli si colloca nell’ambito dei valori del centrodestra”.
Immediata la replica di Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera: “Vediamo con rammarico che la prima persona che rischia di creare un conflitto istituzionale permanente è proprio l’onorevole Fini con queste e altre dichiarazioni, che non hanno nulla a che fare con il ruolo di terzietà che dovrebbe svolgere il presidente della Camera”.
Un aiuto a sedare le polemiche all’interno di Fli (motivate in gran parte dall’elezione di Italo Bocchino a vicepresidente) viene da Pier Ferdinando Casini. Il leader dell’Udc, dopo un vertice del terzo polo con Gianfranco Fini e Francesco Rutelli, dichiara: “Ci sarà un coordinatore unico o portavoce. L’organigramma lo decideremo in seguito.
Si tratta di un tragitto da fare insieme, politico e parlamentare”.