In Tunisia la libera stampa, imbavagliata per anni, adesso è un fatto concreto

Caduto il muro di Berlino dell’informazione

Anna Lisa Rapanà

TUNISI – “E’ caduto il muro di Berlino dell’informazione e non sarà più ricostruito”, qualsiasi cosa accada. Lo assicurano nella redazione del giornale tunisino “Le Quotidien”, dove da giorni una trentina di giornalisti lavorano senza sosta e da quando è in vigore il coprifuoco in redazione dormono anche. Perché adesso la libera stampa, imbavagliata per anni in Tunisia, è un fatto. L’argine si era rotto con il discorso di Ben Ali alla vigilia della sua fuga del Paese, quando, forse vedendosi crollare la terra sotto i piedi, aveva cominciato ad allentare la corda promettendo di togliere la censura su Internet.
Già due ore dopo si aprivano i siti di Reporters Sans Frontieres, di al Jazira, di radio Kalima, addirittura Wikileaks e Facebook funzionavano alla perfezione. Da ieri, però, non esiste più il ministero dell’Informazione, strumento di censura nei 23 anni di regime ed è stata garantita la “libertà totale di stampa”. Lo ha annunciato il primo ministro Mohammed Ghannouchi, insieme con la designazione del “governo di unità nazionale” le cui sorti sono però già in bilico. Ma, “qualsiasi cosa accada, il castello di carta è crollato” dice Lotfi Touati, vicedirettore di “Le Quotidien”.
Oggi a Tunisi i giornali in edicola non si trovano ancora, ma sono usciti tutti. Il problema è la distribuzione, per alcuni impossibile a causa del coprifuoco che impedisce ai mezzi di circolare. Nella sede di “Le Quotidien”, nel centro di Tunisi, con le porte sbarrate e le finestre chiuse contro il fumo dei lacrimogeni proveniente dalla strada, reporter entrano ed escono con aggiornamenti sulle manifestazioni in città, mentre i caporedattori sono incollati alla tv dove compaiono per la prima volta persone note ma i cui volti non si erano mai visti in video.
“In pochi giorni è cambiato tutto. Anche la televisione è cambiata, usa un altro linguaggio. Adesso in video, intervistati, compaiono anche esponenti dell’opposizione. Fino ad ora era completamente vietato interpellarli e mostrarli”, spiega il vicedirettore del giornale che, pur essendo un organo di stampa legale, nato nel 2001 per iniziativa di un giornalista, oggi ha tutto un altro volto e un altro tono. Bandita era invece Radio Kalima, considerata voce del dissenso e per questo chiusa.
Ma ieri mattina lo staff dell’emittente tunisina, guidato dalla sua direttrice Sihem Bensedrine, ha forzato i sigilli messi dalla polizia di Ben Ali e si è riappropriato dei suoi locali chiusi dal 2009. La radio aveva continuato a lavorare con redazioni installate in Europa, mentre diversi suoi giornalisti sono stati arrestati più volte  – come molti altri colleghi tunisini – , compresa la direttrice, militante dei diritti umani, che dopo un esilio forzato in Spagna è riuscita a rientrare in Tunisia soltanto il 14 gennaio scorso, il giorno della fuga di Ben Ali.
Intanto al giornale cominciano ad arrivare le voci delle dimissioni di ministri appena nominati, poi le conferme. L’opposizione non riconosce il governo. La situazione è fluida, gli sviluppi in corso, per decidere la prima pagina si deve aspettare ancora. Come in un quotidiano “vero”, per dare quelle notizie fino ad ora taciute in Tunisia: nell’era Ben Ali (fino a pochi giorni fa) nei titoli i verbi erano tutti nel tempo infinito, qualche fatto di cronaca nera compariva solo sulla stampa in arabo, ma mai nomi, dettagli, racconti. La stampa era fatta di proclami. “Indietro non non si torna più”.

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