Claudio Accogli
ROMA – Mahmud Ahmadinejad che chiede “più libertà” in Iran, dove la “la gente si sente soffocare”, e il capo delle Guardie della Rivoluzione (Pasdaran), Ali Jafari, che lo schiaffeggia, mentre gli americani vengono informati dalla rete di contatti che passano per le ambasciate di Baku (Azerbaigian), Dubai (Emirati arabi) e la turca Istanbul, quest’ultima un vero e proprio “nido di spie”. E il presidente americano Barack Obama che è “molto amato”.
E’ una fotografia che solo i file di Wikileaks potevano scattare, mettendo in piazza divisioni profonde nel regime degli Ayatollah, con 20-30 anni di anticipo sul lavoro di quegli storici del futuro che forse avrebbero avuto accesso alla documentazione.
Nell’incontro tra i membri del Supremo consiglio per la sicurezza, celebratosi a metà gennaio di quest’anno, riferisce una “affidabile” fonte degli statunitensi in un file del 11 febbraio 2010, Ahmadinejad aveva affermato che per ristabilire la situazione, dopo le proteste e le violenze seguite alla sua rielezione nel giugno 2009, “potrebbe essere necessario concedere maggiori libertà personali e sociali, compresa più libertà per la stampa”.
Il comandante delle Guardie della Rivoluzione (Pasdaran), Ali Jafari, si infuria: “Stai sbagliando! Nei fatti sei tu che hai creato questo putiferio! E ora dici di dare maggiore libertà alla stampa?”. A quel punto, riferisce la fonte, Jafari colpisce Ahmadinejad “con uno schiaffo in faccia, causando un principio di rissa e l’immediato stop all’incontro”. Per le “due settimane successive il Consiglio non si riunì”, e il confronto tra i due venne risolto grazie al “successo della mediazione dell’ayatollah Janati”, definito un “peacemaker”.
Il comandante delle Guardie della Rivoluzione (Pasdaran), Ali Jafari, si infuria: “Stai sbagliando! Nei fatti sei tu che hai creato questo putiferio! E ora dici di dare maggiore libertà alla stampa?”. A quel punto, riferisce la fonte, Jafari colpisce Ahmadinejad “con uno schiaffo in faccia, causando un principio di rissa e l’immediato stop all’incontro”. Per le “due settimane successive il Consiglio non si riunì”, e il confronto tra i due venne risolto grazie al “successo della mediazione dell’ayatollah Janati”, definito un “peacemaker”.
In realtà però, sostiene ancora la fonte, “entrambe le parti stanno lavorando per nuovi scontri, mentre vari sottogruppi manovrano”, sottolineando l’importanza dei “discorsi di Karrubi e Khatami, sul fatto che Ahmadinejad non finirà il mandato”.
La situazione politica “sta peggiorando” sempre di più. Intanto, gli americani vengono informati: Istanbul è un “nido di spie” che passano informazioni sull’Iran, si evince dai dispacci dal consolato Usa nella città turca, nei quali si dà conto degli incontri con molti iraniani che passano informazioni sul regime di Teheran e dei rischi che corrono. Nei file, il console Sharon Anderholm Wiener sottolinea che “molti osservatori dell’Iran (informatori, ndr) hanno subito recentemente intimidazioni e minacce, se non addirittura l’arresto” a settembre 2009, dopo i disordini post-elettorali nella Repubblica islamica.
Dal cable si capisce anche che gli Usa utilizzano le sedi diplomatiche di Istanbul, Dubai e Baku per monitorare l’Iran, dove non hanno una ambasciata dal 1979 e dove sono rappresentati dalla Svizzera. In Turchia ci sono 50.000 iraniani, tra i contatti degli americani “uomini d’affari, giornalisti, intellettuali”, la gran parte dei quali a Istanbul appunto. In Iran, poi, il presidente americano Barack Obama “è molto amato” e gli Stati Uniti “molto popolare tra la gente”, si legge in un altro file del settembre 2009.
“Ridicola”: così i Guardiani della rivoluzione iraniani hanno definito una notizia trapelata da Wikileaks e pubblicata dal quotidiano spagnolo El Pais secondo la quale il capo dei Pasdaran avrebbe preso a schiaffi il presidente Mahmud Ahmadinejad in una tesa riunione durante le manifestazioni di protesta dell’estate 2009.
“I siti britannici, americani e sionisti (israeliani, ndr) hanno scritto di una vicinanza e di un sostegno reciproco tra i Guardiani della rivoluzione e il governo, e in alcuni momenti hanno falsamente affermato che i Pasdaran hanno represso gli oppositori del governo”, ha affermato il portavoce delle truppe d’elite, generale Rameza Sharif, citato dal quotidiano Iran News. “Ma ora – ha aggiunto – per proteggere i loro interessi, inventano le affermazioni ridicole di una disputa tra il capo dei Guardiani della rivoluzione e il presidente.
Allora quale versione è vera?”. Un cable dell’ambasciata americana a Baku del 2 settembre 2009, pubblicato da Wikileaks, affermava che durante una riunione del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale iraniano il comandante dei Pasdaran, Ali Jafari, aveva dato uno schiaffo ad Ahmadinejad dopo che questi aveva proposto di concedere maggiori “libertà personali e sociali” agli iraniani per cercare di calmare l’incandescente situazione politica di quei giorni.
“I siti britannici, americani e sionisti (israeliani, ndr) hanno scritto di una vicinanza e di un sostegno reciproco tra i Guardiani della rivoluzione e il governo, e in alcuni momenti hanno falsamente affermato che i Pasdaran hanno represso gli oppositori del governo”, ha affermato il portavoce delle truppe d’elite, generale Rameza Sharif, citato dal quotidiano Iran News. “Ma ora – ha aggiunto – per proteggere i loro interessi, inventano le affermazioni ridicole di una disputa tra il capo dei Guardiani della rivoluzione e il presidente.
Allora quale versione è vera?”. Un cable dell’ambasciata americana a Baku del 2 settembre 2009, pubblicato da Wikileaks, affermava che durante una riunione del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale iraniano il comandante dei Pasdaran, Ali Jafari, aveva dato uno schiaffo ad Ahmadinejad dopo che questi aveva proposto di concedere maggiori “libertà personali e sociali” agli iraniani per cercare di calmare l’incandescente situazione politica di quei giorni.
Osama bin Laden ago nel pagliaio nei file sull’Afghanistan di Wikileaks: in oltre 70.000 documenti, sono meno di 100 i riferimenti al capo di al Qaida. E in uno del giugno 2007 si afferma che “è morto a Peshawar”. L’ultimo “ordine diretto” dello “sceicco del terrore”, nei file di Julian Assange, risale all’incirca allo stesso periodo, la primavera-estate del 2007.
“Osama Bin Laden è vivo e coordina gli attacchi kamikaze in Afghanistan”, hanno titolato molti media all’indomani della pubblicazione, a luglio di quest’anno, dei file. Ma da una analisi più approfondita della documentazione messa a disposizione dal sito fondato da Julian Assange (che copre il periodo 2004-gennaio 2010), si evince che sono davvero pochi i riferimenti al leader di al Qaida.
Il dispaccio militare citato questa estate, datato agosto 2006, è l’unico in cui si offre una visione estesa delle attività del leader del gruppo terroristico e dei suoi alleati. Il testo fa riferimento a “incontri mensili a Quetta” in Pakistan “e nei villaggi delle aree tribali” al confine con l’Afghanistan tra circa 20 persone, i vertici di al Qaida e dei talebani tra i quali il “mullah Omar, il mullah Dadullah (detto Dadullah lang perché ha perso una gamba, recita il file), il mullah Barader” e lo stesso bin Laden.
“Osama Bin Laden è vivo e coordina gli attacchi kamikaze in Afghanistan”, hanno titolato molti media all’indomani della pubblicazione, a luglio di quest’anno, dei file. Ma da una analisi più approfondita della documentazione messa a disposizione dal sito fondato da Julian Assange (che copre il periodo 2004-gennaio 2010), si evince che sono davvero pochi i riferimenti al leader di al Qaida.
Il dispaccio militare citato questa estate, datato agosto 2006, è l’unico in cui si offre una visione estesa delle attività del leader del gruppo terroristico e dei suoi alleati. Il testo fa riferimento a “incontri mensili a Quetta” in Pakistan “e nei villaggi delle aree tribali” al confine con l’Afghanistan tra circa 20 persone, i vertici di al Qaida e dei talebani tra i quali il “mullah Omar, il mullah Dadullah (detto Dadullah lang perché ha perso una gamba, recita il file), il mullah Barader” e lo stesso bin Laden.
Nei file targati Wikileaks, l’ultimo attacco “presumibilmente” ordinato dal numero uno di al Qaida risale alla primavera estate 2007: tre kamikaze di “14 e 15 anni” erano stati istruiti da Osama “nel Nord Waziristan” in Pakistan e dovevano lanciare attacchi a Kabul e nell’area di Pol-e-Charkhi.
La spiegazione della scarsa quantità di informazioni nei file potrebbe essere semplice: la cattura di Osama è divenuta una priorità “top secret”, tanto segreta che i file di Wikileaks, in questo caso, non hanno nulla da dire. Oppure, è vero quel rapporto del 7 giugno 2007, “sbattuto” alla fine di un lungo dispaccio dell’intelligence afghana e assai sintetico in cui si afferma che “UBL è stato trasportato all’ospedale di Peshawar in Pakistan per un trattamento, e lì è morto”.
Nel cable gli 007 di Kabul sottolineano però con forza, “stressed”, che si tratta “solo di un singolo report e non è stato verificato”. Il 19 giugno di quell’anno, Mansour Dadullah, nella prima intervista mai concessa dall’assunzione del potere dopo la morte del fratello mullah Dadullah (che incontrava Osama a Quetta “mensilmente” un anno prima, stando ai file), affermò in un’intervista ad Al Jazira che il capo di al Qaida stava “bene” e “al comando”.
L’ultimo video che ritrare Osama risale al 7 settembre 2007 e contiene alcuni brevi spezzoni ritenuti all’epoca “recenti”. Da allora solo messaggi audio. “Se non è morto si faccia vivo con un video”, è il guanto di sfida lanciato il 23 dicembre scorso dal Washington Times.
La spiegazione della scarsa quantità di informazioni nei file potrebbe essere semplice: la cattura di Osama è divenuta una priorità “top secret”, tanto segreta che i file di Wikileaks, in questo caso, non hanno nulla da dire. Oppure, è vero quel rapporto del 7 giugno 2007, “sbattuto” alla fine di un lungo dispaccio dell’intelligence afghana e assai sintetico in cui si afferma che “UBL è stato trasportato all’ospedale di Peshawar in Pakistan per un trattamento, e lì è morto”.
Nel cable gli 007 di Kabul sottolineano però con forza, “stressed”, che si tratta “solo di un singolo report e non è stato verificato”. Il 19 giugno di quell’anno, Mansour Dadullah, nella prima intervista mai concessa dall’assunzione del potere dopo la morte del fratello mullah Dadullah (che incontrava Osama a Quetta “mensilmente” un anno prima, stando ai file), affermò in un’intervista ad Al Jazira che il capo di al Qaida stava “bene” e “al comando”.
L’ultimo video che ritrare Osama risale al 7 settembre 2007 e contiene alcuni brevi spezzoni ritenuti all’epoca “recenti”. Da allora solo messaggi audio. “Se non è morto si faccia vivo con un video”, è il guanto di sfida lanciato il 23 dicembre scorso dal Washington Times.