L’operazione “Epilogo” conferma, ammesso ce ne fosse bisogno, che l’unica strada per riaffermare la legalità è quella di smascherare i responsabili ed assicurarli alla giustizia. Per farlo, naturalmente, sono necessari il coraggio di ribellarsi alla sopraffazione ed al sopruso e la denuncia senza se e senza ma. Per dare fiducia ai cittadini, insomma, occorre affermare lo stato di diritto e la certezza della pena. Gli sviluppi dell’operazione “Epilogo”, nella sua gravissima drammaticità, aprono importanti squarci in quella “zona grigia” che per tanto, troppo tempo, ha finito per favorire chi, a parole, ha sempre dichiarato di combattere la ‘ndrangheta.
Lo abbiamo sempre detto e non ci stanchiamo di ripeterlo: in una regione, come la Calabria, dove le buste contenenti proiettili e lettere minatorie sono, ormai, all’ordine del giorno in tutte le categorie sociali e professionali, si rischia di far cadere l’attenzione e di confondere le acque.
Marce, manifestazioni e girotondi servono a poco. Certo a dare attestazioni di solidarietà ed affetto, ma anche ad offrire l’occasione di sbandierare improbabili candori, a quanti, soprattutto tra i politici, la verginità l’hanno perduta da un pezzo. Significativo, infatti, lo striscione “oggi la mafia sfila insieme a noi” esibito nel corteo di Reggio Calabria.
Come ha ammonito mons. Salvatore Nunnari, arcivescovo di Cosenza e reggino doc, la Calabria non ha bisogno di clamore ma di silenzio, per non correre, appunto, il rischio di pubblicizzare fenomeni che, invece, vanno duramente repressi con serie ed intense attività investigative ed esemplari condanne. Basta con il professionismo dell’antimafia. Basta con quanti speculano sulle disgrazie altrui per costruirsi fortune economiche e professionali. Basta con i fiumi di parole, i convegni, i libri che accomunano uomini e storie sulla scorta di una lettera anonima. Per rispetto della memoria di quanti, come Giancarlo Siani, sono stati ammazzati per svolgere il loro onesto mestiere di cronisti.
Intimidazioni, attentati, violenze, emarginazioni, che hanno colpito e colpiscono tanti giornalisti e tanti onesti cittadini, vanno esaminati caso per caso senza pericolosi calderoni. Il caso di Nino Monteleone, assieme agli altri che i diretti interessati preferiscono non pubblicizzare, ne rappresenta un esempio.
Il Sindacato dei Giornalisti della Calabria e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, nel corso degli incontri avuti nel Palazzo del Governo di Reggio Calabria ed al Viminale, hanno più volte chiesto al prefetto Luigi Varratta, ed capo della Polizia, Antonio Manganelli, di andare a fondo ai singoli episodi per dimostrare che lo Stato c’è. E quando lo Stato decide di impegnarsi seriamente, impiegando uomini e mezzi, i risultati si vedono ed i cittadini possono ritrovare il sorriso e ricominciare ad avere fiducia. Tutto il resto è folklore.