"El Diario" messicano: se lo Stato è assente, l'interlocutore è l'antistato

«Narcotrafficanti, cosa volete da noi?»

Il reporter ucciso, Luis Carlos Santiago Orozco

CIUDAD JUAREZ (Messico) – “¿Qué quieren de nosotros?”. Questo, l’emblematico titolo dell’editoriale con cui, il quotidiano messicano El Diario, ha aperto l’edizione di ieri del giornale più diffuso di Ciudad Juarez, città al confine con gli Stati Uniti, dominata dal narcotraffico. E quel titolo, “Cosa volete da noi?” è rivolto proprio a loro, ai narcotrafficanti, con una lettera aperta firmata da tutti i giornalisti della redazione.
“Voi siete, al momento, le autorità di fatto in questa città – è scritto nell’editoriale – perché le istituzioni non sono state in grado di evitare ai nostri colleghi di morire. Non vogliamo più morti. Non vogliamo più feriti e intimidazioni. Non è possibile esercitare il nostro ruolo in queste condizioni. Diteci dunque, che cosa vi aspettate da noi”.
Parliamo del Messico, uno stato nel quale, negli ultimi quattro anni, la guerra tra governo e narcotrafficanti ha lasciato sul campo 28 mila morti. Negli ultimi cinque anni sono stati 65 i giornalisti uccisi ed altri 12 sono scomparsi. Inoltre, si sono registrati 16 attentati contro le sedi di organi d’informazione. Dal 2006, quando il presidente Felipe Calderon ha dichiarato guerra ai narcos, sono 30 i giornalisti uccisi in Messico.
L’ultima vittima di questa guerra è stata, la scorsa settimana, Luis Carlos Santiago Orozco, fotografo ventunenne ucciso con nove colpi di pistola sparati quasi a bruciapelo mentre era seduto in una macchina parcheggiata all’esterno di un centro commerciale a Juarez. Ferito, invece, un altro giornalista che si trovava con lui, Carlos Manuel Sanchez. Un omicidio che segue di circa un anno e mezzo quella di un altro giornalista di El Diario de Juarez, Armando Rodríguez.
La lettera non è altro che una richiesta di tregua per il rispetto di quanti hanno dedicato la loro vita al mestiere del giornalismo e che si ritrovano a fare i conti con una realtà insanguinata da una guerra tra governo e narcotrafficanti, a loro volta in guerra tra loro, senza esclusione di colpi. Una guerra che, spesso, conta tra le vittime poliziotti, semplici cittadini e giornalisti.


Luis Carlos Santiago Orozco è stato ucciso mentre si trovava a bordo dell’auto di Gustavo de la Rosa, procuratore della città, più volte minacciato di morte dai narcotrafficanti, il cui figlio è uno dei direttori di El Diario. Tra gli investigatori si suppone che fosse lui l’obiettivo dell’agguato.
Nell’editoriale “Che cosa vogliono da noi?”, i giornalisti di El Diario ricordano ai “signori delle diverse organizzazioni che si battono per il quadrato di Ciudad Juarez”, che la perdita di due giornalisti in meno di due anni rappresenta “un guasto irreparabile per tutti noi che lavoriamo qui e, in particolare, per le loro famiglie.
Siamo consapevoli che siamo comunicatori, non indovini. Pertanto, come lavoratori dell’informazione, chiediamo di spiegarci cosa vogliono da noi, cosa dobbiamo pubblicare o non pubblicare, cosa dobbiamo aspettarci”.
Ricordando che le autorità non hanno fatto nulla per evitare la morte dei colleghi, come ripetutamente richiesto, i giornalisti di El Diario spiegano perché si rivolgono ai narcotrafficanti per scongiurare che un altro giornalista rimanga vittima dei loro colpi.
“Non vogliamo più morti. Non vogliamo più lesioni o intimidazioni. Non è possibile esercitare il nostro ruolo in queste condizioni. Diteci, dunque, che cosa vi aspettate da noi come media”, chiedono i giornalisti di El Diario, sottolineando che “questa non è una resa. Né significa rinunciare al proprio ruolo o al lavoro fin qui fatto. È un dialogo con quanti hanno imposto la forza del loro diritto in questa città, a condizione che rispettino la vita di chi si dedica al mestiere del giornalismo”.
Il vuoto di potere in generale, spiegano i giornalisti, ha determinato un clima nel quale non vi è alcuna garanzia sufficiente per i cittadini ed il giornalismo è diventato una delle professioni più pericolose.
“Ma i nostri obiettivi e la missione di informare la comunità – aggiungono i giornalisti – o restano gli stessi di 34 anni fa o non ha senso continuare a mettere a rischio la sicurezza di tanti colleghi, spesso usati come portatori di messaggi, criptati o meno, tra organizzazioni, o autorità ufficiali.  Anche in guerra esistono le regole. Spiegateci quali devono essere”.

Armando Rodriguez

I giornalisti di El Diario spiegano anche che, al contrario di quasi due anni fa, dopo l’assassinio di Rodríguez, sono molto scettici sul fatto che l’autorità incaricata dell’applicazione della legge, riuscirà a fornire un chiarimento affidabile.
In questo contesto, i giornalisti sono stati trascinati in questa lotta senza controllo e le uniche loro armi di difesa sono la ricerca della verità, la macchina da scrivere, o il computer, e le macchine fotografiche.
“Lo Stato – affermano i giornalisti di El Diario – come protettore dei diritti dei cittadini e pertanto, dei media, è stato assente durante gli anni di militanza, anche quando fingeva di farlo”.
Venerdì scorso, dopo l’uccisione del fotoreporter Luis Carlos Santiago Orozco, El Diario ha pubblicato un editoriale, sottolineando questa mancanza con la domanda: “Chi si chiama giustizia?” Allo stesso modo sono i cittadini che non sanno più a chi rivolgersi per chiedere aiuto. E con essi i medici, molti dei quali rapiti ed uccisi, nonostante il riscatto pagato;  commercianti ed uomini. “Tale è la mancanza di giustizia – denuncia El Diario – tale è la desolazione e l’impotenza avvertiti da tutti i settori, che non sarebbe irragionevole cominciare a perseguire quanti sono obbligati a fare di più per salvaguardare la sicurezza della città, lo Stato e il Paese.
Sull’omicidio di Luis Carlos Santiago Orozco, il responsabile della sicurezza ha approvato la versione delle autorità di Chihuahua, secondo le quali l’agguato contro i giornalisti è dovuto a ragioni personali. Ma alla richiesta di spiegazioni, in tal senso, ha risposto: “Questo avrebbe dovuto chiederlo al Procuratore Generale di Chihuahua”.
Tuttavia, il governo ha condannato qualsiasi aggressione o attacco alla libertà di espressione e ha dichiarato che Ciudad Juarez è un luogo strategico per la criminalità organizzata che è stata favorevole alla violenza, il degrado del tessuto sociale.
Il governo federale ha aggiunto di aver positivamente alle richieste dei governi statali e municipali per garantire lo Stato di diritto e ha detto che nel caso di Ciudad Juárez, mantiene il suo impegno per la ricostruzione delle istituzioni di sicurezza.
Ha, inoltre, ribadito che lo stato messicano assume la difesa del giornalismo e della libertà di espressione e, come ha fatto sin dall’inizio della attuale amministrazione, continuerà a farlo allo scopo di definire le reti operative dei criminali.
Il direttore del giornale, Pedro Torres, ha aggiunto: “Non sappiamo a chi chiedere giustizia. Da lavoratori del mondo dell’informazione vogliamo che ci spieghino cosa vogliono da noi, cosa vogliono che venga pubblicato o che non venga pubblicato, così sapremo come comportarci’’.
Dal canto suo, il governo messicano ha escluso che possa esserci una tregua nella lotta intrapresa contro i cartelli della droga. 

Il portavoce del presidente messicano, Felipe Calderon, per le questioni di sicurezza Alejandro Poire ha affermato che non possono esserci negoziati con i criminali.

”E’ semplicemente non appropriato promuovere in qualsiasi forma o da qualsiasi parte una tregua o un qualche tipo di accordo con dei criminali”, ha detto Poire.

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