Il sindaco di Melito e lo stupro di gruppo. Ecco perché il Servizio Pubblico non si tocca

Parisi (Fnsi): “Vergognoso attacco alla Tgr Rai”

La giornalista professionista Giusy Utano

Giuseppe Meduri

MELITO PORTO SALVO (Reggio Calabria) – Vergogna dopo vergogna, a Melito Porto Salvo, il Comune più meridionale dell’Italia continentale, trenta chilometri a Sud di Reggio Calabria, teatro della contestata violenza sessuale di gruppo ai danni di una tredicenne, che ha portato all’arresto di sette persone sulla scorta della ricostruzione effettuata dalla Procura di Reggio Calabria, nei confronti di: Giovanni Iamonte (30 anni), figlio del boss della ’ndrangheta Remigio Iamonte, Daniele Benedetto (21 anni), Pasquale Principato (22 anni), Michele Nucera (22 anni), Davide Schimizzi (22 anni), Lorenzo Tripodi (21 anni), Antonio Verduci (22 anni). La Procura ha, inoltre, disposto l’applicazione di altre due misure cautelari: nei confronti di un diciottenne, G.G., che all’epoca dei fatti (dalla fine del 2013 all’estate 2015) era minore e che, pertanto, è stato portato in una comunità, mentre a Domenico Mario Pitasi, accusato solo di favoreggiamento personale, è stato imposto l’obbligo di presentazione quotidiana alla Polizia giudiziaria. Violenza aggravata dai reati di atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata, atti persecutori, lesioni personali aggravate e di favoreggiamento personale. La fiaccolata organizzata, venerdì sera, dalla stazione ferroviaria al municipio di Melito Porto Salvo, avrebbe dovuto rappresentare uno scatto di dignità per il paese di circa 14 mila abitanti, ma soprattutto un‘attestazione di solidarietà nei confronti della ragazzina stuprata dall’ignobile branco. Invece, vi hanno partecipato meno di cinquecento persone, come inesorabilmente documentato dall’inviato del quotidiano “La Stampa”, Niccolò Zancan, compresi i militanti dell’associazione Libera di don Ciotti, gli scout ed i cittadini giunti da fuori paese, soprattutto da Reggio Calabria. «Giovanni Iamonte – ricorda La Stampa – è il “rampollo di un esponente di spicco della locale cosca della ’ndrangheta, soggetto notoriamente violento e spregiudicato”. Un altro stupratore si chiama Antonio Verduci, ed è figlio di un maresciallo dell’esercito. Un altro stupratore è Davide Schimizzi, fratello di un poliziotto. Intercettato durante le indagini, chiede consigli proprio a lui. E li ottiene: “Quando ti chiamano, tu vai e dici: non ricordo nulla! Non devi dire niente! Nooooo. Davide, non fare lo ‘storti’. Non devi parlare. Dici: guardate, la verità, non mi ricordo. E come fai a non ricordare? Devi dire: sono stato con tante ragazze, non mi ricordo!”».

Alfonso Samengo

Michele Anzaldi

“Il sindaco Giuseppe Meduri – denuncia ancora il collega Zancan su La Stampa – sale sul palco ed attacca la giornalista professionista Giusy Utano del Tgr Calabria: «Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi». Ma che colpa ne ha la giornalista, se una delle voci raccolte nel servizio mandato in onda era quella di una signora che diceva così? «Sono vicina alle famiglie dei figli maschi. Per come si vestono, certe ragazze se la vanno a cercare»”.Già, che colpa ha Giusy Utano? “Un esempio concreto dell’utilità, anzi della necessità in certe realtà delle sedi regionali”, sottolinea Michele Anzaldi, giornalista professionista e deputato Pd componente della Commissione di Vigilanza dei servizi radiotelevisivi: “Complimenti a Giusy Utano, al direttore Vincenzo Morgante ed al capo redattore Alfonso Samengo, il quale ricorda che “purtroppo viviamo in una terra in cui ogni giorno il cronista indipendente è costantemente sotto attacco”. “Affermazioni gravi e gratuite – afferma Carlo Parisi, segretario generale aggiunto della Fnsi e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, – quelle mosse dal sindaco di Melito Porto Salvo nei confronti della Tgr Calabria, colpevole di aver fatto semplicemente informazione in una regione nella quale a fare lo scoop è stato, comunque, l’inviato di una testata nazionale, il collega Niccolò Zancan de La Stampa, che non ha esitato a denunciare il vergognoso attacco a Giusy Utano”. “Cosa avrebbe dovuto fare – aggiunge Carlo Parisi – la Tgr diretta dal navigato Alfonso Samengo, al cui Tg va tutta la solidarietà del Sindacato dei giornalisti? Non mandare in onda gli ottimi servizi realizzati sulla vicenda da Gabriella D’Atri e Carla Monaco, tagliare le interviste di Giusy

Vincenzo Morgante, direttore Tgr Rai

Carlo Parisi

Utano contenenti la gravissima attestazione di solidarietà «alle famiglie dei figli maschi» e l’ancor più vergognosa accusa alla tredicenne di «essersela cercata» ? Se il sindaco Meduri, nell’accusare il servizio pubblico di «manipolazione delle notizie» e «certe giornaliste di riportare cose che non corrispondono alla realtà» si riferisce a questo, farebbe certamente meglio a restituire immediatamente la fascia di sindaco, perché il tricolore è una cosa seria”. “La più sincera solidarietà, dunque, a tutta la redazione della Tgr Calabria e in particolare ad Alfonso Samengo, Gabriella D’Atri, Carla Monaco e soprattutto, a Giusy Utano, alla quale – sottolinea Carlo Parisi – va una doppia attestazione di stima perché, ormai da quasi undici anni, assicura alla Rai non solo riprese televisive, ma anche preziose interviste senza poter contare sulle tutele garantite dal contratto nazionale di lavoro giornalistico. Giusy, infatti, per tirare la carretta è costretta – spesso da sola – a girare quotidianamente in lungo e in largo la provincia reggina per coprire servizi pagati a pezzo con partita Iva in zone a rischio e ad alta densità mafiosa. Non solo culturale, ma purtroppo anche fisica”. “Episodi come questo, insomma, non fanno altro che confermare – conclude il segretario generale aggiunto della Fnsi – l’insostituibile presenza della Testata Giornalistica Regionale Rai, diretta da Vincenzo Morgante, coadiuvato da Renato Cantore, Enrico Castelli, Anna Donato, Ines Maggiolini, Giuseppina Paterniti e Federico Zurzolo, che più che essere smantellata, come qualcuno continua a ipotizzare, andrebbe potenziata e completamente liberata dai lacci della politica per adempiere al proprio compito di servizio veramente pubblico, soprattutto in realtà come la Calabria, nelle quali il privato è pesantemente gravato da interessi tutt’altro che finalizzati a garantire un’informazione libera, completa, corretta e rispettosa del pluralismo e della democrazia”. (giornalistitalia.it)

Il Cdr della Tgr Calabria: “Abbiamo dato voce alla comunità”

COSENZA – Il Comitato di redazione della Tgr Calabria (Maria Vittoria Morano, Gabriella D’Atri, Livia Blasi) “respinge con forza gli ingiustificati e reiterati attacchi da parte del primo cittadino di Melito Porto Salvo, Giuseppe Salvatore Meduri, al servizio pubblico, colpevole, a suo dire, di sciacallaggio mediatico”.
Nell’esprimere solidarietà a Giusy Utano, il Cdr della Tgr Calabria denuncia che “la posizione assunta dal primo cittadino di Melito ci colpisce e ci sorprende. La Tgr Calabria, infatti, come testimoniano i servizi andati in onda e visionabili sul sito on-line della testata, ha trattato sin dal primo momento il caso con tutte le cautele possibili, nel rispetto sia della vittima che dei suoi presunti carnefici”.
“Nostra volontà, inoltre, è stata quella – aggiunge, tra l’altro, il Cdr – di raccontare di una comunità ferita e darle voce e questo abbiamo fatto. Ne è emerso un contesto assai complesso in cui non sono mancati atteggiamenti di chiusura, di condanna, di riflessione ma anche di vicinanza e solidarietà ai ragazzi del branco. Fedeli al dovere di cronaca, abbiamo ‘fatto parlare’ le immagini e dato spazio alle diverse testimonianze raccolte. Pertanto, non crediamo che questo corrisponda a denigrare la comunità di Melito”.
“D’altronde, lo stesso sindaco ai nostri microfoni –  ricorda il Cdr – ha sottolineato come nella vicenda tutti abbiano la loro parte di responsabilità. «Sono mancate – ha detto – la famiglia, la scuola, la chiesa, la società civile, la politica, le associazioni sportive. Nessuno può dirsi esente da responsabilità. Tutti dobbiamo recitare un mea culpa»”.
“A questo punto – conclude il Cdr della Tgr Calabria – ci chiediamo, qual è l’offesa da noi arrecata alla comunità di Melito? È evidente che non ne abbiamo alcuna in una vicenda di per se talmente dolorosa da essere capace, da sola, di scuotere l’opinione pubblica e sollecitare non poche riflessioni”. (giornalistitalia.it)

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