Carlo Parisi (Fnsi): “Il giornalista Claudio Labate reintegrato grazie all’articolo 18 cancellato dal Governo Renzi”

Calabria Ora, provata la continuità aziendale

Claudio Labate

REGGIO CALABRIA – “Il riconoscimento della «continuità aziendale» tra le società che si sono susseguite nell’editare il quotidiano Calabria Ora, se da un lato riapre una dolorosa ferita per tanti giornalisti, poligrafici e impiegati amministrativi, che hanno dedicato anima e corpo a quell’iniziativa editoriale conclusasi con il blocco della rotativa nella famosa «notte del cinghiale», dall’altro spalanca le porte al riconoscimento dei diritti di quanti non si sono mai rassegnati all’idea di vedersi beffare da un sistema finalizzato, sostanzialmente, ad eludere il pagamento delle spettanze retributive e contributive a chi ha avuto l’unico torto di fare il proprio mestiere”.
Il segretario generale aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi, commenta così l’ordinanza con la quale il Tribunale di Reggio Calabria ha dichiarato “nullo e illegittimo” il licenziamento del giornalista Claudio Labate disponendone, “ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 300/1970”, il reintegro “nel posto di lavoro occupato o equivalente al momento del licenziamento”. Se, da un lato, il giornale, dalla notte tra il 18 e 19 febbraio 2014, non è più in edicola ed anche l’ultima delle società editrici è stata messa in liquidazione, dall’altro la sentenza apre nuovi scenari in considerazione del riconoscimento della continuità aziendale tra la Cooperativa Editoriale Calabrese arl, la Paese Sera Editoriale srl ed il Gruppo Editoriale C&C srl.
“Nel caso specifico, poi, l’ordinanza – sottolinea Parisi – rende giustizia al giornalista Claudio Labate che, nella qualità di componente del Comitato di redazione di Calabria Ora, aveva opposto il proprio rifiuto a sottostare all’illegittimo svilimento dei propri diritti, anche di quelli ormai da ritenersi acquisiti”.
Nel marzo del 2012, infatti, il vicecaposervizio Claudio Labate ed il caposervizio Francesco Pirillo erano stati licenziati in tronco “via fax” per non aver accettato un sospetto “cambio di proprietà” che imponeva loro la retrocessione della qualifica professionale, la trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determinato, la rinuncia ad importanti diritti previsti dal contratto nazionale di lavoro giornalistico, nonché alle previste tutele in materia di disciplina contrattuale.
“L’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria – sottolinea Carlo Parisi – deve, soprattutto, indurre seriamente a riflettere sui devastanti effetti dell’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per gli assunti dopo il 7 marzo 2015 che sostituisce (tranne poche eccezioni) l’indennizzo al reintegro sul posto di lavoro. Se a questo aggiungiamo il Jobs Act e la cosiddetta legge Fornero, all’epoca presi sottogamba dalla maggioranza della categoria che, sbagliando, si riteneva indenne dall’applicazione di tali norme ai giornalisti, con il caso Alba Solaro di Marie Claire ci si è resi conto di quanto sia devastante la riforma del diritto del lavoro attuata dal Governo Renzi che, rendendoci più ricattabili, ha finito per minare pericolosamente la libertà di stampa nel nostro Paese”.
Rese, dunque, note le motivazioni contenute nelle 24 pagine dell’ordinanza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Reggio Calabria, Arturo D’Ingianna, che il 23 febbraio 2015 ha concluso il procedimento cautelare n. 5233/2012 Reg. Gen, nell’interesse del giornalista Claudio Antonio Labate (difeso dall’avvocato Fabio Manlio De Simone Saccà), nei confronti di Fallimento Paese Sera Editoriale srl (difesa dall’ avv. Mario Giovanni Zema) e Gruppo Editoriale C.&C. srl (difeso dall’avv. Giulio Greco) sul ricorso depositato nel dicembre del 2012. Le società “Fallimento Paese Sera srl” e “Gruppo Editoriale C.&C. srl” sono state, inoltre, condannate “in solido al pagamento delle spese del giudizio liquidate in 5mila euro per compensi professionali oltre spese forfettarie al 15%, nonché Iva e cpa”.
Ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), il Tribunale di Reggio Calabria, in parziale accoglimento del ricorso (non è stato riconosciuto solo il risarcimento del danno) ha dichiarato “nullo e illegittimo il licenziamento” del giornalista, avvenuto il 9 marzo 2012, e condannato il Gruppo Editoriale C&C srl “allareintegrazione nel posto di lavoro occupato o equivalente al momento del licenziamento” e “allacorresponsione a titolo di risarcimento dell’illegittima risoluzione del rapporto (conformemente a quanto previsto dall’art 18, comma IV, legge n. 300/70) di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto mensiledalla data del licenziamento sino alla reintegrazione con interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione delle dette somme al soddisfo, nonché condannando Gruppo Editoriale C & C srl al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali sulle somme maturate a titolo di risarcimento del danno”.
Non si tratta, dunque, di una “semplice” reintegrazione sul posto di lavoro. Anche perché il giornalista Claudio Antonio Labate, attraverso il proprio legale, non aveva chiesto soltanto che fossero accertate la nullità, l’illegittimità e l’inefficacia del licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo (“crisi del settore editoriale che avrebbe imposto alla società di non editare più il quotidiano Calabria Ora”) dalla Paese Sera Editoriale Srl (subentrata alla Cooperativa Editoriale Calabrese arl per editare la testata del quotidiano Calabria Ora), ma anche la continuità aziendale tra le diverse società che avevano, nel tempo, editato la testata Calabria Ora (Cooperativa Editoriale Calabrese arl, Paese Sera Editoriale srl e, da ultimo, Gruppo Editoriale C.&C. s.r.l.). E, ancora, essendo rimasta inalterata l’unitarietà organica del giornale e, stante la sovrapponibilità nella titolarità delle quote di capitale delle varie società, la sussistenza di un unico centro di imputazione dei rapporti giuridici.
La difesa del giornalista Claudio Antonio Labate (all’epoca dei fatti anche membro del Comitato di redazione) ha mirato a dimostrare che il licenziamento era dipeso non dalla cessazione della Paese Sera Editoriale ma, in realtà, si configurava quale effetto del suo rifiuto di sottostare all’illegittimo svilimento dei propri diritti, anche di quelli ormai da ritenersi acquisiti.
Secondo il Giudice del lavoro, “è chiaro come vi sia un passaggio di attività editoriale (mantenuta inalterata) e della testata ai quali si accompagni di fatto il passaggio di gran parte del personale in particolare dei giornalisti (circostanza non contestata e che costituisce per un azienda editoriale – ove il fattore umano e professionale costituito dai giornalisti elemento di identità della attività e la connota anche sul mercato) e dunque sul piano oggettivo organizzativo in realtà il complesso di beni organizzati e l’attività economica ha mantenuto la sua identità (né parte resistente Gruppo editoriale ha offerto altri e contrari elementi). È solo mutata la proprietà formale”…
Anche sotto il profilo della individuazione della titolarità economica della azienda “sussistevano – si legge ancora nell’ordinanza del giudice D’Ingianna – elementi da avvalorare una sostanziale unitarietà di attività economico – aziendale tra la Paese Sera srl e il Gruppo Editoriale C.&C. srl, attesa la stessa presenza nel capitale delle due società degli stessi soci (Pieffe Holding srl, Meridiana srl e Immobiliare Brettia srl) il che ulteriormente rafforza la tesi della ricorrente ossia di un passaggio di attività aziendale oltretutto all’interno di un medesimo gruppo societario e con evidente e stretto collegamento societario tra le società interessate da ritenere senza dubbio avverata una continuità di gestione aziendale con mantenimento della medesima attività editoriale presso cui lavorava il ricorrente”.
Il Giudice del Lavoro ha, infine, condannato Fallimento Paese Sera srl Gruppo Editoriale C.& C. srl , in solido, al pagamento delle spese del giudizio. A quasi un anno dall’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, però, il giornalista non è stato reintegrato da un’azienda che continua, così, a non rispettare non solo le leggi e i diritti, ma neppure le sentenze. (giornalistitalia.it)

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