Il magistrato in prima linea contro la ‘ndrangheta intervistato al Taobuk da Carlo Parisi sul suo ultimo libro “Dire e non dire”

Gratteri: “Abolire la Dia e far lavorare i detenuti”

Nicola Gratteri e Carlo Parisi

TAORMINA (Messina) – E’ un simbolo dell’Italia per bene, di quella che crede ancora che la legalità non sia solo un’utopia, Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica al Tribunale di Reggio Calabria, dal 18 giugno 2013 nella task force incaricata dal premier Enrico Letta di elaborare strategie per contrastare le mafie.
Magistrato tra i più conosciuti ed esposti della Direzione Distrettuale Antimafia, uno di quelli che, preferendo la prima linea alle più rassicuranti retrovie, si è “meritato” la scorta dal lontano ’89, Gratteri, da parecchi anni, non si accontenta di combatterla, da uomo di legge, la ‘ndrangheta. La racconta. E lo fa attraverso libri – siamo arrivati a otto – scritti a quattro mani con Antonio Nicaso, giornalista e studioso di fenomeni criminali, diventati una sorta di “Bibbia” sulle mafie e, prima tra tutte, sulla ‘ndrangheta.
Non a caso Nicola Gratteri ha presentato, al Taobuk, il Festival internazionale del libro, organizzato da Antonella Ferrara con la direzione artistica del giornalista Rai Franco Di Mare, in corso fino al 27 settembre a Taormina, il suo ultimo saggio “Dire e non dire – I dieci comandamenti della ‘ndrangheta nelle parole degli affiliati”, edito da Mondadori e frutto, ancora una volta, della fervida collaborazione con Nicaso.
A parlare con il procuratore, del libro, della ‘ndrangheta, della Calabria, della magistratura, del rapporto non sempre idilliaco tra quest’ultima e la stampa, è stato il giornalista Carlo Parisi, vicesegretario della Federazione nazionale della stampa italiana e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria.
“E’ un grande onore intervistare Nicola Gratteri, – ha esordito Carlo Parisi, salutando il nutrito parterre del Taobuk, tra cui il vice questore e dirigente del Commissariato di Polizia di Taormina, Renato Panvino, e il presidente emerito dell’Ordine nazionale dei giornalisti Mario Petrina  – perché Gratteri è un magistrato, un esperto di mafie, che gira l’Italia e il mondo per farci capire cos’è la mafia, in primo luogo la ‘ndrangheta, di cui è considerato tra i massimi conoscitori a livello mondiale. E, a differenza di molti altri, lo fa gratuitamente”.
Tocca subito una corda che “piace”, evidentemente, anche al procuratore: “Quel che mi dà davvero molto fastidio – interviene Nicola Gratteri – è che c’è molta gente che grazie alla mafia, e al suo contrario, l’antimafia, si è inventata un mestiere. Che paga. E paga bene”.
Il riferimento a quei “professionisti dell’antimafia”, che, dal canto suo, Parisi ammette di “non digerire da sempre, dagli anni in cui facevo cronaca a Reggio Calabria, da caporedattore de Il Giornale della Calabria, e già allora di questi signori ce n’erano tanti”, è chiaro.
“Se io parlassi di meno – ironizza il magistrato – a quest’ora sarei procuratore della Repubblica”. E confida: “Ho appena rifiutato un incarico da 20mila euro al mese, perché non credo che la ‘ndrangheta la si contrasti andando a farsi pagare nei talk show”. Ma nemmeno nelle scuole, quelle dell’Italia intera e oltre, dove oramai Gratteri è di casa.
“Ai ragazzi – rileva Parisi – lei spiega spesso che legarsi alla ‘ndrangheta non conviene. E, non a caso, mi pare, parla proprio di convenienza”.
“I ragazzi devono capire – replica Gratteri – che, per una macchina di lusso o le tasche piene di soldi, entrano in una feroce strategia criminale da cui non potranno più uscire”.
 Perché, lo urlano forte e chiaro le pagine di “Dire e non dire”, “la famiglia è sacra e inviolabile” e “chi tradisce brucerà come un santino”.
Parole che, forse, basterebbero a gelare un ragazzo del nord. Senza bisogno di spiegargli altro su quel “mondo di frasi incompiute, dietro cui si celano strategie di sangue e di potere, ma anche tante contraddizioni… Un mondo privo di pietà e giustizia”.
Ma con la gioventù del sud è un’altra storia.
 “E Nicola Gratteri, calabrese di Gerace, 93 chilometri da Reggio Calabria, – incalza il vicesegretario della Fnsi – , ma 37 da Natile di Careri, 33 da San Luca, 30 da Platì, il cosiddetto ‘triangolo d’oro’, e appena 20 da Bovalino, la cittadina della costa jonica che, nel ’75, vide sorgere un quartiere che la gente del posto chiama Paul Getty, in “onore” dell’ultimo rampollo rapito dalla ‘ndrangheta e liberato nel ’73 dopo 5 mesi di prigionia, lo sa bene”.
Sa, il procuratore, che “in Calabria, per molti bambini, poliziotti, carabinieri e magistrati sono sbirri. Che, magari, piombano in casa nel cuore della notte e ti portano via, in manette e mitraglietta puntata, il padre. Il fratello. O lo zio. Esperienze che lasciano il segno – prosegue Parisi – a tal punto da far rispondere, qualche anno fa, ai bambini di Platì, interpellati dall’allora superprefetto De Sena su cosa chiedessero a Babbo Natale: ‘Chiudere la caserma dei carabinieri’”.
“In realtà dure come quelle di Platì e San Luca, ad alta densità mafiosa, – risponde Gratteri – bisogna partire dalla scuola: ce ne vorrebbero a tempo pieno, in modo che i bambini e gli adolescenti fossero impegnati e non lasciati per strada”.
“Dottor Gratteri, a dire il vero, la diffidenza nei confronti di forze dell’ordine e magistratura è generalizzata, nel nostro Paese. E ha qualche anno in più dei bambini di Platì… E’ dell’altro giorno l’ultimo ‘fuoco’ del senatore Berlusconi sulla magistratura, a suo dire ‘trasformata in un contropotere dello Stato in grado di condizionare il potere legislativo ed esecutivo con la missione di realizzare per via giudiziaria il socialismo’ (Ansa, 18 settembre, ndr)”.
“I magistrati non sono dei marziani – rimarca Gratteri -, ma uomini. E, come uomini e prodotto della società, possono sbagliare. Parlarne, però, in maniera generalizzata, sparando a zero su tutta la magistratura mi pare francamente esagerato. Certo, ci sono magistrati che hanno fatto e fanno politica – Ingroia ne è un esempio – e questo non va bene, perché il magistrato – dice Gratteri – è pagato con i soldi della gente. Nel compito che è chiamato ad assolvere per lo Stato non deve far capire se è di destra o di sinistra: chi lo fa causa un danno enorme all’intera categoria. Il magistrato deve fare indagini, non comizi”.
Cos’altro debba fare un magistrato, il procuratore reggino lo chiarisce subito: “Dovremmo camminare insieme, tra noi magistrati, le forze dell’ordine, ma, specie in Calabria, questo è pressoché impossibile. Perché noi calabresi siamo diffidenti. E anche un po’ paranoici. Litigiosi. Crediamo di essere sempre meglio dell’altro. Si capisce che, su queste basi, è difficile fare un metro insieme, figuriamoci quelli che servono nel nostro lavoro”.
Ci va giù pesante, Gratteri: “Il calabrese – e qui mi riferisco alla gente, al popolo, di cui la ‘ndrangheta si nutre e ha bisogno per esistere – è abituato a chinare la testa. E’ e sarà sempre un colono”.
“Visto che ci siamo, dottor Gratteri, – lo pungola il vicesegretario della Fnsi – ci piacerebbe sapere se sia possibile fare qualcosa per migliorare la situazione attuale e dare una mano concreta alla lotta alle mafie”.
Parte da un concetto che ha più volte ribadito, e senza mezzi termini, il procuratore. Ovvero la riforma del sistema giustizia: “Se i tribunali fossero delle imprese private – tuona Gratteri – fallirebbero subito”. Uno. Due: “Il codice di procedura penale va modificato, informatizzato. Si risparmierebbero tempo, denaro ed energie”. Tre: “Vanno inasprite le pene. Non si può accettare che un mafioso resti in carcere solo 5 anni. Bisogna partire da un minimo di 20-30 anni, se vogliamo che la giustizia sia davvero credibile”. Quattro, “le carceri: non ne vanno costruite di nuove, ma ampliate quelle che già esistenti. E, fattore fondamentale, dovrebbe essere introdotto il lavoro come terapia riabilitativa. Se è vero che il lavoro dà dignità all’uomo, facciamo lavorare chi è in carcere. Lavorare, gratis naturalmente, su strade, autostrade, edifici pubblici. Il lavoro, ripeto, come terapia. E per il bene, non a danno o a spese, dello Stato”.
Ha ancora un sasso nella scarpa, Gratteri. Che si toglie con la solita franchezza: “Gli ultimi tre ministri della Giustizia, Alfano, Nitto Palma e Severino, cos’hanno fatto? Per cambiare le cose, per dare un senso alla lotta alle mafie bisogna avere il coraggio di sporcarsi le mani”. E anche quello di “smantellare la Dia – chiosa il magistrato -, che io abolirei subito, perché le stesse indagini le fa la polizia. Dobbiamo semplificare, non creare e mantenere nuovi uffici e servizi”.
Tallonato dai ragazzi della scorta, quasi un’ombra dietro, a fianco, davanti a lui – c’è chi mormora, tra la gente, tanta gente venuta ad ascoltarlo a Taormina, che “sembra un film, quelli su Falcone e Borsellino…” – Nicola Gratteri si concede ad un’ultima confidenza: “A novembre dovrebbe uscire un nuovo libro, questa volta incentrato sul rapporto tra ‘ndrangheta e Chiesa. Preti e vescovi – dice il magistrato calabrese – ci hanno contestato, ci hanno detto più volte che le nostre sono invenzioni. Che non esiste alcun legame tra il Santuario di Polsi e gli ‘ndranghetisti. Ma, purtroppo, non è così: i capimafia hanno un rapporto strettissimo con la Madonna di Polsi. Un legame reale e documentato, attraverso video e intercettazioni. Così come è realtà, e non fantasia, che lo ‘ndranghetista prega prima di compiere un omicidio o qualsiasi altra barbarie”.
D’altronde “il rapporto del mafioso con la Chiesa – chiarisce Gratteri – è molto stretto. Il mafioso vuole farsi vedere vicino agli uomini di Chiesa. E vuole che lo veda la gente, perché le mafie vivono all’interno della società. Hanno bisogno, per vivere, del consenso popolare”.

3 commenti:

  1. Alberto De Stefano

    Questa volta sono pienamente d’accordo con il dott. Gratteri che, auspicando l’abolizione della DIA, mostra con coraggio non comune di essere fuori dal coro, testimoniando peraltro di non avere, come chi scrive, simpatia per i magistrati proiettati in politica. Tanto di cappello: onore al merito!

  2. Sono ammirato per la splendida cronaca che è stata proposta. Complimenti …

  3. Ha ragione il dottor Gratteri.. con tutti i lavori utili che potrebbero fare i detenuti dentro e fuori, è assurdo farli morire d’inedia in carcere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *