Parla chiaro il vescovo giornalista: “Reggio Calabria celebra la sua festa solenne con una ferita aperta, il commissariamento”

Mons. Morosini: “La Madonna c’è, ma ci siete anche voi”

+ p. Giuseppe

Mons. Giuseppe Fiorini Morosini

Carissimi fratelli,
quando una città celebra ufficialmente una festa religiosa, che coinvolge anche le autorità civili, essa si ferma a considerare se stessa, a fare il punto sulla sua vita spirituale, sociale, economica, politica, nella prospettiva di ripartire con speranza e fiducia.
Quando poi è il pastore di questa comunità a presiedere i festeggiamenti, è proprio a lui che si chiede una riflessione, che sia di incitamento alla fiducia e alla speranza. Anche se sono qui con voi da una settimana appena, non mi  tiro indietro.
Saluto gli eccellentissimi fratelli Vescovi qui convenuti a rendere più solenne la nostra festa. Saluto  tutte le autorità politiche, civili e militari qui presenti, segno di quell’abbraccio che tutte le istituzioni fanno alla Chiesa, riconoscendo ad essa quel ruolo formativo delle coscienze, tanto necessario per una retta impostazione di vita, premessa indispensabile del vivere civile. Un particolare e doveroso saluto, pertanto, al Sig. Prefetto, ai componenti la Commissione che guida il nostro Comune, al Sig. Governatore della Regione, al Presidente della Provincia. Ringrazio in modo particolare Lei, Dott. Castaldo, per le parole di saluto e per quanto ha detto a tutta la cittadinanza.
La mia riflessione parte dalla constatazione: Reggio oggi celebra la sua festa solenne, con una ferita aperta, lo scioglimento dell’Amministrazione Comunale per mafia e il conseguente commissariamento.
Una ferita aperta, sulla quale vengono versati i veleni della lotta politica, della divulgazione di dati allarmanti sull’amministrazione della cosa pubblica, delle reciproche attribuzioni di responsabilità tra gli schieramenti politici, mentre una crisi terribile, economica e non solo, ha fatto aumentare la povertà delle famiglie, sta costringendo ad una nuova emigrazione, quella dei cervelli più promettenti, ha tolto la speranza ai giovani e ai meno giovani, che non trovano lavoro, e sembra aver costretto l’intera città alla perdita della speranza e alla resa, una resa che sta rendendo inoperose le sue potenzialità e le sue ricchezze, e sono tante.
Avendo davanti a noi questo scenario non bello e non confortante, siamo qui convenuti a celebrare la nostra festa annuale, che muove tutta la città per farla stringere attorno all’immagine della Madonna della consolazione come non mai, per ricevere da lei quei gesti di consolazione che non siano illusori, ma veri. Ma enuncio subito sinteticamente l’idea di fondo di questa mia omelia: questi gesti veri di consolazione da parte di Maria dipendono dal coinvolgimento dell’uomo, dalla sua volontà di collaborazione, la quale, qualora venisse meno, renderebbe impotente anche Dio, sempre pronto a darci la sua consolazione, che è legata, però, alla libertà dell’uomo, il quale, se accoglie il messaggio di Dio consola il fratello, se non lo accoglie, la consolazione diventa illusoria.
Sì, è bello e commovente ripetere ciò voi reggini amate ripetere nei momenti di sconforto e di abbandono: solo la Madonna ci è rimasta; ma è altrettanto vero il monito che sabato ho pronunziato in nome di Maria: ci siete anche voi; e ciò non va dimenticato. E’ attraverso questa presenza dell’uomo e della sua libertà che passa l’azione di Dio nei nostri confronti. Non illudiamoci e non diamo ai credenti falsi miraggi, perché sarebbe un grave inganno. Ritornano quanto mai attuali e severe le parole di S. Agostino: chi ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te.
La liturgia oggi ci fa guardare a Maria attraverso il testo che, letto da Gesù nella sinagoga di Nazaret, provocò l’autoproclamazione del Messia: oggi si è adempiuta questa scrittura. Questa autoproclamazione da parte di Gesù non apre spazi ad illusorie speranze, perché, quando Giovanni manda i suoi discepoli a chiedergli se lui è il Messia, Gesù risponde, facendo riferimento ancora a questo e ad altro testo del Profeta, indicando per una verifica della sua messianicità gesti concreti di liberazione e di consolazione, che egli stava compiendo: riferite a Giovanni quanto sta accadendo; i ciechi vedono, gli storpi camminano, ai poveri è annunziato il regno di Dio. Cioè, Gesù fa riferimento ai suoi miracoli per dire: queste opere sono il segno che i tempi si sono compiuti ed il messia è già in mezzo a voi. Quindi salvezza non illusoria, ma realmente iniziata.
Miei cari, la liturgia, oggi, proponendo il testo di Isaia con il quale Cristo si autoproclama Messia, ci fa fare lo stesso atto di fede nella Vergine, assurta per volere del Figlio alla dignità di socia, di collaboratrice con lui nel mistero della salvezza: Maria si riveste delle vesti di salvezza. Ci salva con Cristo. Quindi noi possiamo guardare a Lei, come alla creatura che distribuisce la consolazione e la liberazione di Dio. Ma ella ci coinvolge nella sua missione di consolare il popolo. Proviamo a capire come.
La Madre della consolazione è coperta del manto della giustizia. Ecco un primo aspetto della consolazione, quello fondamentale della giustizia. La Madonna ci dice che la consolazione dell’uomo passa attraverso il rispetto della giustizia. Quale consolazione può esserci nel cuore, se la giustizia è violata e calpestata? Ecco lo spazio dell’uomo che permette a Dio e a Maria di consolare il popolo: facciamo giustizia dinanzi alla gente. Dio nell’Antico testamento ha sempre lamentato un culto a lui, fatto di offerte e sacrifici, associato ad imbrogli nel commercio e nell’amministrazione della giustizia, unito a soprusi e violenze.
Miei cari non posso ricordarvi qui gi elementi essenziali della giustizia sociale. Posso solo ricordare la disperazione e la rabbia della gente per le sperequazioni sociali, per l’abissale differenza tra stipendi milionari e stipendi di pochi euri, tra pensioni d’oro e pensioni di fame, tra doppi e tripli incarichi di lavoro e disoccupazione. Rabbia ingoiata per essere costretti a firmare buste paghe false, per stipendi non corrisposti a fine mese, per quelle somme non date da Enti pubblici che stanno costringendo tanti a chiudere le loro attività produttive. E gli esempi potrebbero continuare. Miei cari, ma di quale consolazione possiamo parlare dinanzi alla Madonna, se non lottiamo contro l’ingiustizia e la risolviamo? Dall’altare non possiamo vendere illusioni. Bisogna correre ai ripari e rimediare: chi deve farlo, lo faccia senza indugio; soprattutto i cristiani, per coerenza con la propria fede. Sarà un segnale di rinascita per la città. E questo appello lo rivolgo anche a quelle istituzioni che in qualunque modo dipendono e vengono ricondotte alla Chiesa: diamo l’esempio, se deve essere corretta qualcosa da parte nostra, per non ingannare la gente con discorsi spirituali vuoti e inutili.
L’altro aspetto della consolazione secondo la prima lettura è quello di fasciare  le piaghe dei cuori spezzati. Siamo cioè invitati alla solidarietà: la consolazione di Dio passa attraverso la nostra solidarietà. Maria, durante la sua vita, ha espresso la sua consolazione nel segno della solidarietà: con Elisabetta, andando ad aiutarla nel momento del parto; a Cana di Galilea, quando si è preoccupata, senza essere interpellata o sollecitata, a supplicare Gesù di intervenire miracolosamente; nel Cenacolo, quando ha incoraggiato gli Apostoli a iniziare la missione di annuncio del Vangelo. In questi tre gesti compiuti da Maria e riportati dalla Scrittura, vediamo l’identificazione della consolazione con la solidarietà. Paolo ci ha esortati a consolare gli altri, con la stessa consolazione con la quale noi siamo stati consolati da Dio. Tradotto con parole nostre: noi che non abbiamo alcuni problemi dobbiamo soccorrere quelli che ce l’anno, affinché questi possano percepire che Dio c’è e li ama. S. Giovanni dice: Dio nessuno mai l’ha visto, se ci amiamo, noi facciamo esperienza di Dio. E Giovanni approfondisce le parole di Gesù: ebbi fame e mi avete dato da mangiare ecc. Rivalorizziamo, fino a quando è possibile, uno dei grandi valori della nostra terra: la cura dell’ammalato e dell’anziano in casa. E’ un grande gesto di amore lasciarli al calore delle mura domestiche.
Miei cari, penso anche in questo momento alla grande opera di consolazione che svolgono tutte quelle associazioni, ecclesiali o no, che lavorano negli ospedali, nelle carceri, con i disabili, i poveri, i migranti, gli anziani, le donne violentate, le ragazze madri, i drogati, i barboni. Siate benedetti tutti da Dio; voi siete il sorriso della Vergine, la sua consolazione vera. Voglia Dio che cresca sempre più il numero dei volontari. Permettetemi, però, di bussare con umiltà alla porta delle istituzioni e chiedere di dare a queste associazioni, ciò è loro dovuto, perché possano lavorare in tranquillità. Mi rivolgo poi agli imprenditori, alle banche e a tutti i più fortunati e li invito ad inserire nei loro bilanci la voce: la consolazione di Maria. E guardo anche a voi famiglie più fortunate. Le caritas parrocchiali e quella diocesana stanno scoppiando e non ce la fanno a rispondere a tutti i bisogni; allora vi invito: adottate una famiglia povera che conoscete e aiutatela in tutti i modi. La Madonna continuerà a consolare per mezzo vostro.
L’ultima consolazione indicata dalla prima lettura, alla quale voglio accennare, è la proclamazione della libertà degli schiavi e la scarcerazione dei prigionieri. Quali sono le schiavitù della nostra città dalle quali Maria ci deve liberare?
Ognuno di noi conosce le proprie schiavitù dalle quali si deve liberare attraverso la confessione e l’esercizio ascetico, che costituisce quella croce che dobbiamo prendere per seguire il Signore: lottare contro il male che c’è in noi per convertirci a lui.
Ma ci sono anche le schiavitù tipiche della nostra società e della nostra città, dalle quali dobbiamo liberarci tutti e contro le quali dobbiamo lottare in forza della nostra fede, per testimoniare la presenza liberatrice di Dio, per portare alla città la consolazione di Maria.
C’è la schiavitù causata da una impostazione egoistica della vita per cui viene esasperato il proprio tornaconto a discapito del bene comune. E’ la schiavitù tipica della nostra società dei consumi, che ci sollecita a costruire la vita sui nostri interessi, non importa se ciò va a discapito del bene degli altri. Ci porta allo scollamento delle nostre responsabilità per la vita politica e la costruzione del bene della collettività. Pensiamo ai tanti che nell’apparato della vita sociale e politica sono posti a servizio di tutti e in un modo o in un altro coltivano i propri interessi a danno di tutti, appropriandosi del denaro pubblico, non prestando il dovuto servizio per il quale sono pagati, sciupando i beni di tutti. La città non potrà mai rinascere, se non ci liberiamo dalla schiavitù di questa impostazione di vita basata sull’egoismo, se non riscopriamo la bellezza della partecipazione, del dialogo politico, del confronto dialettico, sempre rispettoso del pensiero altrui. Basta con le contrapposizioni velenose; non più l’uno contro l’altro, ma l’uno con l’altro per il bene della collettività. Divisi ci si disperde, uniti si va avanti.
Da una impostazione egoistica nasce la schiavitù dello spaccio della droga, dell’usura, del gioco: la logica di questi mali è la stessa: vivere felici, senza lavorare, ma fare soldi alle spalle degli altri. Sono schiavitù dalle quali la nostra città si deve liberare. E sono schiavitù che, a loro volta, creano la schiavitù di persone innocenti. Pensate alle conseguenze del gioco e del consumo della droga sulle famiglie; alla disperazione delle vittima dell’usura.  Agli spacciatori di morte, in particolare, vorrei dire che nel volto di Maria c’è scolpito il volto di tante madri che piangono vedendo l’autodistruzione dei figli. Come si può guardare il quadro della Madonna, baciarlo, gridare viva Maria, e poi essere responsabili delle lacrime di tante madri in pena per i figli drogati? Come possiamo ancora tollerare che sulle nostre montagne si coltivi droga? Ma quale coerenza e dignità di credenti è mai questa? La Vergine Maria voglia benedire quanti lavorano per liberare gli schiavi di questi mali.
Ma non possiamo non dedicare un’attenzione tutta particolare alla schiavitù dalla criminalità organizzata: intimidazioni, tangenti, estorsioni, violenza, minacce. Povera città nostra, povera Calabria, povero nostro futuro. Anche contro tali schiavitù bisogna lottare, perché la società se ne liberi. No, non ci può essere gioia in una società il cui vivere associato è minato da questi mali. I responsabili vadano davanti al quadro della Madonna e facciano il loro esame di coscienza; si inginocchino e ritornino sui loro passi, ritornino al loro battesimo, loro che lo hanno profanato quando hanno ricevuto il battesimo dell’aggregazione criminale.
La Madonna ci consolerà e ci aiuterà a sconfiggere la criminalità organizzata, se noi lotteremo contro di essa. E la prima arma è la denuncia. Fratelli, denunciate ogni atto di prevaricazione o di intimidazione, ogni tentativo di estorsione o di minaccia. Abbiate il coraggio. La paura lega la nostra libertà e la nostra gioia di vivere. Tiriamoci fuori da ogni compromesso, anche se piccolo, con la criminalità organizzata, in nome della nostra fede e della nostra dignità di cittadini. I vantaggi economici che possiamo trarre dalla commistione con il crimine, non saranno mai fonte di gioia e di serenità, perché su di essi pesa la giusta repressione dello Stato.
Carissimi, facciamo di questa celebrazione annuale in onore della Madonna della consolazione un impegno di vita. Reggio ogni anno faccia il suo esame di coscienza dinanzi a questa immagine, tenendo in mano il vangelo delle beatitudini che abbiamo letto. Scopra ogni anno che, se non c’è l’impegno, personale di ciascun credente e collettivo della comunità cristiana, parlare di consolazione di Maria è inutile.
Concludo, pertanto, consegnandovi come impegno di vita le parole di Paolo, ascoltate nella seconda lettura: Dio, Padre di ogni consolazione, ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si  trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.

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