L’esame del Dna dimostra che lei e Michele Santagata non c’entrano nulla con le molotov in una cabina telefonica

Rosamaria Aquino, odissea di una giornalista perbene

Rosamaria Aquino

COSENZA – L’8 agosto prossimo Rosamaria Aquino compirà 33 anni. Un’età che, per alcuni, rappresenta la stagione dell’affermazione professionale, per altri quella delle preoccupazioni per l’incertezza di un futuro scadenzato dal protrarsi di quell’attesa che Dino Buzzati descrisse nel suo memorabile “Deserto dei Tartari”.
Trentatrè, comunque, sono gli anni di Cristo nella morte e nella Resurrezione. Una bella età, comunque. Rosamaria Aquino, giornalista professionista dal 18 giugno del 2010, questo mestiere l’ha sempre inteso e vissuto come una vocazione. Brava e intelligente, alle scorciatoie che avrebbe potuto imboccare approfittando dell’azienda di famiglia (lo zio Fausto era comproprietario del quotidiano “Calabria Ora”), ha scelto la gavetta. Nel giornale ha lavorato, ma senza privilegi di sorta. Anzi, è stata forse la più attiva e agguerrita componente del Comitato di redazione nelle battaglie condotte a difesa dei diritti dei colleghi.
“Soldato semplice” a “Calabria Ora” dal 2008 al 2010, ma soprattutto con il coraggio di rimettersi in gioco lasciando un giornale che non sentiva più nelle sue corde. Un anno di parentesi lucana al “Quotidiano della Basilicata”, quattro mesi di collaborazione al “Quotidiano della Calabria” e tre mesi di sostituzione nello stesso giornale con la qualifica di redattore, fino al gennaio scorso. Poi la decisione di lasciare la Calabria. Perché?
Perché dal 7 luglio dello scorso anno è stata costretta a vivere un incubo durato, per fortuna, un solo anno. Un incubo causato da un madornale errore giudiziario che, purtroppo in tanti, invece, sono costretti a subire per lunghi anni prima di veder trionfare la giustizia. Senza contare quelli che sono costretti a congedarsi da questa terra portandosi nella tomba la beffa di un’ingiustizia che nessun tribunale terreno probabilmente finirà mai per riconoscergli.
I miracoli della tecnologia in materia di indagini giudiziarie per fortuna esistono e hanno dimostrato, grazie all’esame del Dna, che Rosamaria Aquino non è una terrorista, così come non lo è Michele Santagata, il giovane che, quella maledetta sera del 7 luglio 2012, era stato immortalato con lei, dalle telecamere di un negozio della zona, davanti ad una cabina telefonica nella quale la polizia aveva rinvenuto due bottiglie molotov, poche ore dopo la sentenza contro i poliziotti del G8 di Genova.
La Procura di Cosenza aveva, infatti, inviato due avvisi di garanzia a Rosamaria Aquino (che abita poco distante dalla cabina telefonica) e Michele Santagata, iscrivendoli nel registro degli indagati con l’accusa di porto illegale di esplosivi in luogo pubblico. Ebbene l’esame del Dna ha confermato che i due giovani non c’entrano nulla con quelle due bottiglie incendiarie, tanto che il Gip del Tribunale di Cosenza ne ha disposto l’archiviazione su richiesta della stessa Procura cosentina.
Ieri, “Il Quotidiano  della Calabria” ha pubblicato una lettera di Rosamaria che, sulla vicenda, se da un lato segna il trionfo della giustizia cancellando lo spettro di un madornale errore giudiziario, che ai due giovani sarebbe potuto costare fino a dieci anni di reclusione, dall’altro getta pesanti interrogativi su indagini, fatti e circostanze che – a questo punto – meritano risposte concrete e immediate.
“Non ti nascondo – ci ha confidato Rosamaria – che in questa vicenda mi sono sentita sola. Ho affrontato tutto con coraggio, ma con le mie forze”. Un’amara considerazione che deve indurci tutti seriamente a riflettere sulla fondamentale importanza di stare vicini, sempre e comunque, a quanti, loro malgrado, sono costretti a vivere momenti di difficoltà, a volte talmente grandi da rischiare di diventare insopportabili.
Oggi che la giustizia ha trionfato e che sulla testa di Rosamaria è finalmente tornato a splendere il sole – il Venerdì de “la Repubblica” di questa settimana le ha pubblicato un ottimo servizio sul Teatro dell’Acquario di Cosenza che rischia di scomparire – non possiamo sottrarci al dovere di chiederle pubblicamente scusa. Per non esserle stati vicini anche se non ce l’ha mai chiesto.

Carlo Parisi

La lettera al direttore de “Il Quotidiano della Calabria”

Gentile Direttore, 
all’indirizzo del mio avvocato Franco Sammarco è giunta ieri la notizia che il Dna rilevato sulla bottiglia molotov, ritrovata ormai quasi un anno fa in una cabina davanti alla chiesa di Santa Teresa a Cosenza e ritenuta dalla Polizia un atto intimidatorio nei confronti della Questura, non corrisponde al mio. 
Meno male, rischiavo sino a dieci anni di carcere. 
Ma per fortuna il risultato del tampone a cui sono stata sottoposta, insieme al mio coindagato, e che secondo la Digos di Cosenza era necessario per chiarire in tempi brevi la nostra posizione, alla fine è arrivato, anche se a conti fatti dopo un anno. 
Un tempo infinito, il tempo della giustizia.
Nel frattempo, come era prevedibile, molte cose sono cambiate. 
Oggi vivo in un’altra città e sono in cerca di occupazione. 
Ma la magistratura va rispettata. Ho così lasciato, senza strepitare, che la Digos mi pedinasse, che ascoltasse le mie telefonate, che interrogasse le mie fonti, chiamate una ad una negli uffici di Polizia, come si fa per i criminali veri. Inutile specificare che quelle fonti non sono state poi più tanto generose di notizie con me, visto che anche solo vederci avrebbe poi comportato firmare un verbale in Questura.
In questi mesi mi sono chiesta diverse cose, del resto sono una giornalista e fare domande è il mio mestiere. 
Come sa bene, Direttore, questa indagine non era “isolata”. 
Un mese prima della molotov, ero già stata sottoposta a interrogatorio della Digos per un altro allarme bomba, stavolta ai danni del Comune di Cosenza. Quella indagine mi riguardava come attivista di un movimento contro il precariato non tanto tenero con il Comune, su cui erano ricaduti i sospetti della Polizia.
Lei lo sa bene, dicevo, non perché glielo abbia raccontato io (ne avessi avuto il tempo, magari!), ma perché il sindaco Mario Occhiuto, nonostante il segreto istruttorio, sapeva già tutto di questa indagine ed è arrivato in redazione prima di me. 
Rimasi attonita quando Lei mi comunicò che il sindaco aveva telefonato in redazione dichiarando che la Polizia “aveva le prove” del mio coinvolgimento, non prima, però, di essersi lungamente lamentato dei miei pezzi che riguardavano la sua azione amministrativa. 
Anche quell’inchiesta, poi, è finita archiviata.
 Un mese dopo, quando è arrivata la seconda inchiesta, quella sulla molotov abbandonata, lavoravo ancora nella redazione del Quotidiano.
 Il sindaco continuava a lamentarsi dei miei pezzi e a informare passo passo la redazione e gli editori sulle mie vicissitudini giudiziarie. Era una situazione imbarazzante per tutti.
Allora Lei, Direttore, mi disse che per tutelare me stessa insieme al giornale, sarebbe stato meglio per me non scrivere più notizie riguardanti il Comune di Cosenza, almeno fino all’esito degli esami del Dna.
Feci come mi suggerì. Scrissi di Rende, Zumpano, Castrovillari, di feste mondane e cronaca nera, di incendi soprattutto!
 Neanche più una riga sul Comune guidato da Occhiuto, senza gridare alla censura. 
Mi sembrava già una gran cosa che dopo quell’accusa il giornale mi facesse lavorare ancora lì.
Oggi che le cose sono più distanti, se non meno dolorose, mi chiedo: perché questo collegamento immediato tra le lamentele del sindaco per la mia attività giornalistica ed un’indagine che, semmai, mi vedeva controparte della Questura? 
Insomma, che ci azzecca il Dna prelevato per una indagine su un attentato alla Polizia con il Comune di Cosenza? 
Anche se momentaneamente disoccupata, resto una giornalista “…che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero…”
E quindi, mi chiedo: le due inchieste erano tra loro collegate? 
Grazie dell’ospitalità.
Rosamaria Aquino (Il Quotidiano della Calabria, 19 luglio 2013)

La risposta del direttore de “Il Quotidiano della Calabria”

Sono domande che ci ponemmo allora e che ci poniamo anche ora, e che sono aggravate dai tempi davvero insopportabili dell’indagine. Lo scopo nostro, anche in accordo con il suo saggio avvocato, è stato quello di tutelarla. E ci è dispiaciuto che, nonostante convinte sollecitazioni, lei non abbia voluto continuare, per motivi estranei alla direzione del giornale e della redazione di Reggio Calabria, la sua prestazione professionale in quella redazione dove il suo contributo era stato unanimemente apprezzato.

La replica del sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto

Mario Occhiuto

Gentile direttore,
intervengo per chiarire alcuni punti che riguardano la mia persona, chiamata in causa questa mattina sulle colonne del Quotidiano della Calabria dalla sua ex redattrice Rosamaria Aquino.
Mi preme innanzitutto precisare che l’Amministrazione comunale non ha avuto alcun problema con gli attivisti che lo scorso anno organizzarono a corso Mazzini un flash mob di protesta contro il precariato, né tantomeno con la signora Aquino, con la quale ebbi un cordiale incontro in Comune prima dell’iniziativa da lei promossa. In seguito a quella manifestazione nacquero sì delle polemiche, ma dovute a ragioni organizzative e ad una difettosa gestione degli spazi che, per quello stesso pomeriggio, erano stati concessi in precedenza ad un’altra associazione, con la conseguente sovrapposizione dei diversi attori interessati e di spettatori diversificati. La vicenda fu immediatamente chiarita dalla mia segreteria, fugando la solita dietrologia che, chissà come mai, a Cosenza trova sempre terreno fertilissimo.
Successivamente, a Palazzo dei Bruzi arrivò una telefonata anonima che annunciava la presenza di un ordigno esplosivo posizionato nelle stanze del Comune.
Dalle attività di indagine delle forze dell’ordine emerse che fra gli indagati figurava la signora Rosamaria Aquino. A dirla tutta, caro direttore, la notizia, se verificata, avrebbe escluso azioni criminose gravi, riconducibili a situazioni più preoccupanti dal punto di vista dell’incolumità che ancora adesso sono attuali. Per questo ho derubricato la questione come una ragazzata compiuta in maniera isolata, sebbene i motivi all’origine del gesto mi sfuggissero. In quella occasione decisi di non sporgere denuncia contro la signora Aquino, anche al fine di non aggravare la sua posizione, spinto dal senso di comprensione che appartiene a chi è genitore.
Fatto sta che – magari pura coincidenza – da quel momento cominciò sul suo giornale la pubblicazione di una serie di articoli a firma di Rosamaria Aquino con evidenti argomentazioni contro l’azione dell’Amministrazione comunale.
Mi pare persino superfluo sottolineare quanto io rispetti e ritenga sacrosanta la libertà di espressione e di informazione ma, dati i precedenti che ho riassunto, ritenni legittimo evidenziare come in quel periodo la signora Aquino non potesse essere serena nel trattare notizie riguardanti il Comune di Cosenza, considerando che mi era anche giunta voce del fatto che, proprio per dimostrare la sua estraneità all’indagine in corso, qualcuno le avesse consigliato di proseguire con maggiore foga nella stesura di articoli di denuncia contro l’Amministrazione comunale.
Dell’indagine ancora successiva, poi, sulla molotov rinvenuta in una cabina telefonica, e che pure vedeva il coinvolgimento di Rosamaria Aquino, ho appreso dai quotidiani locali e non ho mai accostato l’episodio specifico alle attività del Comune.
Oggi, e lo dico senza retorica né ipocrisia, sono contento che la sua implicazione in quella vicenda sia stata archiviata, come del resto mi sono sempre augurato.
Nel frattempo, ho avuto modo di conoscere meglio il co-indagato di quel fascicolo, Michele Santagata, maturando il personale convincimento della sua estraneità all’oggetto di indagine e sperando che le cose si risolvessero per il meglio.
Quando, infine, ho appreso con notevole sorpresa che Rosamaria Aquino non prestava più servizio al Quotidiano della Calabria, mi sono preoccupato, senza che nessuno mi spingesse a farlo, di accertarmi direttamente dall’editore che la conclusione della sua esperienza professionale non fosse messa in rapporto con il sottoscritto, rimarcando come già da parte mia non ci fosse alcun tipo di preclusione.
Questi sono i fatti che ho vissuto, signor direttore, e che per amore della verità e per il rifiuto di insinuazioni malevole le ho riportato fedelmente.
Può accadere a chiunque di essere additati di responsabilità per cose non dette o non fatte, ma purtroppo ho verificato in prima persona che, in special modo un Sindaco, è spesso oggetto di strumentalizzazioni di ogni tipo.
L’occasione mi è gradita per porgerle i miei più cordiali saluti e per augurare alla signora Rosamaria Aquino le migliori fortune professionali e umane.

Mario Occhiuto
Sindaco di Cosenza

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