Il Tribunale di Lamezia Terme dà ragione a Monica Murano premiando la linea del Sindacato Giornalisti della Calabria

Altro che diritti d’autore, va pagata come praticante!

L’avv. Mariagrazia Mammì

Il Tribunale di Lamezia Terme

LAMEZIA TERME (Catanzaro) – Lo svolgimento di mansioni giornalistiche nell’organizzazione aziendale, anche per un apprezzabile periodo di tempo, dà diritto al trattamento economico e normativo previsto dal contratto nazionale di lavoro, a prescindere dall’iscrizione all’Ordine. Questo, in sintesi, il concetto espresso dal giudice del lavoro del Tribunale ordinario di Lamezia Terme, Antonio Tizzano, nella sentenza che, accogliendo il ricorso presentato da Monica Murano, premia la linea difensiva dell’Ufficio legale del Sindacato Giornalisti della Calabria, rappresentato dall’avvocato Mariagrazia Mammì.
“Una sentenza – ha dichiarato il segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, vicesegretario nazionale Fnsi – che non fa altro che confermare il diritto alla retribuzione, che non può e non deve essere derogato, nel rispetto della dignità umana e professionale di chi svolge attività giornalistica”.
Parisi coglie l’occasione per “ricordare, inoltre, ai tanti editori che pensano di poter mascherare rapporti di lavoro subordinato con contratti di collaborazione o cessione di diritti d’autore, che la qualità dell’informazione può essere assicurata soltanto con il rispetto del lavoratore, che non può essere mortificato con compensi irrisori”.
“Allo stesso tempo – ammonisce Parisi – chi svolge attività giornalistica deve rivendicare sempre e comunque un compenso adeguato nel rispetto del proprio lavoro e, soprattutto, della propria dignità. Non farlo – sottolinea Parisi – equivale ad incoraggiare quanti fanno dello sfruttamento la propria linea editoriale”.
Nel ricorso ex art. 409 c.p.c. depositato il 5 marzo 2009, il legale del sindacato dei giornalisti ha contestato che Monica Murano (che all’epoca dei fatti non era iscritta all’Ordine dei giornalisti) ha svolto, dall’ottobre 2006 al marzo 2007, lavoro giornalistico di natura subordinata nella redazione della “Settimana di Calabria”, edita dalla “Er.ma Editore sas di Sonia Rocca & C.”, ricevendo per i cinque mesi in questione, appena 700 euro derivanti da un “contratto di cessione di diritti d’autore in virtù del quale si impegnava a cedere all’editore Sonia Rocca i diritti di utilizzazione economica dei suoi commenti politici, di costume di sport e di attualità verso un corrispettivo in denaro pari ad € 2.823,52 da corrispondersi in 8 acconti mensili”.
In realtà, ha contestato in udienza l’avv. Mariagrazia Mammì, fin dall’inizio, il rapporto di Monica Murano “si è svolto con le caratteristiche di un rapporto di lavoro subordinato riconducibile al praticantato giornalistico disciplinato dall’art. 35 Ccnl di settore e dall’art. 34 della legge 69/63, consistenti, in particolare, nel sistematico inserimento dell’opera del praticante nell’organizzazione unitaria dell’impresa e nella continuità dell’impegno quotidiano sotto la guida di un giornalista con osservanza di un orario di lavoro predeterminato”.
La “Er.ma Editore”, costituitasi in giudizio, ha contestato, tra l’altro, che “ai sensi dell’art. 2231, comma 1, c.c. la prestazione di attività condizionata all’iscrizione in un albo da parte di chi non è iscritto «non gli dà azione per il pagamento della retribuzione», sostenendo che il rapporto intercorso con la Murano fosse di carattere autonomo e chiedendo, in subordine, la condanna della giornalista Nadia Donato, quale effettivo titolare del rapporto di lavoro. La Donato, direttore responsabile della “Settimana di Calabria”, all’epoca dei fatti dirigeva anche l’emittente televisiva che ospitava la redazione del periodico, ma chiamata in causa ha, invece, confermato che Monica Murano “ha svolto le attività descritte in ricorso e individuate dall’editore che è il suo titolare del rapporto di lavoro”.
Il giudice del lavoro Antonio Tizzano, accogliendo il ricorso predisposto dall’Ufficio Legale del Sindacato Giornalisti della Calabria, ha condannato, per i cinque mesi in questione, l’editore della “Settimana di Calabria” al pagamento di 7.813,10 euro, oltre agli interessi legali e di rivalutazione monetaria, a titolo di differenze retributive e di Trattamento di Fine Rapporto secondo i parametri previsti dal contratto Fieg-Fnsi per le mansioni di praticante svolte da Monica Murano. L’editore è stato, inoltre, condannato al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi 2.500 euro, oltre Iva e Cpa, e di 500 euro in favore della giornalista Nadia Donato.

Non essere iscritto all’Albo non esclude il diritto al trattamento economico e normativo

“La mancanza dei requisiti formali previsti dalla legge per l’esercizio della pratica giornalistica, ossia dell’iscrizione nel registro dei praticanti, non esclude – ha, infatti, sentenziato il Tribunale di Lamezia Terme – il diritto al trattamento economico e normativo previsto dalla disciplina collettiva in virtù del principio che tutela la prestazione lavorativa anche se resa sulla base di un contratto invalido”.
Nella sentenza, depositata il 10 aprile scorso, il giudice del Tribunale di Lamezia Terme evidenza, tra l’altro, che “in termini generali, ai fini della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, al di là del nomen juris eventualmente attribuito dalle parti al contratto ove esistente, deve ricorrere in concreto l’assoggettamento del prestatore di lavoro alle altrui direttive; questo infatti costituisce il quid propri della subordinazione, ad un tempo suo connotato tipico ed elemento di discrimine rispetto al lavoro autonomo. La giurisprudenza, tuttavia, ha individuato una serie di altri criteri, complementari e sussidiari, che assurgono ad indici della natura subordinata del rapporto per l’ipotesi in cui sia impossibile rintracciare, in concreto, l’elemento suddetto; è questo un metodo di riconoscimento cosiddetto tipologico che postula il raffronto tra modalità di svolgimento della prestazione e fattispecie astratta (ex plurimis, Cassazione 12033/1992 che fa riferimento a criteri “…(quali la collaborazione, continuità della prestazione, l’osservanza di un orario predeterminato, il versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro, l’assenza, in capo al lavoratore, di una sia pur minima struttura imprenditoriale), i quali, se, individialmente considerati, sono privi di valore decisivo, ben possono essere valutati globalmente come indizi probatori da parte del giudice del merito”.
Il giudice del lavoro ha, inoltre, ricordato che il vincolo della subordinazione “non è escluso dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni” (Cassazione 3320/2008 e 16038/2004).

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