In crescita il fenomeno di bypassare le redazioni. Franco Siddi: “Un fenomeno che rischia di diventare patologia”

“Caro direttore…”, se la politica scrive ai giornali

Ferruccio De Bortoli

Franco Siddi

ROMA – “Caro direttore”, ovvero quando governo e politica si rivolgono direttamente ai media senza passare dalle redazioni. Un “fenomeno in crescita”, ultimi casi le lettere di questi giorni al “Corsera” del ministro della Giustizia, Paola Severino, e dell’ex ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, prima ancora ad esempio la missiva di Silvio Berlusconi al Foglio il 16 settembre dello scorso anno o le lettere del premier Mario Monti al Corriere (30 marzo scorso) e a Repubblica (11 giugno).
Un fenomeno, dice all’Adnkronos il massmediologo MARIO MORCELLINI, preside della facoltà di Scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma, “che probabilmente dilagherà nei prossimi anni, e che segna il fallimento dell’intermediazione giornalistica, ormai sorpassata dai nuovi media e dalla generale sfiducia in ogni tipo di istituzione”.
“E’ una tendenza notevole in atto, quella dei politici che si rivolgono direttamente ai giornali con lettere al direttore – dice Morcellini in una conversazione con l’Adnkronos -. E, brutalmente, devo dire che hanno ragione: gli elementi di insoddisfazione per la rappresentazione giornalistica sono crescenti. Credo sia giunto il momento per i giornalisti di prendere, a turno, un anno sabbatico e immergersi nella realtà”.
In sintesi, l’insoddisfazione segnalata da Morcellini è imputabile a due differenti “macrosettori” le cui sinergie stanno assestando un colpo forse letale agli informatori di professione: “anzitutto – elenca Morcellini – l’aumento dei saperi distribuiti socialmente rende più semplice comunicare; in breve, l’uso del web. Mentre prima di questo i giornalisti erano praticamente gli unici a portare informazioni a una vasta generalità di persone”. Questo cambiamento, sospetta Morcellini, “non è ancora stato registrato profondamente dalla categoria”.
Secondo macrosettore, forse quello più umiliante per la categoria: “in troppi casi, si pensi soprattutto alla comunicazione di notizie sulla salute e ancora di più a quella politica, il giornalismo italiano ha perso troppe occasioni: ha sbagliato spesso e non ha mai fatto autocritica”. I due elementi stanno quindi “facendo crescere in fretta un fenomeno, che gli stessi politici hanno ben compreso: il fai da te dell’informazione”, sia in ingresso sia – e questa è la novità – in uscita.
Si profila un “futuro fosco per la categoria – prevede Morcellini – se non c’è un ripensamento radicale non se ne esce. Il giornalismo italiano non ha fatto i conti con l’incattivimento palese del pubblico e con la perdita di credibilità di tutte le istituzioni, stampa compresa”.
Morcellini mette, però, in guardia dalla controindicazione: “il rischio vero è che prevalga l’individualismo comunicativo, e la conseguente riduzione della capacità di relazionarsi socialmente e quindi anche politicamente: per qualche tempo può essere salutare, alla lunga è un danno serio”.
Soluzioni? “Credo anzitutto che sia il caso per la categoria di considerare l’utilizzo dell’anno sabbatico e vedere la realtà senza la rete di sicurezza del mestiere; poi, di ridurre drasticamente la cronaca nera. Infine – conclude – quando si commette un errore occorre rettificarlo con la stessa identica visibilità dello «strillo» con cui è stato pubblicato: il giornalista deve rinunciare all’arroganza dell’ultima parola”.
Il direttore del “Corriere della Sera”, FERRUCCIO DE BORTOLI, dichiara all’Adnkronos: “Quello delle lettere al direttore da parte dei politici è un fenomeno sicuramente in crescita, e secondo me è una scorciatoia che certe volte i politici amano per sorpassare le professionalità dei giornalisti. In realtà segnala la paura di alcuni di loro nel confrontarsi con domande serie e scomode”.

Antonio Padellaro

Alessandro Sallusti

A proposito del dilagare del fenomeno, il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, ANTONIO PADELLARO, osserva: “Queste lettere sono lunghe, noiose e non si capiscono. Secondo me chi le scrive provoca un danno a se stesso. Trovo che sia spazio rubato alle notizie vere e sarebbe bello fare un accordo tra tutti i giornali e decidere di non pubblicarle più”.
“Continuare a pubblicare lettere del genere – aggiunge Padellaro – non interessa a nessuno perché non le legge nessuno, non ho il minimo dubbio, le leggono soltanto gli addetti degli addetti ai lavori…”. Il direttore del “Fatto Quotidiano” fa l’esempio della lettera inviata dal premier portoghese ai cittadini “con la quale li informa che bisogna tagliare del 7% gli stipendi pubblici. Ovviamente è stato subissato di insulti, ma almeno ha scritto una lettera con la quale comunica una notizia. Noi, invece, leggiamo certe lettere che parlano di bipolarismo, tripolarismo, roba che non interessa a nessuno”, conclude.
Secondo il direttore de “Il Giornale”, ALESSANDRO SALLUSTI, il dilagare delle lettere al direttore da parte dei politici “è un fallimento dell’intermediazione giornalistica, e la colpa va divisa equamente tra i politici italiani che non hanno più nulla da dire, e i giornalisti che spesso non sono in grado di far dire loro qualcosa di interessante”.
“Ormai – spiega Sallusti – l’iintervista, come strumento giornalistico, è depotenziata perché i politici sfuggono alle domande vere e i giornalisti non riescono a tirare fuori una notizia vera e si vergognano di fare interviste insignificanti. Non le vogliono fare. Del resto – aggiunge – mentre in televisione l’intervista senza risposta è efficace, perché mostra fisicamente l’imbarazzo del politico che si rifiuta di rispondere, sulla carta non ha senso”.
Sallusti rivela che capitano spesso “dei politici che ci chiedono di essere intervistati, ma per le solite banalità ininfluenti sia per il prestigio del giornale che per il lettore. Le lettere diventano così una scorciatoria, e spesso vengono pubblicate dai direttori solo per rispetto nei confronti della figura istituzionale che le scrive. Ma tecnicamente, giornalisticamente – conclude il direttore de «Il Giornale» – non fanno notizia”.
FRANCO SIDDI, segretario della Federazione Nazionale Stampa Italiana, osserva: “La politica che scrive al direttore di un giornale non è una anomalia in sé se lo fa in circostanze di rilevanza. E’, invece, un fenomeno che rischia di diventare patologia se le lettere vengono accettate e pubblicate supinamente sotto un malinteso fenomeno di diritto di replica, e se si tratta, come spesso succede, di situazioni di promozione individuale o di scorciatoie”.
“Il giornalismo moderno – prosegue Siddi – dovrà sicuramente fare degli aggiustamenti, essere più severo, non dare rilievo al chiacchiericco, ma non va in crisi con le lettere al direttore se i giornali sapranno mantenere la riserva critica e la capacità di informazione dei cittadini. Il surrogato della lettera al direttore – conclude il segretario della Fnsi – rimane sempre un surrogato, anche per il lettore”.
“L’analisi di Morcellini è praticamente perfetta, i giornalisti devono rinnovarsi per forza di cose”, sottolinea ANDREA SARUBBI, deputato del Pd e fondatore dell’hastag su Twitter #opencamera, una sorta di “velina” parlamentare del terzo millennio da lui lanciata nel luglio del 2011 e oggi utilizzata da praticamente tutti i suoi colleghi in Parlamento per comunicare e far sapere che succede nel cosiddetto palazzo. Sarubbi, classe 1971, sottolinea come “il giornalismo di oggi abbia perso molto della voglia di far capire le cose alle persone, oggi preferisce seguire le mode, i personaggi che danno «audience»”.
Insomma, nel mondo dell’informazione classica “c’è un deficit sia di informazioni sia di analisi. Si seguono filoni preconfezionati, e questo accade già da qualche anno”. Nel frattempo l’Italia è cambiata rapidamente, anche grazie ai nuovi media, e “nel momento in cui si aprono molti canali di comunicazione, alla portata di tutti, il giornalista ha un solo dovere: dimostrare di essere il migliore nell’informazione. Quindi basta con le interviste «sdraiate», a noi lettori servono le interviste con il coltello tra i denti”.
Quanto alle lettere al direttore, “quelle sono riservate ai big, noi «piccoli» abbiamo il web, che però ha regole molto diverse, il giro dei social network è un’altra cosa rispetto al tradizionale. Ma funziona benissimo…”.
Per FRANCESCO PIONATI, segretario di Alleanza di Centro e in passato volto noto del giornalismo televisivo come notista politico del Tg1, il fenomeno “non deve stupire. Non è il segno di una perdita di importanza dell’intermediazione giornalistica, è soltanto una questione di opportunità”.
“Con le lettere al direttore – rileva Pionati – il politico diffonde il proprio messaggio su un determinato argomento senza intermediazioni. E poi – osserva – per il politico sono comode, dal momento che non ci sono domande”.
MARIO ADINOLFI, deputato-blogger del Pd, commenta così con l’Adnkronos la nuova consuetudine: “Accade che i giornalisti non abituati al mondo della rete, cioè al salto dell’intermediazione, stanno deprimendo il loro ruolo. Molti colleghi stanno subendo questa ondata del web senza capire che si tratta di una grande opportunità, con potenzialità enormi per un commento critico. Del resto siamo nel ventunesimo secolo, le cose cambiano…”.
“Sta a noi giornalisti salvare il mestiere e non farlo morire, sfruttando le potenzialità della rete – avverte Adinolfi -. Non pubblicherei nuda la lettera inviata al giornale, ma, come si faceva una volta per le smentite, la darei alle stampe con un articolo di accompagno che dà al cittadino, fruitore del giornale, e al giornalista un motivo per leggere ogni argomento in maniera più critica e conscia. Accompagnerei le lettere ai giornali e i tweet con un articolo che offre una lettura più approfondita”.
Adinolfi dice di essere “rimasto molto colpito dal fatto che l’uso di twitter e facebook abbia saltato del tutto il meccanismo delle agenzie di stampa. Ormai twitter è diventato una sorta di agenzia monodirezionale, così il deputato non ha più bisogno dell’ufficio stampa, né delle agenzie che riprendono le sue parole. Ci troviamo di fronte ad una autorappresentazione della comunicazione, che rende la lettera uno strumento fondamentale. Oggi – avverte – si fa davvero un abuso di queste lettere: lo ripeto, basterebbe accompagnarle ad un articolo di spiega e approfondimento”.

Michele Sorice

Giancarlo Mazzuca

Per MICHELE SORICE, docente di comunicazione politica alla Luiss, la crescita esponenziale di “lettere al direttore” “è sicuramente un modo di evitare il confronto e le domande scomode, per paura dei rischi che può creare un dibattito aperto e franco, ma non è la morte dei giornali, anzi è proprio il riconoscimento del ruolo e dell’importanza che le grandi testate hanno ancora oggi”.
“Con le loro lettere – sostiene Sorice – i politici testimoniano proprio il fatto che i giornali restano ancora, in epoca di blog, tweet e social forum, il luogo privilegiato deputato alla costruzione della sfera pubblica. E nonostante i quotidiani siano letti da una minoranza della popolazione, restano la legittima cornice per parlare ai lettori, potenziali elettori”, aggiunge.
“Certo – ammette – la lettera al direttore non ha nulla a che vedere con ciò che insegniamo nei nostri corsi ai futuri cronisti ovvero il giornalista come «cane da guardia dell’informazione” o “strumento di garanzia e controllo della politica”, ironizza. “Si tratta sicuramente di un uso strumentale dei giornali, sfruttati come cassa di risonanza – conclude Sorice – ma è altrettanto vero che il media-giornale non perde la sua centralità agli occhi del politico che continua a sceglierlo come vetrina privilegiata”.
GIANCARLO MAZZUCA, deputato Pdl, già direttore de “Il Resto del Carlino”, afferma: “Ho riscontrato anch’io che molti politici tendono ultimamente a preferire la lettera all’intervista. La spiegazione potrebbe consistere nel fatto che un contributo del genere riduce il rischio delle domande, consente di andare al punto che preme a chi la scrive, presta meno il fianco a titoli non in linea con ciò che si vuol far passare come messaggio”.
“Personalmente, ritengo preferibile l’intervista – prosegue – perché lo stile e il criterio giornalistico rendono la comunicazione più leggibile, al contrario dell’approccio freddo e un po’ burocratico di una missiva che non espone al contraddittorio. Certo, c’è sempre il rischio della domanda scomoda, ma per un politico – conclude – credo che l’intervista sia lo strumento più giusto. Specie se rilasciata ad un giornalista capace e stimolante”.

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