La Commissione Cultura della Camera ignorava l’orientamento del Consiglio nazionale. Esame rinviato

In Parlamento non c’è il documento votato dall’Odg

ROMA – Mentre giungono a pieno ritmo le adesioni alla petizione “No all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti”, a Montecitorio l’iniqua proposta di modifica della Legge 69 del 3 febbraio 1963 registra una battuta d’arresto. La Commissione Cultura della Camera non ha, infatti, licenziato il testo, rinviandone la trattazione.
Numerosi componenti della Commissione parlamentare, infatti, ammettono di non essere a conoscenza che il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, riunito a Roma l’11 e 12 aprile scorsi, in seduta straordinaria, abbia approvato un ordine del giorno nel quale viene loro rivolto l’invito a “proseguire l’iter legislativo e a riesaminare le questioni dell’accesso alla professione, del ricongiungimento professionale e dell’istituzione del Giurì d’Onore dell’Ordine dei giornalisti specificato nel progetto di riforma dell’Ordine, votato all’unanimità il 16 e 17 ottobre 2008 a Positano”.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine, “preso atto delle proposte del Comitato Ristretto della VII Commissione della Camera dei Deputati”, nell’occasione ha giudicato “positivamente l’interesse del Parlamento ad affrontare il problema della riforma dell’ordinamento giornalistico”, rivolgendo, altresì, l’invito a “lasciare al potere regolamentare dell’Ordine la ripartizione proporzionale del Consiglio, in base alla realtà in evoluzione della professione prevedendo opportune verifiche durante e al termine del periodo di transizione”. Ma come è possibile che da via Parigi, sede del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, il documento non sia mai partito?
Documento, ricordiamo, che segue la mozione, con la quale il Consiglio nazionale dell’Ordine invitava il presidente, Enzo Iacopino, ad esprimere “parere negativo” alla riforma proposta dal Comitato ristretto della VII Commissione della Camera dei deputati.
Ma la battaglia in difesa dell’Ordine dei giornalisti, non è certo limitata al progetto di riforma della legge 69/63. La minaccia principale è, infatti, rappresentata dall’introduzione, nel testo varato dal Parlamento con la manovra, di un emendamento all’art. 29 del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, in base al quale, “ferme restando le categorie per il cui accesso è previsto l’Esame di Stato (cui l’esame di idoneità professionale per i giornalisti è assimilato), il Governo si riserva di formulare proposte di liberalizzazione di servizi e attività; decorsi otto mesi dalla data di entrata in vigore del suddetto D.L., tutto ciò che non sarà regolamentato sarà libero”.
Ricordiamo che se dovesse passare la liberalizzazione delle professioni, all’Ordine dei giornalisti potrebbero sopravvivere i poco più di 20mila professionisti, ma sarebbero cancellati gli oltre 70mila pubblicisti, per l’iscrizione dei quali non è previsto l’esame di Stato. Decapitato del 75 percento degli iscritti, l’Ordine difficilmente riuscirebbe a sopravvivere e, soprattutto, rappresenterebbe il primo passo verso lo smantellamento degli istituti di categoria. A partire dalla “cassa” sana dei giornalisti: l’Inpgi, che fa gola a molti. Un motivo in più per firmare la petizione contro l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, in nome dell’identità, dell’indipendenza e del giusto trattamento economico della professione.

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