Congelata la liberalizzazione delle professioni, il Parlamento ci riprova con la legge che potrebbe essere l’inizio della fine

Cancellare i giornalisti per imbavagliare la stampa

Giancarlo Mazzuca

ROMA – “No all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti”. La petizione lanciata 
in nome dell’identità, dell’indipendenza e del giusto trattamento economico della professione sta registrando una massiccia partecipazione di giornalisti professionisti e pubblicisti che, da tutta Italia, fanno sentire la loro voce, aderendo all’appello promosso assieme a Mimmo Falco, Ezio Ercole, Gino Falleri, Vincenzo Colimoro, Lorenzo Del Boca, Maurizio Andriolo, Giuseppe Gallizzi e Attilio Raimondi, seguiti, a ruota, da tantissimi colleghi che lo stanno sottoscrivendo in massa.
Per nostra scelta, la pubblicazione delle adesioni su Giornalisti Calabria non è automatica, permettendoci, così, un doveroso controllo nel rispetto delle più elementari regole della professione. Nelle prossime ore, comunque, il ritmo di pubblicazione delle adesioni avrà un’accelerazione, grazie al nuovo sistema di raccolta dei dati, che ci permetterà di velocizzare le operazioni.
Da Montecitorio, intanto, arrivano strani segnali in materia di liberalizzazione delle professioni. Dopo il dietro front del Governo, grazie all’azione di contrasto del presidente del Senato e di un gruppo di parlamentari, in sede di approvazione della manovra economica, oggi, dalla Camera dei deputati arriva la notizia secondo cui “sarebbe alle battute finali” la proposta di legge sulla modifica della Legge 69 del 3 febbraio 1963 che ha istituito l’Ordine dei giornalisti.
Domani, infatti, la commissione Cultura della Camera dovrebbe licenziareil testo e mandarlo al Senato (dove seguirà medesimo iter, esame e approvazione in Commissione senza passare per l’Aula).
“Per la Camera, mercoledì contiamo sul via libera”, ha dichiarato, ieri, all’Asca il deputato Giancarlo Mazzuca (Pdl), giornalista, ex direttore del Resto del Carlino, che, del provvedimento, è il relatore.
Nel progetto di riforma il dimezzamento del numero dei componenti del Consiglio nazionale (“saranno al massimo una novantina”, anticipa Mazzuca) e “un adeguato accesso alla professione”, attraverso la revisione dei requisiti del titolo di studio: per l’iscrizione negli elenchi professionisti e pubblicisti sarà necessario essere in possesso del diploma di scuola media superiore. Sarebbero, dunque, questi i risultati della grande riforma?
Sparisce, invece, dalla proposta di legge, all’attenzione della commissione Cultura, l’idea di istituire un giurì cui demandare le controversie relative a querele, questioni deontologiche e “tutto il discorso sulle intercettazioni”.
Come spiega Mazzuca, tutti i gruppi parlamentari, alla fine, hanno deciso di rimettere mano a poche cose. L’ipotesi di istituzione del giurì, sottolinea il deputato del Pdl, scompare, però, “per adesso”, perché si pensa di “proporla con una legge ad hoc da presentare successivamente”.
A sentire Mazzuca: “L’Ordine dei giornalisti resterà, non verrà toccato”. Una precisazione dettata dal “polverone” sollevato in sede di discussione di manovra, quando sembrò si volessero abolire gli ordini professionali.
“Lì – conclude Mazzuca – comunque si parlava di avvocati e notai, nessuno ha mai parlato di giornalisti”. Un’affermazione che, purtroppo, in un momento grave per la professione come quello attuale, non riesce a far sorridere nessuno. La riforma delle professioni, infatti, riguarda tutti gli ordini professionali e poco importa se Mazzuca abbia sentito parlare solo di notai e avvocati.
Nel testo varato dal Parlamento con la manovra è stato, infatti, introdotto un emendamento all’art. 29 del D.L. 6 luglio 2011 n. 98, in base al quale, “ferme restando le categorie per il cui accesso è previsto l’Esame di Stato (cui l’esame di idoneità professionale per i giornalisti è assimilato), il Governo si riserva di formulare proposte di liberalizzazione di servizi e attività; decorsi otto mesi dalla data di entrata in vigore del suddetto D.L., tutto ciò che non sarà regolamentato sarà libero”. Altro che notai e avvocati.
Dunque, adesso il pericolo per l’Ordine dei giornalisti è doppio: da un lato, le prospettate liberalizzazioni, che saranno riproposte dal Governo dopo la pausa estiva; dall’altro, il rischio sempre più concreto di ritrovarsi con un Ordine professionale che, nel volgere di breve tempo, sarebbe destinato a morire, mettendo, quindi, a repentaglio quello che, sicuramente, rappresenta il vero “obiettivo” di chi lavora per demolire gli istituti di categoria dei giornalisti: primo tra tutti l’Inpgi, un istituto di previdenza sano, che fa gola a quanti puntano ad appropriarsi della “cassa”, finanziata con i contributi ed i sacrifici dei giornalisti. Se dovesse passare la liberalizzazione delle professioni, il brodino annunciato da Mazzuca, che, comunque, parla di una successiva “legge ad hoc”, anche se la limita al giurì, sull’Ordine dei giornalisti sarebbe pressoché smantellato. Magari sopravviverebbero i poco più di 20mila professionisti, ma sarebbero cancellati con un colpo di spugna gli oltre 70mila pubblicisti, per l’iscrizione dei quali non è previsto l’esame di Stato.
Nel marzo scorso, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti aveva sottoscritto una mozione con la quale invitava il presidente, Enzo Iacopino, ad esprimere “parere negativo” alla riforma proposta dal Comitato ristretto della VII Commissione della Camera dei deputati. Mozione sottoscritta da 80 dei 120 consiglieri nazionali presenti, tra i quali Lorenzo Del Boca, il vice presidente Enrico Paissan ed i componenti del Comitato Esecutivo Ugo Armati e Fabio Benati. Mancava, invece, la firma del presidente Enzo Iacopino che, al di là della letterina con la quale, nei giorni scorsi, ha invitato i consigli regionali a “continuare a lavorare”, non ha ancora speso una parola sul destino dei pubblicisti, ovvero sul 75 percento degli iscritti all’Ordine.
Torna, quindi, di grande attualità il giudizio della maggioranza dei consiglieri nazionali dell’Ordine, la quale ha e
videnziato che “il testo licenziato non risponde alle esigenze di riforma dell’ordinamento, in quanto non disciplina compiutamente la professione giornalistica”.
“Mancano, infatti, regole rigorose – invocate dalla categoria – per l’accesso alla professione” e “risulta eccessivo  –  si legge, ancora, nella mozione –  il ridimensionamento del numero dei componenti del Consiglio nazionale”.
La categoria è, infatti, “consapevole della necessità di ridurre il numero dei consiglieri nazionali, ma ciò non deve ledere il principio di rappresentatività, considerato che il numero dei giornalisti pubblicisti (71.284) risulta di gran lunga superiore a quello degli iscritti nell’elenco professionisti (25.557) e valutato che il ruolo dei pubblicisti è in forte crescita per il contributo culturale e professionale apportato al giornalismo italiano e al mondo del lavoro”.
Dunque, è sempre più indispensabile che tutti i giornalisti italiani facciano sentire la propria voce, manifestando un chiaro dissenso contro ogni tentativo di abolire l’Ordine dei giornalisti. Che, tradotto, significherebbe assistere impassibili all’inizio della fine, ovvero al primo passo verso una giungla senza regole, né tutele, nella quale parenti, amici, amanti e compari potrebbero essere “regolarmente” assunti alle dipendenze di un giornale, una televisione o un ufficio stampa pubblico, pur non avendo mai esercitato il “mestiere” di giornalista.
Gli istituti di categoria, è vero, hanno tanti difetti, ma anche un pregio, che vale da solo la battaglia che stiamo combattendo: l’Ordine dei giornalisti è nato per garantire tutela e autonomia ai giornalisti italiani che, come ammoniva Indro Montanelli, hanno il dovere di rispondere ad un solo padrone: il pubblico, che va difeso e rispettato anche e, soprattutto, da una politica che, incapace di risolvere i problemi della gente, pensa di risolvere i propri, cancellando i giornalisti, per lasciare spazio all’informazione di regime e di potere. Politico, economico e non solo.
https://www.giornalisticalabria.it/2011/04/01/ordine-dei-giornalisti-contro-la-riforma/
https://www.giornalisticalabria.it/wp-content/uploads/2011/04/Il-documento-approvato-nel-2008-a-Positano.pdf

Un commento:

  1. Carmelo Idà (giornalista professionista - Calabria)

    Penso che dire no all’abolizione sia un dovere morale. E non per difendere diritti di casta, come qualcuno vorrebbe far credere. L’obiettivo di chi vuole smantellare l’Ordine dei Giornalisti è chiaro. La logica? Poichè tutti, o quasi, in questo Paese, sanno leggere e scrivere, sono di conseguenza abilitati a fare i giornalisti… Quindi l’Ordine non serve, meglio il disordine, meglio il caos “professionale”…

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