Il Giornalista Pensionato: “Camporese ha fermato gli «irresponsabili» che ci avrebbero portato alla catastrofe”

L’Inpgi rischiava di essere assorbita dall’Inps

Giuseppe Iselli

Giuseppe Iselli (presidente Ungp e consigliere d’amministrazione dell’Inpgi)

ROMA – C’è voluta la coda dei tempi supplementari per salvare l’Inpgi dal suo (evitabilissimo) destino di commissariamento e (forse) di scioglimento e assorbimento da parte dell’Inps. Sembrava una cosa facile, una corsa in discesa, eppure si è rischiato di finire fuori strada (come capita a chi va forte in discesa). I provvedimenti erano noti da tempo, discussi e stradiscussi.
I tempi concordati con i Ministeri vigilanti erano chiarissimi: la manovra doveva essere conclusa e presentata al governo entro e non oltre il 30 giugno. Eppure il 30 giugno non è successo niente.
Anzi, è successo che le cosiddette “parti sociali” non si sono messe d’accordo ed hanno chiesto all’Inpgi una dilazione dei tempi. L’Inpgi ha chiesto al Ministero dell’Economia l’autorizzazione necessaria, concessa fino a metà luglio, data ultimativa entro la quale Fnsi e Fieg avrebbero presentato la sottoscrizione comune sulla manovra o, in mancanza di un accordo, avrebbero autorizzato (senza poter più opporsi o ricorrere) l’Inpgi a decidere in loro vece.
In realtà, ostacoli e difficoltà sono nati non solo (o non tanto) per le questioni legate all’Inpgi, ma dalla coincidenza della trattativa per l’aumento contrattuale (concluso a 105 euro mensili uguali per tutti) con la manovra per la salvaguardia dei bilanci del nostro ente previdenziale.
Forse è stato un errore questa coincidenza, o forse, come sostengono in molti, è stata una scelta precisa delle Fnsi, per avere più forza contrattuale di fronte alla dirigenza della Fieg, da molti descritta divisa e nervosa.
Il risultato è questo: le “parti sociali” hanno esercitato la loro responsabile azione in modo un po’ confuso e credo che solo la paziente opera di mediazione condotta dal presidente dell’Inpgi, Andrea Camporese, abbia evitato l’emergere degli “irresponsabili” e la non auspicata da nessuno, ma possibile, catastrofe per l’ente previdenziale.
Ora chiacchiere e proclami sono finiti e parlano i fatti. La manovra per l’Inpgi ha due aspetti: aumento delle entrata e diminuzione dei costi. E’ una manovra pagata in primo luogo dalle colleghe giornaliste, che, sia pure con la diluizione in dieci anni, alla fine andranno in pensione a 65 anni: se vorranno anticipare, pagheranno una penale dimezzata, rispetto alle norme in vigore. Pagata anche dagli editori, i cui contributi previdenziali cresceranno di tre punti in cinque anni.
Anche i già pensionati pagheranno il loro prezzo (anche se non ha nulla da fare con la manovra di cui parliamo): Tremonti nella “sua” manovra ha tagliato l’aumento annuale in base all’inflazione programmata per chi percepisce 5 volte il minimo Inps, cioè il 90 per cento dei pensionati Inpgi. Ma così, “giustizia” sarà stata fatta e vivremo tutti più felici: in attesa delle prossime norme sulle “aspettative di vita” che trascineranno il limite d’età per le prossime pensioni verso il traguardo (ormai vicino) dei settant’ anni.
V’è tuttavia un terzo punto della manovra Inpgi di cui si parla ancora troppo poco, ed è l’ipotesi di consistenti sgravi contributivi a chi assume giornalisti a tempo indeterminato. E’ una sorta di “premio” agli editori virtuosi, quelli che credono ancora che i giornali si fanno (e si vendono) con redattori stabili, esperti e soddisfatti (anche economicamente) di quello che fanno. E’ il valore aggiunto della manovra, quello che potrà aprire la strada al rilancio dell’occupazione stabile ed, in ultima analisi, alla vera salute per l’Inpgi nei prossimi decenni. Ma è anche una scommessa il cui esito non è scontato.

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L’Inpgi si sta avviando a concludere il suo mandato (il primo del presidente Camporese), alla cui fine manca oramai poco più di un semestre. Sta arrivando, dunque, anche il tempo dei bilanci, mentre la corsa ai posti più ambiti è già cominciata. Se il tempo rimanente sarà sufficientemente tranquillo, credo che due temi, che stanno molto a cuore ai pensionati, vadano affrontati e risolti: l’abolizione del cumulo fra pensione ed altri redditi da lavoro e la stesura del regolamento del Fondo contrattuale per la perequazione delle pensioni.
Il primo (cumulo) non esiste per nessun altra categoria di lavoratori, dipendenti o autonomi, manuali o intellettuali. Forse non è un caso: i giornalisti sono “diversi” e non si capisce bene perché. Il Fondo di perequazione è attivo da un anno e mezzo, tutti versano i loro cinque euro mensili, ma il regolamento latita. O meglio, dopo una serie di stesure e limature, esso è stato approvato dalla Giunta della Fnsi, non ancora dal CdA dell’Inpgi, in attesa del passaggio di verifica e approvazione dei ministeri vigilanti.
L’intoppo che blocca l’iter è quel capoverso che affida solo alla Fnsi il potere decisionale nella gestione e nelle scelte. E’ chiaramente una norma inaccettabile, contraria al contratto (che prevede la gestione “comune” fra Fnsi ed Inpgi) ma anche contraria al comune buon senso ed al ruolo di garanzia che solo l’ente previdenziale può offrire a tutti: probabilmente contraria anche alla “filosofia” dei Ministeri vigilanti.
Come sempre, in perfetto stile democristiano, quando non c’è accordo, si accantona e si aspettano tempi migliori. Nel frattempo, i soldi accumulati non possono essere investiti, come prevede il regolamento “in pectore” e l’inflazione si mangia la sua bella fetta dell’accantonamento.
Infine, “last but not least”, ci sono più di 700 pensionati che aspettano da anni di ricevere l’ex “fissa”: Gli editori non scuciono, l’Inpgi ha deliberato un prestito per smaltire gran parte dell’arretrato, i Ministeri tacciono, senza dire perché. Quando ci si mette, la burocrazia batte sempre tutti.

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